Scelta del cognome, nome cristiano e automatismi incostituzionali
La scelta dei nomi per il battesimo sembra subbisca una prassi "canonicamente incostituzionale": se è vero che tutte le norme che impongono automaticamente il cognome del padre sono incostituzionali, non meno incostituzionale, dal punto di vista canonico, appare la prassi di dover imporre il nome di un Santo o di una Santa cristiani. Gli automatismi imposti, sono illegittimi: cognomi e nomi, se scelti per la dignità e l'identità della persona, non lo sono mai.
Sant'Emidio che battezza Sant'Olisia (Basilica dell'Incoronata, Napoli)
Umberto Rosario Del Giudice
Incostituzionalità delle
norme unilaterali di attribuzione del cognome
La recente
dichiarazione della Corte costituzionale circa l’illegittimità costituzionale
di tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre ai
figli, conclude un dibattito lungo.
Le ragioni
del pronunciamento saranno depositate nelle prossime settimane, ma basta poco
per comprendere che entrambi i genitori devono poter condividere la scelta del
cognome o dei cognomi da attribuire al figlio.
Il cognome è
nato come identificazione e appartenenza rispetto ad una famiglia, ad una
“gens”. Basta tornare indietro di qualche decennio e ricordare come alcune
persone erano identificate direttamente con l’appartenenza ai genitori (“figlio
di… e di…”), di cui prendeva però il cognome solo dalla famiglia paterna.
Usanza che è rimasta nell’anagrafe attuale (anche se spesso sostituito con
“genitore 1” e “genitore 2”, e per altri motivi). Il “figlio” e la “figlia”
andavano ben identificati con “nome” e “cognome” (magari anche “soprannome”)[1]. In
ogni caso, è chiara l’evoluzione: oltre ad identificare la persona bisognava
che la stessa fosse riconosciuta parte di una famiglia, di una “discendenza”. Ma
dalla “discendenza socialmente riconosciuta” la cultura ha operato un lento
passaggio che ha portato alla “identificazione intima del soggetto nato”. In
altre parole, in una società patriarcale, la discendenza non poteva che portare
avanti il cognome del “padre” e della sua famiglia”. In una società aperta e,
allo stesso tempo, rispettosa della vita familiare, la discendenza deve lasciar
posto all’accoglienza e al riconoscimento condiviso e corresponsabile della
figlia o del figlio.
E se il cognome
costituisce elemento fondamentale del riconoscimento corresponsabile della
figlia e del figlio, non meno importante diventa il nome in relazione alla
identità personale del soggetto. Entrambi, e questo è il presupposto, fanno
parte di una “scelta” dei genitori (o di chi esercita la responsabilità
genitoriale). Tale scelta non può essere pregiudicata da un’imposizione di
legge poiché le norme non possono interferire col rispetto della vita privata e
familiare (CEDU, 8).
La scelta del nome nel
Codice di Diritto canonico
La circostanza
rimanda la mente dal cognome al nome.
Se è
incostituzionale imporre in modo automatico il cognome del padre, è anche canonicamente
incostituzionale imporre un nome che non sia quello di “un santo cristiano”, magari accostato a quello scelto dalla famiglia.
La norma è chiara: non l’imposizione di un nome di un santo, ma una scelta che abbia un “senso
cristiano”… Qui si apre una possibile riflessione sulla norma prescritta dal Codice e la sua interpretazione.
È risaputo che
nella Chiesa la scelta del nome da dare al battezzando ricade su genitori
che però devono essere coadiuvati da padrini e parroco affinché il nome “imposto”
non sia estraneo al senso cristiano (a sensu christiano alienum;
cfr. can. 855 CIC 1983). La prassi, purtroppo, non ha recepito il cambio
decisivo tra il CIC del 1917 e quello attuale. La norma precedente, infatti, poneva
l’obbligo di imporre al battezzando un “nome cristiano” e, se non possibile,
aggiungere nel registro dei battezzati un nome di un Santo al nome scelto (cfr.
can. 761 CIC 1917). Se questa era una prassi antecedente alla codificazione del
1983, non è raro ancora oggi trovare parroci che si oppongono a nomi non riferibili
a “santi cristiani”.
Ai vari Maia,
Dafne, Elettra, Kevin, Marika, Furio… e
perfino al devotissimo “Gloria”, molti parroci pretendono, in nome del
can. 855, l’aggiunta di un “nome di santi cristiani”. La prassi, dunque, di
aggiungere il nome di un santo cristiano a quelli che sono definiti nomi adespoti
(che, cioè, non hanno un relativo santo o santa) appare ormai del tutto illegittima[2].
Non si tratta più, infatti, di “imporre un nome cristiano” ma di assicurarsi
che il nome non sia “alieno dal senso cristiano”.
Senso cristiano del nome?
Per comprendere
cosa voglia dire quel “senso cristiano” riferito al nome bisogna
risalire alle motivazioni storiche che portarono a normare l’imposizione di nomi
“coerenti con la fede cristiana”. Il CIC del 1917, infatti, tese a radicalizzare
una prassi secolare: evitare nomi apertamente contrari al cristianesimo o
nomi troppo fantasiosi o lesivi della dignità del “battezzato”.
Le
motivazioni che escludono nomi antitetici o troppo ingegnosi sono riportati
dalle cronache e dai dizionari antecedenti alla prima codificazione (quella del
1917).
La
motivazione fondamentale è quella di non ricorrere a nomi tradizionalmente pagani
(Saturnino, Bacco, Pallade, Giove…) o di personaggi
che hanno contribuito alle persecuzioni cristiane; inoltre, non dovevano esser
imposti nomi “indecorosi” o offensivi del buon costume. Anche la “moda” di
chiamare i propri figli con nomi di animali era ritenuta troppo fantasiosa e
lesiva della dignità del battesimo (“tamquam Dei filiis in Christo
regenerandis”).
Così nel
rituale romano le rubriche prescrivevano che il sacerdote doveva curare che non
fossero imposti nomi osceni, fantastici, ridicoli o appartenenti a divinità
varie, oppure a nomi empi di varie etnie; piuttosto avrebbero dovuto favorire i
nomi di santi patroni, ammirando gli esempi dei quali i fedeli sarebbero stati
mossi alla devozione (nomen imponitur curet [sacerdos], ne
obscœna, fabulosa, aut ridicula, vel inanium deorum, vel impiorum ethnicorum hominum
nomina imponantur, sed potius Sanctorum, quorum exemplis fideles ad pie
vivendum excitentur, et patrociniis protegantur).
Lo
stesso nome “Gesù” era reputato non rispettoso (solo i cristiani di Siria hanno
per lungo tempo conservato la tradizione di imporre il nome di Gesù ai figli).
Eppure, i vari
divieti non arrestarono la consuetudine di imporre nomi scelti tra i tantissimi
disponibili. Bisogna aggiungere che nell’antichità molti erano battezzati da
grandi e, poi, finirono per… essere canonizzati. Così Orsola (IV sec.), Colombano
(V sec.); lo stesso Agostino, “cognomen” romano derivato da Augustus,
è oggi certamente un nome “con senso cristiano”…
Conclusione
La scelta
del nome ha a che fare con l’intimità familiare. E tanto vi è intima autodeterminazione quanto vi disponibilità relazionale; la profondità dei rapporti familiari, infatti, si ripercuote sulla capacità di essere aperti al bene altrui. Intimità e magnanimità si rimandano: e questo è un senso cristiano del vivere.
In questa intimità magnanima i nomi (e i cognomi) possono essere scelti. I
genitori, anche per il Codice, possono scegliere il nome che ritengono più
opportuno. Sarà il comune senso delle cose ad evitare di chiamare un figlio “Idea”,
“Lampada”, “Permaloso”, “Scuola”, o semplicemente “Culo” magari rimandando alla
fortuna avuta nel generarlo… Il riconoscimento è un atto intimo ma anche dignitoso:
ed è evidente che l’imposizione di un nome debba riferirsi all’accoglienza di
una nuova identità. Il latino “imporre”, infatti, non rimanda al legalistico “addossare
un obbligo” o al più amministrativo “nominare per rivendicare”; “imporre”
rimanda al “collocare in alto”, allo “stabilire”, al “costruire”. E i genitori
sono chiamati a costruire con i propri figli un vissuto entusiasmante a tutela
della dignità di tutti, di chi dona e di chi riceve il nome. D’altra parte, combinare
nel battesimo il nome con l’accoglienza di un doppio dono (genitorialità e sacramento)
non potrà certo far pensare a nomi tanto estrusi.
Purtroppo,
molti parroci pretendono ancora il “nome di un santo”. E se la prassi farà
ancora annotare parroci fermi all’interpretazione del 1917 vi potranno essere i
presupposti di un ricorso amministrativo e, addirittura, la possibilità di
appellarsi al diritto al “rispetto della vita privata e familiare” sancito dai
Diritti europei. Nella vita familiare e nella sua intimità nasce il “senso
cristiano” e la capacità di scelta di ogni nome e di ogni cognome. Un’intimità
che, se davvero tale, saprà aver a che fare con la relazione con chi non è
della famiglia, con un nome radioso, rispettoso anche se del tutto nuovo…
E pazienza
se anche Greta, oggi molto diffuso, per ora deve fare la fila tra i nomi adespoti:
il senso cristiano risiede nell’identità della persona e nel riconoscimento
che i genitori hanno di essa.
Non la scelta di un nome nuovo o adespota, ma ogni pretesa
di porre “automaticità” è incostituzionale, tanto per il cognome quanto per il
nome, tanto davanti agli uomini quanto davanti a Dio.
[1] In antichità la corrispondenza tra sostantivi latini
e italiani non è così immediata. Al nome odierno corrisponde il “prænomen”; al cognome, corrisponde il “nomen”; e al
soprannome corrisponde il “cognomen”.
[2] Su un sito si legge addirittura: «Al momento del
battesimo il parroco non può rifiutarsi di battezzare il neonato con il nome
scelto dai genitori se questo non risulta nell'elenco dei santi. Il codice di
diritto canonico stabilisce però che "i genitori, i padrini e il parroco
abbiano cura che non venga imposto un nome estraneo al senso cristiano".
Pertanto se il parroco è reticente i genitori possono scegliere di aggiungere
al nome scelto un nome di "senso cristiano" che abbia cioè
corrispondenza tra i santi e beati» (https://www.nomix.it/nome-adespota.php).
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