Pietro e Paolo: responsabili nella fede e nei dubbi

 

 


“La fede è ventiquattrore di dubbi e un minuto di speranza” (Les innocentes, 2016). Ma la fede è principalmente responsabilità, che chiama tutti i fedeli, dagli Apostoli ai laici, dai papi ai dei vescovi, ad essere sé stessi.




 Umberto R. Del Giudice


Nella celebrazione di oggi, il Papa ha consegnato il pallio, una fascia che cinge il collo e che ricorda il mantello con cui si cincevano i dignatari e ufficiali di stato romani, così come filosofi, pedadoghi e istruttori in genere. Il pallium era il simbolo di una certa responsabile cittadinanza. Divenne presto sacrum, poiché anche i vescovi cristiani se ne freggiarono al posto della più ingombrante toga. Ancora oggi nella Chiesa è il simbolo di una responsabilità condivisa nella comunione.

Di questo la Chiesa ha tremendamente bisogno: una responsabilità condivisa, oltre ogni sacrum dottrinale o disciplinare.

La responsabilità abilita la fede di tutti, altrimenti la fede rimane monca del tutto. 

Tento di spiegarlo con due frasi.

In un film del 2016, uscito col titolo di Agnus Dei in Italia, la monaca di un monastero polacco dichiara apertamente i suoi dubbi di fede ad una giovane dottoressa della Croce Rossa francese. Il suo tormento era questo: come poteva Dio aver voluto che lei e le sue consorelle vivessero l’orrore delle violenze sessuali da parte di alcuni uomini dell’armata rossa?

Come avrebbe Dio potuto permettere quell’orrore? E cosa mai avrebbe potuto volere ora dalle monache?

In quel contesto, la frase della monaca è emblematica. La sua è unesclamazione che, a ben vedere, è ricca di una fede particolare costruita su una falsa immagine di Dio e della storia. La monaca vicaria esclama: “La fede è ventiquattrore di dubbi e un minuto di speranza”.

La narrazione incalza. Giungono i giorni del parto delle monache abusate. Cosa fare ora? Qual è la volontà di Dio?
Le consacrate ritengono che il solo farsi toccare, anche se dalla dottoressa e per motivi medico-sanitari, sia peccato; un vero disonore oltre l’oltraggio già subito.

E con i bimbi nati? cosa fare? consegnarli alle famiglie delle monache? Si scoprirà poi che la Abbadessa lascerà i primi due neonati sotto una croce oltre il bosco: li lascia alla “misericordia di Dio”, poiché, lei ne è sicura, Dio interverrà.

In questo modo, sia i dubbi della vicaria che la certezza della Abbadessa nascondono il medesimo fideismo mitologico: tutto “dipende da Dio” e dalla sua misericordia, nel bene e nel male.

Entrambe immaginano un Dio che interviene, tappabuchi, oltre la responsabilità e la carità dei singoli.

Ma non è così. Sebbene sia utile ritenere che Dio continua a scrivere diritto sulle righe storte e che nessuno oltre Dio può salvare il mondo (e la Chiesa), la risposta alla realtà, individuale o collettiva, diventa spesso lunica voce di Dio.

Lasciando da parte la questione del “dolore innocente” e soprattutto della “imputabilità umana” rispetto alla violenza inferta, resta il fatto che la dignità/responsabilità di ogni “fedele” rimane la vera risposta.

Se è utile, infatti, ritenere che bisogna pregare come se tutto dipendesse da Dio ma agire come se tutto dipendesse da noi, è anche utile ricordare che l’uomo ha delle responsabilità e delle possibilità enormi nella qualità della propria risposta alla realtà che lo circonda.

Questo dato è stigmatizzato da un’altra frase del film.

Il medico ebreo, accorso in aiuto alle monache, deve vedersela anche con la riluttanza dell’Abbadessa. La risposta dellufficiale medico è secca: “Non sono battezzato, andrò all’inferno, ma sono un dottore e posso aiutarvi”.

Ecco; a volte c’è bisogno di questo: della propria responsabilità davanti alla realtà oltre le idee, i titoli e i ruoli. Oggi il nostro Vescovo Battaglia accoglie il pallio: ma questo suo onore ed onere è per noi una responsabilità comune. Non solo il vescovo si cinge della responsabilità e della comunione, ma ciascun battezzato della Chiesa deve dare prova di solidarietà, in comunione coi fratelli e nella responsabilità davanti e dentro i segni dei tempi.

Facciamo i nostri auguri al nostro Vescovo, don Mimmo (come lui stesso ama farsi chiamare) aiutandolo a portare un pallio che può diventare davvero pesante; tutti solidali però, ricordando che la dignità - anche quella dei fedeli - riposa nelle risposte dei singoli più che nei titoli di pochi. La condivisione della comunione nella responsabilità: così si comprende l’obbligo che il Metropolita ha di chiedere il pallio (ex can. 437, § 1 CIC). Nella condivisone di responsabilità, senza demandare tutto al Dio tappabuchi, cè la ricchezza di una Chiesa che risponde ai dolori, ai bisogni, alle tristezze come anche alle speranze e alle gioie delle donne e degli uomini di oggi.

Come la risposta responsabile anche di una sola donna o di un solo uomo diventa (o può diventare) la credibilità di Dio, così la responsabilità di ogni battezzato sarà la testimonianza di una Chiesa reale. E questa responsabilità passa per una riforma non della facciata ma della sostanza della vita della Chiesa, dal mitologico sacrale alla trasparenza morale, dal teismo teorico alla carità pratica.

Forse, così, la “volontà di Dio” appare meno imperscrutabile di quanto ci si aspetti.

Nelle risposte da dare al presente, oltre ogni ideologia e gerarchia, bisogna continuare a essere se stessi, “testimoni della fede” pur se “pescatori” o “giudei”… come Pietro e Paolo.

E su questo che si fonda la Chiesa.

Intanto, il nostro affetto e la nostra vicinanza a don Mimmo.



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29 giugno 2021 - Mons. Domenico Battaglia riceve il pallio,
simbolo della giurisdizione in comunione con la Santa Sede



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