Il primo gennaio vestiti di rosso, come all’Ottava…
Il tempo è libertà, se è accolta la novità del “verbo che si fa continuamente carne”.
Il tempo è dono, se è accolta la
vita come “carne che si fa continuamente verbo”.
Umberto R. Del Giudice
Il primo giorno dell’anno è
stato sempre salutato con feste e colori ma anche con riti propiziatori. Bisognerebbe
saper bene cosa indossare, cosa mangiare, festeggiare con fuochi d’artificio, accendere
falò, rompere piatti, buttare il “vecchiume”… per accogliere il “nuovo anno”.
Così il “Capodanno” diventa una
festa di propiziazione ma si rivela anche un rito di iniziazione reiterata.
È un rituale ciclico che rende tutti
“bambini” rispetto al tempo: come se ci fosse sempre da iniziare ma anche come
se si sapesse già come affrontare il tempo.
È questa “sapienza adulta” spesso
incapace di far memoria, ci rende davvero ostinati e chiusi al tempo che passa.
Ma la sapienza liturgica e
cristiana può aiutarci a vivere questo inizio di anno. Così gli auguri di buon
anno non possono non essere accompagnati da una riflessione che tento di spiegare
ripercorrendo il Capodanno “festeggiato”, “pregato”, “celebrato” nell’Ottava di
Natale e il vissuto del tempo che è e che viene.
Il Capodanno “festeggiato”
In Italia, già nel pomeriggio
del 31 dicembre, scorrono le immagini dei “capodanni” già vissuti ad est, per i
diversi fusi orari. Nuova Zelanda, Australia… già hanno dato il benvenuto al
2021.
Ai festeggiamenti civili si
aggiungono i contorni sociali: gli astrologi moltiplicano gli oroscopi (e,
ahimè, si moltiplicano anche i loro lettori) mentre i pessimisti vedono i
giorni futuri quasi come una minaccia e aggiungono scongiuri ai riti
propiziatori; i lungimiranti ottimisti si buttano tutto alle spalle sperando
nel futuro, mentre i pessimisti stupidi buttano immondizia o cose vecchie dal
balcone dimenticando che dal balcone dovrebbero lanciare solo la propria stupida
superstizione da “simil agnostici” (“non è vero ma ci credo…”).
Il Capodanno “pregato”
Delle varie categorie, in
continuità con pessimisti depressi o ottimisti incalliti, seguendo le cromaticità
varie, fa parte anche l’esperienza dei credenti che pregano con sentimenti
vari: la preghiera prende forma di intercessione, di lode, di esultanza
ma anche di penitenza e di richiesta. Mai come quest’anno le
preghiere, come i festeggiamenti, saranno più all’insegna del “finalmente è
passato il 2020” che caratterizzati dal “benvenuto 2021”: un comune e ateo “atto
di penitenza” che si confonde col “Kyrie eleison” (“Signore, pietà”).
Nella speranza futura che il
2020 passi con tutta la sua carica di emergenza sanitaria, ci vogliamo buttare
alle spalle quest’anno.
Intanto il tempo passa.
Ma la saggezza della tradizione liturgica
ci aiuta a mettere i piedi nel nuovo anno (se con queste categorie temporali e spaziali
vogliamo parlare) e lasciarci alle spalle quello che è già stato battezzato
come “il maledetto anno del covid”, anno funesto, anno bisesto…
La solennità del primo gennaio: Maria, Madre di Dio
Il primo gennaio, com’è noto, la
Chiesa cattolica celebra la solennità di Maria SS. Madre di Dio.
Una festa tutta mariana (molto probabilmente
la prima) ma che vuole mettere al centro e ribadire la “divinità del figlio”. L’idea
centrale del dogma della maternità di Maria, infatti, è tutta a favore della
centralità della “divinità del figlio”. In questa solennità, come del resto nel
relativo dogma mariano, per arrivare alla “grandezza della madre” bisogna
ritornare al figlio: attraverso il figlio la madre è esaltata.
Questa solennità ci aiuta a fare
il percorso inverso che invece è di solito garantito in un rito di iniziazione.
Nei riti di passaggio o di
iniziazione, infatti, i giovani devono dimostrare di essere entrati a far parte
del mondo degli adulti, dei grandi, dei “pronti al matrimonio”, o del “gruppo
dei cacciatori”, o “uomini, soldati della fede…”: devono entrare a far parte
del gruppo degli iniziati.
Coi riti di iniziazione si entra
nel “gruppo” da cui si era esclusi.
La solennità del primo gennaio
ci insegna che per “entrare nel tempo” bisogna fare il percorso inverso: non
entrarci da “adulti” ma da bambini. Non da persone che desiderano quanto
auspicato dal tempo e nel tempo, ma da persone libere che vivono con sorpresa e
gratitudine il tempo che verrà.
In questa riflessione mi
accompagna un’altra considerazione: il primo gennaio è il giorno ottavo…
Otto giorni dopo il Natale
Fino a pochi secoli fa, il primo
gennaio, nella tradizione cristiana, non era altro che l’ottavo giorno da
Natale. Bisognerà aspettare il decreto del 1691 di papa Innocenzo XII perché
sia esteso a tutti la consuetudine di considerare il primo gennaio come primo
giorno dell’anno.
Dunque, il primo gennaio è un “giorno”
di compimento: l’ottavo dopo quello di Natale.
Per i Padri della Chiesa il
riferimento a otto giorni non era solo “segno-festa” ma “simbolico-sacramentale”:
vuol dire che l’Ottavo giorno dopo un avvenimento[i] è
considerato come il compimento, la pienezza dell’evento stesso. L’ottavo giorno
è il primo dopo l’ultimo della settimana: il compimento di un ciclo, di un
tempo, di un senso, e per questo si dice “Ottava” considerando tutti e otto giorni
come un unico grande momento, un unico grande giorno. Nella liturgia, tra
l’altro, durante l’Ottava si prega con il riferimento all’“Oggi”.
Prima dell’Ottava
Ma nell’antichità questo giorno
ottavo (dalla nascita di Gesù) era legato alla “circoncisione”.
Solo nel Medioevo a questa festa
si aggiunge quella della maternità di Maria forse perché il primo gennaio fu la
data in cui venne dedicata una Chiesa a Roma a Maria, Madre di Dio…,
successivamente anche festa[ii].
Ciò che fa riflette, al di là
delle notizie storiche, è che l’antica tradizione cristiana di festeggiare la
circoncisione di Gesù ci aiuterebbe, oggi più che mai, a riflettere sul tempo
che passa.
Mi spiego.
Nella circoncisione di Gesù la
tradizione vede due evidenze: Gesù realmente uomo (idea accantonata in
favore della divinità con la celebrazione della maternità di Maria, Madre di Dio…)
e l’anticipo dell’atto di autodonazione di Gesù (atto di sangue). In
altre parole, nella tradizione, la circoncisione di Gesù è vista come simbolo sacrificale
anzitempo. Come se, quella che è l’iniziazione ebraica (la circoncisione all’ottavo
giorno dalla nascita), fosse da intendere un anticipo del sacrificio di sangue
con cui il Cristo inaugura la nuova umanità redenta. Non a caso il colore
liturgico per la festa liturgica della circoncisione era il rosso, il colore della
Passione.
È poi singolare che nei “detti
segreti del Vangelo di Tommaso”, si riporti questo passaggio apocrifo:
«Gesù disse:
L’uomo vecchio di giorni
non esiterà ad interrogare un
bambino
di sette giorni
riguardo al luogo della vita,
e quell’uomo vivrà.
Perché molti dei primi saranno
ultimi
[e gli ultimi, primi],
e diventeranno una cosa sola».
(Vangelo secondo Tommaso, detto
4)[iii]
Gesù avrebbe così indicato nel
bambino non circonciso la giusta coscienza con cui affrontare il tempo come
futuro tutto da scoprire, davanti al quale non avere “precomprensioni”. Il
bambino non circonciso, non potendo avere alcuna memoria e alcun’aspettativa,
sarebbe aperto a qualsiasi percezione del mondo. Con la circoncisione, toccato
nel corpo, il bambino diverrebbe già “toccato”, già “segnato”. Ma è il corpo
del bambino Gesù ad essere considerato come il luogo eterno dell’alleanza tra “cielo
e terra”. E chi non entra in questa novità resterà ai limiti del tempo.
Sembra che il detto apocrifo del
Vangelo di Tommaso, sia proprio su questa linea.
D’altra parte, gli stessi Vangeli
canonici ricordano che per accogliere la novità evangelica bisogna essere come
bambini (Mt 18,1-5; Mc 9,33-37; Lc 9,46-48), pronti alle novità. E le novità da
attendere non sono relative a qualcosa che dovrà ancora succedere ma al tempo
che si fa dono per noi, poiché nel tempo ci è stato offerto “il” dono.
Il tempo come dono
Se anche noi affronteremo questo
prossimo anno solo con la tensione di chi vorrà buttarsi alle spalle il peggio,
se il futuro diventa una speranza triste o un’opportunità di buttare via il
passato, non avremo accolto la possibile novità del tempo.
Il tempo è presente.
Il tempo è pienezza.
Il tempo è saggezza.
Il tempo è verità.
Il tempo è libertà, se è accolta
la novità del “verbo che si fa continuamente carne”.
Il tempo è dono, se è accolta la
vita come “carne che si fa continuamente verbo”.
Il tempo è futuro pieno nella
misura in cui sappiamo accoglierlo come bimbi incuriositi e non come adulti impauriti.
Il tempo è pieno se è vissuto
come sapore dolce di affidabilità piuttosto che come attesa del compimento di progetti
di cui le lenticchie sono un inutile rimando superstizioso.
Il tempo è inizio se ci si spoglia
delle “certezze da adulto” e delle “attese da grandi”.
Il tempo è aperto nella misura
in cui è ricevuto come dono sorprendete e non come luogo in cui riporre le
nostre attese impegnate e impegnative.
Il tempo non vuole intenzioni,
vuole attenzioni.
Il tempo è il “bacio tenero di
un bambino” e non il “cincin ambizioso di un adulto”.
Il tempo è dono nella misura in
cui è vissuto, nel passato, nel presente e nel futuro, come il momento in cui
la pienezza di ogni tempo diventa promessa ora, qui e per sempre: promessa che nel
Dio-carne è perdono, totalità e tenerezza.
Il tempo è dono nella misura in
cui è accolto con magnanimità, non come attesa di qualcosa di migliore che
dovrà succedere ma come custodia di ciò che di meglio non poteva capitare: vivere
grazie ad un bambino sorprendente e sorpreso, avvolte in fasce (in sudari…),
per noi.
Il tempo è e sarà tale nella
saggezza di quei primi sette giorni di un bambino che accoglie tutto ciò che
verrà come sorpresa, come tensione, come amore filiale e folle.
Il tempo è e sarà compiuto nella
promessa, che nessun capodanno, nessun giorno, nessuna altra contingenza, potrà
regalarci se aspetteremo altre promesse.
Perché il tempo è come l’amore: se
non lo vivi, ogni definizione appare vuota.
Ma nella festa del primo gennaio
i cristiani sanno come accogliere il tempo che va e quello che viene, in memoria
di quelli che erano e di quelli che saranno e coi quali rimanere solidali per
sempre nel Dio che vive le nostre vite.
Questo i cristiani se lo possono
e se lo devono augurare nel giorno dell’Ottava, nel grande giorno di Natale,
quel Natale che nessun 25 dicembre potrà mai imprigionare e che nessuna Ottava riuscirà
a contenere.
Auguri.
[i] Pasqua, Natale… in passato
anche, tra le ottave maggiori, Pentecoste, Ascensione, Trinità, Corpus Domini, Assunta,
Natività di Maria, Santi Pietro e Paolo e ottave minori riferite al ricordo di
alcuni Santi presso alcuni ordini o alcune comunità, tanto che si parlò di ottave
privilegiate.
[ii] Così Righetti, Storia della liturgia,
vol. II, omissis.
[iii] Un altro detto, il 53,
del medesimo scritto recita:
«Un
discepolo Gli disse:
“La
circoncisione è utili o no?”
Lui
gli rispose:
“Se
fosse utile, il Padre li farebbe nascere
già
circoncisi dalla loro madre.
Ma
la vera circoncisione è nello Spirito.
Quella
si è utile!”»
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