Se 'mormorando' si può crescere...
Uno spunto sul "mormorare" come possibilità di crescita nella fede e per abbandonare narrazioni solo di "buona educazione". Per crescere nella fede non bastano i gruppi di preghiera né i gruppi social. Anche il "non mormorate" potrebbe nascondere un'esigenza di "blocco". Il confronto è necessario e inevitabile: la risposta agli schemi comportamentali di confort fa la differenza.
Umberto
Rosario Del Giudice
Già da
qualche settimana leggiamo, in varie circostanze, un rimando al “mormorare”.
La Scrittura
di solito esprime il “mormorare” col verbo greco γογγύζω (gogguzo o anche διαγογγύζω - diagogguzo - che rafforza l’idea dell’indignazione di molti, ovvero di molti che si lamentano indignati di qualcuno o qualcosa cfr Lc 15,2; 19,7). Un verbo
usato anche nel greco moderno (a volte con k- che sostituisce la prima gamma)
Ad ogni buon conto, i significati rimangono quelli di mormorare, brontolare, essere scontento, parlare insieme a bassa voce.
Raramente è
usato anche τρύζω
(truzo, mormorare o borbottare) che si riferisce più a dinamiche individuali e introspettive.
Il verbo
greco γογγύζω
nel NT non ha sempre il valore di “mormorazione indignata” ma anche di semplice
mormorio comune (cfr. Gv 7,12; 7,32) o un parlare scontenti (cfr. At 6,1) da cui nasce una presa di coscienza comune per ulteriori soluzioni.
Il “mormorare” di Gv 6,60 (del vangelo della XXI domenica del tempo ordinario anno B) indica “sdegno” ma anche “confusione”.
E qui nasce la questione: non si tratta di “mormorare” o di “lamentarsi” ma di essere “sdegnati” perché qualcosa o qualcuno non coincide con i nostri schemi morali, o almeno di capire "come sia possibile che...".
Alla luce di ciò, sarebbe opportuno predicare non “mormorii” con la stessa valenza, poiché ve ne sono di diversi. E quello che indica Giovanni non è il semplice “lamentarsi alle spalle” ma è lo sdegno che nasce da una contrapposizione di schemi morali o culturali o dalla impossilità di cogliere il senso profondo. I discepoli non potevano accettare che Gesù avesse indicato il proprio corpo e il proprio sangue come pane da mangiare e bevanda da bere per la vera vita. Ma avevano inteso bene oltre la metafora: non si trattava solo del "mangiare" e del "bere" ma del credere e della loro risposta nella fede alle esigenze della vita.
Per questo, alcuni andranno via, altri rimarranno (cfr. Gv 6,67; non c’è dubbio che questo brano sia parallelo giovanneo dell'episodio sinottico a Cesarea di Filippo - Mc 8,27-33-). La questione è come rispondere "nella fede".
Allora il problema non è il mormorare, il confrontarsi, l'interrogarsi, ma è fare in modo che quel “sentire scandalizzato di molti” non diventi normativo per me singolo. La "coscienza collettiva" può diventare una zona di confort che abbondona la crescita personale al "così fan tutti" o "ma io che posso fare" o, peggio, "queste sono le nostre regole"... Così l'eucaristia, come pane di vita, non è una questione di regole ma di fede.
Nelle dinamiche comuni del confronto (anche se sottovoce) si gioca l’apprendimento di norme morali, sociali e religiose.
Ma è chiaro che il problema
non è “mormorare”: interrogarsi su come sia possibile questo o quello, su
cosa sia giusto fare, è inevitabile.
Il vero problema è cosa il singolo fa per “imparare” bene dal sentire comune ovvero come il proprio comportamento debba adattarsi o meno a quello dei propri coetanei, familiari, amici, ritenendo il comportamento più comune o il più "normativo" per la propria comunità sociale ed ecclesiale. Nella fede, il singolo impara nella fede, e la fede si nutre continuamente di un "mangiare" che ci mette a confronto con la fede e la vita di Gesù.
Il confronto, dunque, è nella e con la fede e con il suo modo di concretizzarsi, non con regole
morali o con condotte sociali condivise, né col “buon costume” di non “sparlare”
(che nelle pagine neotestamentarie non sono prese in considerazione”). Non si
tratta di norme di buona educazione ma di come discernere per andare avanti
nella fede.
Spesso, la
fede si ferma a norme morali condivise. Una dimensione poco affine alla necessità
di crescere nella vita umana e nella vita credente.
Allora, lamentarsi, mormorare, parlare insieme non è il problema. Il vero problema è come ne usciamo e cosa impariamo.
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