Lourdes, Fatima e Medjugorje: un cambio di paradigma teologico?
Dalle Dichiarazioni su Lourdes e Fatima a quelle su Medjugorje: sembra sia cambiato l’approccio e si sia più attenti a quello che di buono (o di cattivo) c'è nelle prassi religiose. Non più veggenti da seguire ma esperienze religiose da supportare (e su cui vigilare). E non attesa di sangue sciolto ma attenzione al sangue versato.
Umberto Rosario Del Giudice
Oltre quarant’anni per una Nota
Con la Nota[1] di oggi, 19 settembre 2024, la Chiesa si è pronunciata sugli accadimenti di Medjugorje.
Il tono risulta subito diverso rispetto a Discorsi, Dichiarazioni, Encicliche, Note (a firma dei pontefici o delle Congregazioni varie) che hanno riguardato i fatti che coinvolgevano la piccola Bernardette e i pastorelli di Fatima (si noti che non si fanno nomi di "veggenti" nella Nota odierna).
Ma ciò che appare non è solo una diversa valutazione.
A ben vedere anche i primi approcci (cauti) ai fatti
di Lourdes o di Fatima furono quanto meno misurati cui seguirono dichiarazioni graduali.
Tuttavia, i fatti, sebbene nella loro complessità, furono “riconosciuti” in
breve. Ci vollero dodici anni per una prima dichiarazione per i fatti riferiti
da Bernardette che permetteva l’afflusso di
fedeli e la venerazione a Lourdes.
Fatima ebbe una rilevanza quasi immediata: a soli due anni
dagli eventi dichiarati dai pastorelli il vescovo locale, col beneplacito della
Santa Sede, dichiarava «degne di credenza,
le visioni dei bambini pastori della Cova da Iria, avvenute nella parrocchia di
Fátima, in questa diocesi, dal 13 maggio al 13 ottobre 1917».
Ma erano anche altri tempi e altri contesti. In Francia, al tempo dei fatti di Lourdes, l'imperatore Luigi Napoleone bloccava ogni accordo con la Chiesa oltre il concordato del 1801. In Portogallo i pastorelli furono incarcerati per due giorni per ordine dell’allora sindaco di Vila Nova.
Al di là del contesto storico, potremo dire che le
dichiarazioni della Santa Sede sui fatti di Lourdes e Fatima furono tempestive e riguardavano "fatti ritenuti straordinari".
Per i fatti di Medjugorje ci sono voluti oltre quarant’anni
per la pubblicazione di una Nota che ha valorizzato più l'esperienza religiosa che i dati dei messaggi (presunti).
Il cambio del paradigma al di là dei pronunciamenti
Sulle motivazioni che hanno portato a un non “riconoscimento” dei fatti "presunti soprannaturali" di Medjugorje bisognerà riflettere in altra sede.
Ciò che qui però interessa non è solo il “dato della non-ufficialità”
ovvero del “non-riconoscimento”, ma il cambio sostanziale di approccio e rispetto delle esperienze e del loro uso.
Da una parte, Lourdes e Fatima si mostravano alla Chiesa
come “apparizioni mariane” utile alla fede vissuta nell’epoca tra XIX e XX
secolo per diversi aspetti (l’ateismo, lo scontro tra Stati, le minacce belliche,
le Guerre…); dall’altra Medjugorje, sebbene i fatti risalgano ai
tempi dei comunismi ideologici precedenti alla sanguinosa
guerra di scissione –indipendenza– dei paesi baltici, rimane un “luogo di
culto” come tanti, in cui è possibile una “esperienza di fede”.
Vale la pena riprendere quanto è stato scritto nella Presentazione
in occasione della pubblicazione del “segreto di Fatima”.
La Congregazione per la Dottrina della Fede, a firma dell’allora
Tarcisio Bertone segretario, nel 2000 dichiarava:
«Apparizioni e segni soprannaturali punteggiano la
storia, entrano nel vivo delle vicende umane e accompagnano il cammino del
mondo, sorprendendo credenti e non credenti. Queste manifestazioni, che non
possono contraddire il contenuto della fede, devono convergere verso l'oggetto
centrale dell'annuncio di Cristo: l'amore del Padre che suscita negli uomini la
conversione e dona la grazia per abbandonarsi a Lui con devozione filiale. Tale
è anche il messaggio di Fatima che, con l'accorato appello alla conversione e
alla penitenza, sospinge in realtà al cuore del Vangelo»[2].
L’approccio della Nota odierna non tiene conto tanto del
dato dottrinale, sebbene vi sia un'analisi dei "messaggi", ma evidenzia il “fenomeno Medjugorje” in quanto centro di
esperienza religiosa, di penitenza, di unione in Cristo. È stata rilevata una «la
spiritualità medjugoriana nella vita quotidiana» (Nota, 5b).
Per delineare questa spiritualità, la Nota riprende il “titolo” della “Regina della Pace” e
rimanda a quella “pace che sgorga dalla carità” e a Cristo, “Re della Pace” (ci
si sarebbe aspettato qui un rimando alla “pace” come “salvezza”. Ma sebbene non
sia esplicitato, il dato appare sottinteso).
La spiritualità medjugoriana poi è declinata attraverso
alcune categorie espresse secondo alcune locuzioni: “soltanto Dio”, “incontrare
Dio che è sempre presente nella vita di ogni giorno”. E si sottolinea al tempo
stesso il cristocentrismo e il rimando all’azione dello Spirito Santo che
chiama alla conversione e al
ricorso alla preghiera e alla centralità della “Messa”, apice della preghiera dei
fedeli raccolti in comunione fraterna. Una spiritualità che richiede e rimanda
alla dimensione ecclesiale e alla “gioia e gratitudine”, alla “testimonianza
dei fedeli”, all’attenzione alla “vita eterna”.
A partire da queste evidenze della vita “quotidiana”
cristiana promossa dalla spiritualità medjugoriana la Nota evidenzia i rischi:
«Alcuni pochi messaggi si allontanano da questi contenuti così positivi ed
edificanti e sembra persino che arrivino a contraddirli. È conveniente stare
attenti perché questi pochi elementi confusi non mettano in ombra la bellezza
dell’insieme» (Nota 27).
Da qui la Nota evidenzia ambiguità tra cui
“rimproveri e minacce”, “messaggi alla parrocchia”, “autoesaltazione della
Madonna” (in alcuni messaggi direbbe “il mio piano”, “il mio progetto”…, cfr.
Nota 37).
Dall’attenzione dottrinale alla valorizzazione attenta dell’esperienza religiosa
La valutazione della Nota non riconosce il carattere soprannaturale dei fenomeni di Medjugorje ma riconosce l’esperienza religiosa lì proposta utile per l’esperienza cristiana. La Nota assume l’onere di valutare la congruità di alcuni messaggi e dichiara soprattutto che la percezione dei sedicenti veggenti può interferire (se c’è) con l’esperienza del Dio di Gesù.
Esaminando poi i “messaggi” (tutti ritenuti presunti,
come la Nota specifica fin dalla sua premessa, cfr. Nota 2) altro non fa che
rimandare ai metodi e alla prassi delle sane tradizioni cristiane
e, in continuità con quelle, non ostacola l’esperienza medjugorjana.
Cosa resta?
Il fenomeno Medjugorje non ha avuto un “riconoscimento
ufficiale”; è chiaro anche che sono state date due indicazioni preziose che
appaiono come un “cambio di paradigma teologico valutativo” dei “fatti
soprannaturali”, della “pietà popolare”:
1. la “percezione” dei singoli gioca sempre un ruolo determinante anche nella “percezione di Dio”;
2.
la “esperienza religiosa” può
condurre a buoni frutti al di là di una “dottrina ambigua” presente in alcuni
gruppi. La Nota chiede ai vari vescovi di vigilare sulle esperienze religiose
dei singoli e dei gruppi; al tempo stesso, richiamando le norme, chiede di «apprezzare
il valore pastorale e a promuovere pure la diffusione di questa proposta
spirituale».
La Nota non è solo mossa a pronunciarsi sulla ambiguità del
fenomeno ma è preoccupata che si possa utilizzare «inadeguatamente questo
fenomeno spirituale».
Credo che sia questo un elemento essenziale di tutta la dichiarazione del Dicastero: attenzione al dato in sé (valutazione dottrinale) ma con la promozione dell’esperienza religiosa (tutela dell'esperienza spirituale).
Una
preoccupazione che si potrebbe estendere ad ogni realtà ecclesiale: percezione
e utilizzo non adeguato sono gli elementi essenziali su cui, non solo a
Medjugorje, bisogna vigilare.
“Falsa percezione” e “utilizzo non adeguato” si possono
nascondere anche nelle assemblee domenicali, nelle prassi penitenziali, nelle
parole omiletiche, nelle lezioni di teologia, nelle catechesi, durante le trasmissioni televisive o radiofoniche…
Le esperienze vanno guidate, non imposte e non bloccate. Anche per questo credo che sia giusto riprendere le parole di mons. Battaglia che oggi ha tenuto l'omelia in occasione della solennità di San Gennaro (patrono della diocesi di Napoli) e in riferimento al fenomeno della "liquefazione del sangue". Credo sia un bell'esempio di come guidare la percezione e l'utilizzo adeguato delle devozioni che accompagnano le esperienze religiose.
Don Mimmo ha dichiarato:
«Vi prego: non dobbiamo preoccuparci se il sangue di questa reliquia si scioglie o no. Ma dobbiamo preoccuparci se a scorrere tra le nostre strade e nel nostro mondo è il sangue dei diseredati, degli emarginati, degli ultimi, degli innocenti» (Cfr min. 44,55: URL: https://www.youtube.com/watch?v=fE35gcv2I4c&feature=youtu.be ).
Non i "segni soprannaturali" ma "l'esperienza della e nella fede".
Ai pastori dunque il dovere di vigilare.
Al magistero teologico, se corretto, il dovere di promuovere questa vigilanza.
[1] Dicastero per la Dottrina della Fede, “La
Regina della Pace”. Nota circa l’esperienza spirituale legata a Medjugorje.
URL: “La
Regina della Pace”. Nota circa l’esperienza spirituale legata a Medjugorje (19
settembre 2024) (vatican.va)
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