Perché il Diritto nella Chiesa? Un approccio diverso
Presento una scheda di lettura
del volume appena pubblicato e con cui mi approccio al fenomeno del Diritto
nella comunità cristiana con un occhio attento all’antropologia (culturale,
giuridica e religiosa).
È stato un lavoro lungo e, direi,
per me insieme meta e inizio di studio nella e di servizio alla comunità
ecclesiale.
Umberto
Rosario Del Giudice, Teologia
del Diritto canonico ed istanze antropologiche. Relazioni storiche ed
applicazioni attuali, LUP (Corona Lateranensis, 93), Città del
Vaticano 2021
Il
tema
La
Teologia del Diritto canonico sebbene
sia una disciplina relativamente “giovane” non è una figlia innocente: essa non
è chiamata ad accostare ingenuamente Teologia e Diritto canonico ma
a proporre i presupposti della dimensione giuridica nel vissuto ecclesiale. È
una disciplina che deve occuparsi anche di come la logica del Diritto possa
essere utile al vivere ecclesiale ma non sostituirsi ad esso. Il presupposto
per me chiaro è il seguente: la Chiesa non può fare a meno della chiarezza
del Diritto canonico ma il Diritto canonico non può fare a meno del vissuto trasparente
della Chiesa per essere e rimanere sé stesso, ovvero uno strumento
ecclesiale giusto ed equo.
In
questa prospettiva sorge il quesito fondamentale del testo: tra Teologia e
Canonistica, tra la “riflessione di fede” e la “pratica di fede”, tra il
“pensare della Chiesa” e il “fare nella Chiesa”, vi può essere un tertium?
Vi può essere un elemento che unisca in sé depositum
e praxis? Teologia e Canonistica
possono ritrovare nel proprio fondamento il “principio epistemologico” che le
accomuna?
La
tesi fondamentale del testo è dunque la seguente: Teologia e Diritto canonico s’incontrano nella dimensione umana e precisamente
nella capacità di interpretazione simbolico-ordinatrice della realtà dell’uomo
e dell’uomo credente.
Struttura
del testo
La
lunga Premessa è utile per chiarire l’impostazione
interdisciplinare del testo. Da segnalare (a pagina 113) lo schema semplificativo
dei typos che sono emersi dalla ricerca in riferimento alle
“antropologie” inconsapevolmente presupposte nelle varie epoche: dall’homo religiosus che coglie la realtà
come un tutt’uno all’homo symbolicus
che usa i rimandi linguistici e narrativi sovrapponendo morale, religioso e
giuridico; dall’homo hierarchicus,
per il quale tutto è ordine all’homo
cogitans della modernità per il quale ratio
e voluntas sono gli strumenti unici
per codificare “secondo verità e giustizia” la realtà; appaiono poi i modelli
dell’homo hieraticus et iuridicus nei
quali si impone la terzietà impersonale
e l’autonomia solipsistica: in questa
dinamica prettamente “giuridizzata” dei rapporti, il soggetto (anche credente)
vive da solo, con molti “diritti”, pochi “compiti” e dimentico della dinamica
del “dono”.
La
Prima Parte è composta da tre
capitoli attraverso i quali si analizzano l’età apostolica e patristica, i
modelli di homo symbolicus, homo hierarchicus e homo cogitans, e si riprendono le posizioni di due autori ancora
capaci di dipinge una tensione viva: è proposto un confronto tra le posizioni
di Rudolph Sohm, difensore delle tesi
dell’antigiuridismo moderno ecclesiale, e quelle di Klaus Mörsdorf.
La
Seconda Parte, anch’essa composta di
tre capitoli: vengono presentate “le
Teologie del Diritto canonico” a cui corrispondono “antropologie” nel cui
rapporto si gioca non solo il perché del Diritto canonico ma anche il come.
Una particolare attenzione è data alla comprensione della disciplina quale norma missionis che, nel suo statuto
epistemologico, dichiara apertamente la natura non trascendentale del Diritto
canonico. Il Quinto Capitolo propone la relazione tra Teologia e Diritto
canonico dal punto di vista della Teologia
fondamentale. Se, infatti, la relazione tra Teologia e Diritto canonico va
colta “nell’uomo che crede e che agisce nella Chiesa”, allora si apre la
questione di come valutare, da una parte, l’esperienza
religiosa dell’uomo e dall’altra come cogliere nelle sue azioni
performative tale esperienza connessa alla sua capacità simbolica di “darsi una realtà ordinata”. Sono,
infine, riletti a mo’ di esempio metodologico e di applicazioni attuali, i
sacramenti del servizio alla comunione ecclesiale (Matrimonio ed Ordine).
Conclusioni,
rilievi e limiti
Dalla
ricerca emergono alcuni dati:
a)
nessuna
Teologia del Diritto canonico fa a meno (in modo esplicito o implicito) di
“un’Antropologia”. L’Antropologia presupposta determina ‘le’ Teologie del Diritto canonico;
b)
il
Diritto canonico, già inteso secondo l’epistemologia della norma missionis quale imprescindibile strumento funzionale alla
missione della Chiesa, può ritrovare nell’Antropologia culturale un’ulteriore
precisazione del suo essere connaturale alla dimensione umana e a quella
religiosa in modo particolare. Questa “pista” potrebbe sollevare
l’epistemologia della norma missionis
da un’altra eventuale accusa: quella di usare essa stessa termini e concetti
“teologici” quale è lo stesso concetto di “missio”.
Potrebbe, inoltre, non legare troppo il Diritto canonico ad un modello di personalismo che potrebbe
esso stesso rischiare l’immobilismo
teorico. Bisogna rispettare la persona integrale ma non l’integralismo
ideologico che pure alcuni personalismi rischiano.
c)
Emerge
anche un altro dato: l’approccio antropologico fenomenico alla Teologia del
Diritto canonico aiuterebbe da una parte la verifica continua della disciplina,
dall’altra eviterebbe di fare del Diritto canonico un “medium” immediato: non è nella disciplina che si trova il tutto
dell’esperienze genuine della fede. La logica e l’architettura
giuridico-canonistica sono utili se comprese nel loro essere “parte di un
tutto”.
Appare
così chiaro che la Teologia del Diritto canonico, come tutte le discipline
teologiche, non deve cedere all’astrazione concettuale con cui si rischia di
tradire sempre il vissuto reale: nell’astrazione si ha immediatezza ma il
Diritto media ciò che non è immediato.
I
limiti del testo appaiono a tratti evidenti: il voler mettere insieme la
molteplicità degli argomenti fa di ogni parola una finestra aperta sul mondo, sulla fede, sulla Chiesa.
Ciononostante, proprio questi “limiti”, tra complessità e flessibilità, appaiono come un valore imprescindibile del Diritto canonico: essere compreso per nuove prospettive.
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