Il drago di Georg: dalla bocca più fumo che fuoco

 


Le “verità” di mons. Georg Gänswein rischiano di essere un grande doppio boomerang: da una parte rivela chiaramente il pensiero di papa Benedetto XVI, la sua mansuetudine e la sua bontà caratteriale forse ingenua; dall’altra, rivela se stesso, le sue paure, le sue nostalgie: limiti personali che raccontano di un uomo disposto a tutto per “fare verità” dal sapore però del fare vendetta. Il suo racconto rimane fumo: niente che non fosse già trapelato. Apprezzabili rimangono solo alcune ricostruzioni che gettano luce sulle chiare preoccupazioni di papa Francesco e su alcune ingenuità di Benedetto XVI, sant'uomo nell'attenzione e nella devozione.

 

 [Stemma di mons. Gänswein (2012-2017) che riprende (a sinistra) lo stemma di papa Benedetto XVI (prerogativa del Prefetto della Casa pontificia)]


Umberto Rosario Del Giudice

 

È appena uscito il libro di mons. Gänswein, Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI (edizioni Piemme). Ad una veloce lettura (circa 320 pagine più una postfazione di Saverio Gaeta che non si risparmia in “profezie” sui papi santi…) le reazioni sono varie. La prima è quella di trovarsi davanti ad una serie di “confessioni” di stati d’animo che risultano più una “autobiografia” assolutoria che un lineare ricordo di papa Benedetto. Queste pagine provocano anche una certa comprensione per un uomo che si è trovato senza punti di riferimento (che nel suo sistema sarà apparso come vero e proprio incubo –basta leggere la risposta che dà a papa Benedetto quando gli comunica la volontà di rinunciare: “questo è impossibile”…–). Le sue parole non possono non suscitare anche sorpresa, non per quello che rivela (scagiona papa Benedetto e assolvere sempre se stesso) ma per quello che fa trasparire: papa Francesco appare duro e il suo operato incomprensibile almeno in alcuni passaggi (e almeno dal punto di vista di Benedetto e dal punto di vista di chi lo racconta, ovvero il suo…). Tuttavia, dai suoi racconti appaiono ancora più chiare e giuste le preoccupazioni di papa Francesco che vedeva crescere intorno a sé una schiera di schierati.

Accanto a questi passaggi, mons. Gänswein non mette mai in dubbio la sua fedeltà a Benedetto e a Francesco: e nessuno lo aveva fatto. Sta però che ora il tono inizia a sostanziare dubbi circa la sua piena e vera fedeltà prudente.

 

Rivelazioni? No: ricordi chiari

Forse chi si aspettava rivelazioni choc rimarrà un po’ deluso dal testo di mons. Georg Gänswein.

Il testo appena uscito è una lunga semi-biografia che racconta gli intensi anni che mons. Gänswein ha trascorso a diverso titolo prima con il Card. Ratzinger e poi con Papa Benedetto. Un lungo “ritiro spirituale”.

Ma è soprattutto del periodo a seguito del pontefice che mons. Gänswein scrive e lo fa, senza ombra di dubbi, per mettere fine ad un periodo in cui il suo stare a fianco di papa Benedetto coincideva per molti col suo “confino” e soprattutto col suo essere portavoce di papa Benedetto e trait d’union tra lui e la frangia reazionaria contro Bergoglio. Nel libro mons. Gänswein ribadisce che non ha mai voluto rivestire nell’uno né l’altro ruolo pur sentendosi in qualche modo confinato, ovvero “dimezzato” dalla sua funzione, potestà e dignità di Prefetto della Casa Pontificia.

Il testo rivela alcune “frecciatine” a papa Francesco; ma, a mio avviso, il vero problema era il modo in cui lui ha vissuto il suo “riposizionamento” all’interno della schiera di papa Francesco senza accorgersi che era un mezzo per la tutela di tutti (anche il suo, visto che veniva usato da varie frange –com’è accaduto–). Il Sommo pontefice, infatti, ritenne opportuno riservare il ministero di mons. Gänswein alla persona di Benedetto XVI per due motivi: assicurare una certa rete di protezione a papa Benedetto (poiché molti hanno voluto e avrebbero voluto usarlo allo scopo di intessere una ragnatela contro papa Francesco) e per non chiederne le dimissioni da Prefetto, ovvero per non allontanarlo da Benedetto, onde evitare che anche lui cadesse vittima di chi, in un modo o nell’altro, avrebbe potuto usarlo (ed è successo).

Certo è che da alcuni toni del libro emergono chiaramente che mons. Gänswein, pur nella filiale e devota obbedienza a papa Francesco, non legasse molto con lui, con i suoi modi e con il suo pensiero: e ora ha l’occasione di “togliersi qualche sassolino dalla scarpa”. E poiché papa Francesco ha più volte dato testimonianza che preferisce governare speditamente che cercare di far ragionare i suoi collaboratori, per la qual cosa ha bisogno di sicuro sostegno da chi gli sta vicino, ha preferito sollevare da alcuni incarichi il Prefetto per evitare di dover stare attento a lui e a se stesso.

In fondo, la “redistribuzione degli incarichi” del Prefetto ha salvato lo stesso mons. Georg Gänswein perché lo ha preservato da altri pericoli o incongruenze. E se fossi in lui direi solo “grazie, papa Francesco”.

Detto questo non si possono tacere le “frecciatine”: a mons. Gänswein papa Francesco appare come un uomo che non dà spiegazioni. In realtà, appare un uomo deciso che deve confrontarsi con una realtà inedita: avere a che fare con un papa rinunciatario che molti vorrebbero usare contro di lui.

Brutte anche le frecciatine a proposito di Evangelii gaudium e Amoris lætitia: parlandone mons. Gänswein dichiara che alcune affermazioni non sarebbero in linea con il sistema teologico di papa Benedetto diventando testimone del “pensiero ratzingeriano”. Affermazioni molto pericolose le sue: eppure hanno il sapore di molto fumo e poco arrosto poiché sarà facile ripercorrere i limiti di alcune posizioni teologiche pur salvaguardando sempre la persona di Benedetto XVI (come nel caso del sistema del rito extraordinario che nel libro stesso viene evidenziato solo come opportunità pastorale…).

Rimane il fatto che sembra si sia scaricato da dosso un peso e abbia detto la sua “verità, nient’altro che la verità”. Ciò che pesa non è il suo racconto, quasi una chiarificazione che, a tratti, serve (vedi il caso dello scritto del Card. Sarah…): anzi, illumina ingenuità non da poco a carico suo e della persona di Benedetto. Saranno tanto fumo però le allusioni al pensiero di Benedetto che non avrebbe apprezzato alcune “uscite” del Pontefice. Questo aggiungerà benzina al fuoco che continuerà però a produrre solo fumo: un fumo che certamente non servirà per sporcare né la talare bianca di Benedetto XVI né quella di Papa Francesco. Il fumo di queste pagine potrebbe sporcare solo talari nere, con fasce cremisi e fasce rosso cardinalizio e potrebbe solo evidenziare l’ingenuità di qualcuno, pur posto a grandi responsabilità ecclesiali…

 

Perché alcuni particolari?

Non si possono tacere alcuni particolari come il riferimento alle reazioni di Benedetto XVI nel leggere alcuni passaggi di Amoris lætitia e di Evangelii gaudium (nn. 27; 40; 41).

Non si comprende bene neanche lo scopo di citare il nome, e quindi il pensiero, di Peter Hünermann, noto per aver impostato alcune riflessioni ben viste (e utilizzate) da Papa Francesco ma mal viste da Benedetto XVI. Si tratta solo di “sistemi teologici” e il pluralismo è lecito; ma il racconto di mons. Prefetto è ambiguo: getta chiaramente ombre sul magistero del Pontefice e lo fa senza comprenderne il pensiero. Le sue affermazioni sono solo di “autorità”; il testo è un racconto: non vuole entrare in questioni teologiche. Eppure, lo fa con rimandi alle sensazioni (sue e di Benedetto), senza articolare pensieri. E questo è ingenuo, pericoloso e dannoso.

Quando poi cita il motu proprio di Francesco sull’Ordo vetus, non tarda a ribadire con le parole di Benedetto, che, se da una parte «il Pontefice regnante ha la responsabilità di decisioni come questa e deve agire secondo ciò che ritiene come il bene della Chiesa», dall’altra «a livello personale, riscontrò un deciso cambio di rotta e lo ritenne un errore, poiché metteva a rischio il tentativo di pacificazione che era stato compiuto quattordici anni prima». Evidenziare che per Benedetto si trattò di un “errore” è un “fumo” gettato negli occhi di molti, che continueranno a barcollare nelle nostalgie senza comprendere le ragioni di papa Bergoglio: è lecito pensare in modo diverso; non è lecito porre affermazioni che ricordano più disposizioni autorevoli che ragionate. Insomma, si cita la reazione di Benedetto come unica fonte ex auctoritate, ed è questo che è insopportabile, per la fede e per la ragione. Anzi, a veder bene, l’unica motivazione di papa Benedetto per la celebrazione della messa secondo il messale di Pio V è la preoccupazione pastorale, non teologica, di non mettere un gruppo di fedeli nell’angolo e farlo “sentire isolato”… Ma se questo è vero (e non ci sono motivi per dubitare), perché proporre una lettura “teologica” delle “due tradizioni” e una giustificazione canonica (extra-ordinario…)?

Alla luce di questa affermazione è chiaro che papa Benedetto avesse motivazioni pastorali mentre papa Francesco ha motivazioni teologiche (relazione tra rito e tradizione). Sulla liturgia gli aneddoti di mons. Gänswein cadono in alcuni pressapochismi che qui sarebbe lungo riprendere (l’uso della lingua latina associato alla celebrazione con rito di Pio V…), e lascia il fianco scoperto a chi nulla comprende della riforma e tutto vuole dire delle nostalgie. Circa poi le “vere intenzioni” di Benedetto, il riferimento non è falsificatorio ma utile alla memoria stessa dell’operato di Benedetto: insomma, meglio dire “vere intenzioni” che “intenzioni erronee”.

Le “verità” di mons. Gänswein rischiano di essere (e di fatto sono) un grande boomerang non sulla persona ma su pensiero di Benedetto XVI. E chiaramente la persona di papa Benedetto XVI emerge in tutta la sua caratura quando sono riportate i fatti che raccontano del suo operato circa gli abusi su minori: la linearità con cui si è mosso, per tempi e circostanze, non è seconda a nessuno. È chiaro però che l’utile difesa rispetto a queste circostanze non può illuminare di autorità anche tutto il pensiero circa le riflessioni (personali) sulla tradizione e sul rito.

Tuttavia, la lettura quasi “profetica” sul futuro della Chiesa e del mondo lo riporta ad essere un romanziere nostalgico che non comprende le sfide della religiosità contemporanea.

Sicuramente, la vita e la tensione di Benedetto XVI sono quelle di un uomo “buono e giusto”. E su questo si può concordare con il racconto e il pensiero di mons. Gänswein. Ma le virtù non vanno confuse con la dottrina (né con l’autorità su essa e al posto di essa), e la valutazione positiva delle prime non dice la canonizzazione assoluta della seconda: come invece lui lascia intendere.

 

Attenzione al fumo

Ringrazierei mons. Gänswein per molti passaggi del suo libro chiarificatori; lo ringrazierei anche per la parresia, che va riconosciuta; lo ringrazierei per aver condiviso sentimenti di un uomo fedele: ma gli ricorderei che molte affermazioni (e toni) rischiano ancora di essere usate per gettare altro fumo e per non chiarire in termini teologici le scelte del Pontefice.

Ora due sono le possibilità: o non ha messo in conto la probabilità che tutto possa provocare ancor di più i nemici di Francesco contro Francesco, o ha usato il suo racconto proprio come arma.

Entrambe le cose, però, non sono consoni alla prudenza di un arcivescovo che, come lui, è navigato tra le stanze vaticane, e soprattutto in questi anni inediti (a meno che non voglia buttare benzina sul fuoco). Forse mons. Gänswein sa già di essere destinato ad altri servizi pastorali? Ma anche in questo caso, mons. Gänswein non dovrebbe soffiare sul fuoco perché l’unico risultato che avrà sarà più fumo negli occhi di chi lo leggerà con sospetto verso papa Francesco e contro la prassi pastorali e la dottrina che si vanno affermando grazie all’apostolato instancabile e fecondo del Pontefice e dei suoi più stretti collaboratori.

Con questo libro mons. Gänswein ha perso l’occasione di “fare la verità” su sé stesso e su chi ha remato contro l’attuale Pontificato. Cosa rimarrà del libro? Una grande operazione editoriale!


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