"Ero cras!": Natale come profezia
Le Antifone maggiori, com'è noto, nascondono un piccolo acrostico interessante. Sapienza antica di una guida pratica di vita.
Negli ultimi
giorni ho postato sul mio profilo Facebook alcune lettere immediatamente
precedute da altri post che riportavano i versi delle cosiddette “Antifone in
‘O’” o anche “Antifone maggiori”.
Le lettere, in ordine dal 17 al 23 dicembre, sono le seguenti: S, A, R, C, O, R, E.
Queste
lettere sono le iniziali delle prime parole che seguono l’invocazione (“O”,
appunto) delle antifone vespertine al cantico del Magnificat.
Le lettere
rimandano all’incipit di ciascuna antifona in latino, secondo il seguente
ordine:
S = Sapientia (Sapienza);
A = Adonai
(mio Signore, in ebraico);
R = Radix
(Radice, ovvero “germoglio”);
C = Clavis
(Chiave);
O = Oriens
(Oriente, ovvero “astro nascente”);
R = Rex
(Re);
E = Emmanuel
Queste
lettere se messe in ordine dall’ultima alla prima, dal 23 al 17, rivelano una frase
in latino:
ERO CRAS
La traduzione della frase è “sarò domani”, meglio se si rende il verbo con “ci sarò”, ovvero
“verrò”. Infatti, dal vespro del 24 inizia la solennità del Natale che si
estenderà per otto giorni fino a tutto il tempo di Natale (seconda domenica
dopo l’Epifania).
Questo utile
escamotage dell’acrostico, caro agli antichi e usato da scrittori medievali
spesso per agevolare la memoria, serviva anche per dare mostra di capacità
letterarie o per il gusto di creare un espediente tra il misterioso e il nascosto per poi lasciare che qualcuno scoprisse
e rivelasse, quasi come se si celasse un sapere segreto, un ulteriore
significato. Il medioevo ne è pieno.
Qualcuno
mette in dubbio che fosse nell’intenzione dell’autore creare un acrostico per
le antifone maggiori. A me pare che più che nascondere un significato si voleva proporre una promessa,
sebbene celata agli occhi dei più: la frase, infatti, non può aiutare la memoria poiché è
possibile leggerla solo al contrario, ma rivela una certezza profetica e indica una
speranza. “Verrò domani”, sta anche a dire “verrò presto”, oppure “eccomi”…
come riporta l’ultima dichiarazione nell’apocalisse di Giovanni: “Sì, vengo
presto” (“Ναί; ἔρχομαι ταχύ”; Ap 22, 20).
Ma questo
“venire” non dobbiamo limitarlo alla sola solennità della natività. È vero, la
tradizione conosce tre “venute”: il Cristo è venuto nella storia allora, viene
nella storia ora e verrà come compimento della storia.
Eppure, la “venuta”
non è solo “storica”, “mistica” o “escatologica”; ed è vero pure che la sua
“venuta” va cercata nel povero, nel discriminato, nel rifugiato o nel
rifiutato (caro retaggio omiletico). Questa visione è giusta ma ancora limitante.
La “venuta del
Cristo” è una realtà costante che abbraccia ogni individuo, ogni donna, ogni
uomo; tutti. La sua “presenza” è tale perché la sua “natività” è legame con
ciascuno e in ciascuno.
Ma
soprattutto, la sua presenza, forte, tenace, reale, veritiera, diventa l’essenza e insieme il progetto di ogni persona. Non abbiamo bisogno di
scimmiottare il Cristo ma di liberare le nostre identità profonde per dargli un
ulteriore volto. Per questo, la “venuta del Cristo” è anche progettuale, è “da venire”. Ogni donna e ogni
uomo può essere migliore per esprimere il meglio di sé. Il “Natale” sarà anche scoprire
a poco a poco il meglio di sé, nella progettualità e nella realtà quotidiana.
Ero cras; “sarò domani” e anch’io “domani
sarò migliore”. È una realtà che invita alla progettualità e alla proiezione
di sé. E senza una proiezione di sé, nel bene, la persona rischia
l’ammutinamento del sé o l’annichilimento folle o il dominio e la violenza sull’altro. Se non c’è la possibilità di
essere migliori, infatti, l’unica via di fuga è “relativizzare gli altri” o “dominarli”.
Il Natale è quella Pasqua di tenerezza verso sé e verso la verità di sé che deve aiutare ad affrontare il futuro: è rivelazione di sé al mondo e a se stessi.
Forse, proprio la proggettualità di sé spaventa molti, tanto che
in questi giorni aumentano i sensi di ansia, di angoscia, di confusione… e alla
fine abbiamo bisogno di folli notti e forti botti per esorcizzare il buio, il
nulla, quel futuro che ancora fa paura.
Tornare a
sé; averne cura; avere un senso concreto di sé e proiettarsi verso gli altri
che sono sempre il nostro futuro immediato; proiettarsi verso l’Altro che
rimane sempre il nostro futuro anteriore, ovvero il nostro principio profondo.
Sarò domani non è solo un augurio: è una promessa che ciascuno può fare a se stesso, agli altri, al mistero della vita.
Nella vitalità del Cristo nato e presente, posso progettare il meglio, posso pensare al meglio per me e per gli altri anche se i contesti non sono i più belli.
Natale è conservare la sapienza del proprio volto nei vari contesti della vita.
Sarò migliore. Sarò libero. Sarò presente.
Io ci sarò. Ero cras!
Amen
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