Le radici profonde non gelano mai
Padre Luigi Bettazzi, non
sarà l’ultimo profeta. Tra i firmatari de “Il patto delle Catacombe” per una
chiesa serva e povera, è sicuramente uno dei profeti che il Novecento ci ha donato.
Questo Terzo millennio presenta e attende altre profezie e altri profeti.
Umberto Rosario Del Giudice
Oggi come allora era un “16”: oggi, 16 luglio Luigi Bettazzi, vescovo, muore
l’ultimo padre del Concilio Vaticano II. La data di oggi si interseca con un’altra:
il 16 novembre del 1965 una quarantina di padri conciliari celebrano l’eucaristia
nelle catacombe di Domitilla al termine della quale firmano quello che poi sarà
conosciuto come il “Patto delle Catacombe”. Scopo del Documento è quello di mettere
al centro “una Chiesa povera”, a servizio delle povertà e dei poveri, degli
ultimi.
Dal testo si coglie tutta la preoccupazione ma anche la profezia di
quei “quaranta”: consegnare al futuro una Chiesa più credibile spoglia di sfarzi
e meno preoccupata dello status ecclesiastico d’onore.
Ai “quaranta” preoccupava la “credibilità evangelica dei Pastori”.
A quel Documento, che riposto di seguito, oggi dovremmo aggiungere atri
punti, non nuovi, ma solo come forma di ripresa di alcuni principi conciliari,
riletti alla luce dell’oggi ecclesiali.
Se dovessi firmare quel documento, a quei punti aggiungerei da
battezzato:
- Servire ogni uomo (GS 3) e lavorare per la consapevolezza battesimale (LG 7);
-
Mettere
al centro la formazione di tutti i cristiani (SC 10; DV 21);
-
Ribadire
la necessità del dialogo ecumenico e interreligioso da tradurre in azioni
concrete di autoconsapevolezza e limitazione dell’assolutismo romano (LG 15-17);
-
Rilettura
della tradizione alla luce degli approfondimenti degli studi recenti (GS 36).
So bene che questi punti stanno a cuore a tutti; ma non li darei per
scontato: e restano punti fondamentali del mio piccolo “ministero da battezzato”.
Ma se questi punti oggi li posso scrivere, aggiungere, proporre, lo
devo a persone di fede come Luigi Bettazzi. Donne e uomini che in questi anni
mi hanno ribadito la centralità dell’esperienza di fede, dell’intelligenza di
fede e della carità nella fede.
Padre Luigi si va ad aggiungere a molte figure per me centrali. Grazie
a loro la Chiesa porta avanti una tradizione che non può essere taciuta, nonostante
i tanti sforzi di contenerla: quella del Concilio Vaticano II.
Grazie don Luigi. E grazie a, Serafina, Antonio, Carlo, Tonino e Maria Francesca
dalla quale riprendo questa citazione che lei lesse su uno dei tanti muri a
Napoli durante una delle sue tante missioni: «Le radici profonde non gelano mai».
Quella del Concilio rimane una radice profonda perché riprende in modo
più autentico quelle evangeliche.
A tutti il Novecento ha consegnato una Chiesa più attenta ai vissuti e
meno nostalgica dei passati sfarzi: a tutti il dovere di portare avanti questa
eredità.
Questo il Documento
«Noi, vescovi riuniti nel Concilio
Vaticano II, illuminati sulle mancanze della nostra vita di povertà secondo il
Vangelo; sollecitati vicendevolmente ad una iniziativa nella quale ognuno di
noi vorrebbe evitare la singolarità e la presunzione; in unione con tutti i
nostri Fratelli nell'Episcopato, contando soprattutto sulla grazia e la forza
di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla preghiera dei fedeli e dei sacerdoti della
nostre rispettive diocesi; ponendoci col pensiero e la preghiera davanti alla
Trinità, alla Chiesa di Cristo e davanti ai sacerdoti e ai fedeli delle nostre
diocesi; nell'umiltà e nella coscienza della nostra debolezza, ma anche con
tutta la determinazione e tutta la forza di cui Dio vuole farci grazia, ci
impegniamo a quanto segue:
1.
Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra
popolazione per quanto riguarda l'abitazione, l'alimentazione, i mezzi di
locomozione e tutto il resto che da qui discende. Cfr. Mt 5,3; 6,33s; 8,20.
2.
Rinunciamo per sempre all'apparenza e alla realtà della
ricchezza, specialmente negli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti), nelle
insegne di materia preziosa (questi segni devono essere effettivamente
evangelici). Cf. Mc 6,9; Mt 10,9s; At 3,6. Né oro né argento. Non possederemo a
nostro nome beni immobili, né mobili, né conto in banca, ecc.; e, se fosse
necessario averne il possesso, metteremo tutto a nome della diocesi o di opere
sociali o caritative. Cf. Mt 6,19-21; Lc 12,33s.
3.
Tutte le volte che sarà possibile, affideremo la
gestione finanziaria e materiale nella nostra diocesi ad una commissione di
laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, al fine di essere,
noi, meno amministratori e più pastori e apostoli. Cf. Mt 10,8; At. 6,1-7.
4.
Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per scritto,
con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza,
Monsignore…). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre. Cf.
Mt 20,25-28; 23,6-11; Jo 13,12-15.
5.
Nel nostro comportamento, nelle nostre relazioni
sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi,
priorità, o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (es.
banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi). Cf. Lc 13,12-14; 1Cor
9,14-19.
6.
Eviteremo ugualmente di incentivare o adulare la vanità
di chicchessia, con l'occhio a ricompense o a sollecitare doni o per qualsiasi
altra ragione. Inviteremo i nostri fedeli a considerare i loro doni come una
partecipazione normale al culto, all'apostolato e all'azione sociale. Cf. Mt
6,2-4; Lc 15,9-13; 2Cor 12,4.
7.
Daremo tutto quanto è necessario del nostro tempo,
riflessione, cuore, mezzi, ecc., al servizio apostolico e pastorale delle
persone e dei gruppi laboriosi ed economicamente deboli e poco sviluppati,
senza che questo pregiudichi le altre persone e gruppi della diocesi.
Sosterremo i laici, i religiosi, i diaconi o i sacerdoti che il Signore chiama
ad evangelizzare i poveri e gli operai condividendo la vita operaia e il
lavoro. Cf. Lc 4,18s; Mc 6,4; Mt 11,4s; At 18,3s; 20,33-35; 1Cor 4,12 e 9,1-27.
8.
Consci delle esigenze della giustizia e della carità, e
delle loro mutue relazioni, cercheremo di trasformare le opere di
"beneficenza" in opere sociali fondate sulla carità e sulla
giustizia, che tengano conto di tutti e di tutte le esigenze, come un umile
servizio agli organismi pubblici competenti. Cf. Mt 25,31-46; Lc 13,12-14 e
33s.
9.
Opereremo in modo che i responsabili del nostro governo
e dei nostri servizi pubblici decidano e attuino leggi, strutture e istituzioni
sociali necessarie alla giustizia, all'uguaglianza e allo sviluppo armonico e
totale dell'uomo tutto in tutti gli uomini, e, da qui, all'avvento di un altro
ordine sociale, nuovo, degno dei figli dell'uomo e dei figli di Dio. Cf. At.
2,44s; 4,32-35; 5,4; 2Cor 8 e 9 interi; 1Tim 5, 16.
10.Poiché la collegialità dei vescovi
trova la sua più evangelica realizzazione nel farsi carico comune delle
moltitudini umane in stato di miseria fisica, culturale e morale – due terzi
dell'umanità – ci impegniamo: • a contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a
investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere;
• a richiedere insieme agli
organismi internazionali, ma testimoniando il Vangelo come ha fatto Paolo VI
all'Onu, l'adozione di strutture economiche e culturali che non fabbrichino più
nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che però non permette alle
masse povere di uscire dalla loro miseria.
11. Ci impegniamo a condividere,
nella carità pastorale, la nostra vita con i nostri fratelli in Cristo,
sacerdoti, religiosi e laici, perché il nostro ministero costituisca un vero
servizio; così:
• ci
sforzeremo di "rivedere la nostra vita" con loro;
• formeremo
collaboratori che siano più animatori secondo lo spirito che capi secondo il
mondo;
• cercheremo
di essere il più umanamente presenti, accoglienti…
• saremo
aperti a tutti, qualsiasi sia la loro religione. Cf. Mc 8,34s; At 6,1-7; 1Tim 3,8-10.
Tornati alle nostre rispettive
diocesi, faremo conoscere ai fedeli delle nostre diocesi la nostra risoluzione,
pregandoli di aiutarci con la loro comprensione, il loro aiuto e le loro
preghiere.
Aiutaci Dio ad essere fedeli».
grazie Umberto.
RispondiEliminaè già qualche anno che ho ricercato il Patto, ero in uno dei miei periodi di missione in Togo (del come e perché sono arrivato e "rimasto" in quel paese sconosciuto ai più e dimenticato da tutti è una triste storia, ecclesiale), lessi del Patto, lo cercai trovandolo con fatica, lo tradussi in francese e lo feci avere a qualche prete, a qualche fedele e, recentemente, anche all'ultimo vescovo consacrato ... sono convinto che una Chiesa lontana dalla ricchezza e dal potere (umano) che ne deriva è la Chiesa che vuole lo Sposo ...