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Visualizzazione dei post da dicembre, 2021

Gli uomini della sua benevolenza

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  I miei più sinceri auguri Δόξα ἐν ὑψίστοις θεῷ καὶ ἐπὶ γῆς εἰρήνη ἐν ἀνθρώποις εὐδοκίας. Questo versetto (Lc 2,14) l’abbiamo tradotto così: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama»   È la lode che il vangelo secondo Luca narra essere l’acclamazione degli “angeli” (οἱ ἄγγελοι). È noto che questo versetto si potrebbe scomporre per coppia gloria  pace  a Dio  agli uomini nell’alto dei cieli in terra   È un’acclamazione, ovvero un’affermazione, e il verbo sottinteso non è un congiuntivo (ottativo in greco) ma un presente (indicativo in greco) assertivo (non sia ma è ). Non si tratta di un augurio ma di un’asserzione. Per i cristiani la salvezza è entrata nella storia sebbene sia ricordato nel suo momento iniziale (la nascita) che rimanda tuttavia ai segni della Pasqua cruenta (i panni con cui si adagia il bambino nella mangiatoia rimandano alle bende in cui è

Sette affermazioni come sette “peccati di logica”

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Le accuse di Rubén Peretó Rivas apparse in un blog sono prive di ogni argomentazione sia dal punto canonistico che teologico che semplicemente logico. Tommaso d’Aquino non ci ha insegnato di sparlare ma di argomentare.   Umberto Rosario Del Giudice   È apparso su un blog un articolo che non andrebbe né letto né citato. Un classico modo di parlare di ciò che non si sa, solo per screditare e confondere. Verrebbe da seguire l’utile consiglio che Dante associa alla saggezza di Virgilio: “ Non ragioniam di lor, ma guarda e passa ” (Inf. III, 51) poiché se per il Sommo alcuni “ misericordia e giustizia li sdegna ” (Inf. III, 50) per i seguaci di Cristo basta solo lasciarli al loro destino sebbene sia utile anche sperare che la ragione porti al dialogo. Tuttavia, fa molto riflettere constatare come la logica sia poco praticata anche da chi la “logica” la dovrebbe usare per mestiere, vi è poi un’ulteriore aggravante: non è grave solo affermare inesattezze ma che lo si faccia per fuor

Ciro e Genny come Caino e Abele?

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  È finita la serie TV che ha raccontato storie di minacce e di seduzioni tra personaggi sempre pronti a sparare un colpo o a stringersi in abbracci. L’ambiguità si è fatta storia criminale: la storia delle ambiguità criminali.   Umberto Rosario Del Giudice Si è conclusa da poco la serie televisiva “Gomorra” che ha suscitato non poche perplessità. Qualcuno ha puntato il dito contro una narrazione troppo violenta; altri, nel tentativo di difendere l’immagine della Città, hanno negato l’onnipresenza della criminalità rifugiandosi nell’attestazione corale e quasi sdegnata: “Napoli non è questo!”. Da varie parti poi è stata contestata fin dagli inizi della serie la quasi totale assenza degli apparati di “Stato”: sarebbero mancati gli antagonisti. Sarebbe mancata polizia, magistratura, legalità… Ma alla fine della serie si comprende meglio anche il perché. La narrazione completa si gioca su due personaggi: Ciro, il rampante “immortale”, e Genny, il “figlio del boss” destinato a ra