La gentilezza di Dio e la Shoah: una lezione alla teologia

 

 

La Giornata della Memoria è occasione di riflessione a tutto campo. I diritti umani non solo vanno difesi, vanno ricompresi per la loro qualità teologica anche all’interno della comunità cristiana. La categoria della “gentilezza” può essere considerata come virtù ma anche come qualità teologica attraverso la quale riscoprire i principi fondamentali del vivere nella società e nella Chiesa cattolica. Se la "gentilezza" è compresa come "appartenere ad una famiglia", riscopriamo Dio dentro la storia e nelle esperienze drammatiche e riscopriamo noi responsabili delle esperienze di Dio e degli uomini

 

 

Umberto Rosario Del Giudice

 

Nella Giornata della memoria istituita nel 2000, vale la pena richiamare l’attenzione non solo su quanto è accaduto ma anche al modo in cui la Chiesa cattolica abbia risposto e risponde alla tragedia che ha visto coinvolti milioni di ebrei e non solo (un numero elevatissimo secondo una stima del Museo della Shoah di Washington). È una necessaria riflessione critica su ciò che la Chiesa dice e ha detto davanti a questa immane tragedia, ma anche una necessaria riflessione attenta che richiama le responsabilità di tutti i teologi circa ciò che si pensa di Dio e dell’uomo.

 

Offro un breve percorso per ricordare a me e a tutti, teologi, credenti, cittadini, quanto sia importante schiarirsi le idee valutando i fatti per non cedere alla tentazione di essere fedeli a idee chiare senza un confronto con la realtà.

Il punto fondamentale da cui partire credo sia il seguente. È chiaro a tutti che dopo le atrocità della Seconda guerra mondiale, gli Stati hanno risposto fissando un limite invalicabile: la dignità di ogni persona umana e i suoi diritti fondamentali.

 

Nel Concilio Vaticano II, la Costituzione Gaudiun et spes (GS) ha ripreso quelle tematiche declinandole in prospettiva teologica e legando la dignità della persona alla sua natura creaturale.

Il Magistero ordinario dei Pontefici risulta in continuità rispetto alla GS e anche una delle ultime encicliche di papa Francesco riprende le stesse tematiche riproponendo alcuni principi. In Fratelli tutti (FT) la tensione alla fratellanza universale passa attraverso il riconoscimento della dignità della persona ma anche per la fattiva collaborazione che, per Francesco, va usata con una certa qualità.

Credo che da quella qualità che Francesco indica, possa scaturire una rinnovata comprensione della stessa natura di Dio. Secondo Francesco è possibile superare ideologie o strumentalizzazioni recuperando sempre più la categoria della gentilezza.

Aggiungo una breve considerazione finale.

 

Alcuni passaggi della Gaudiumn et spes

La GS rispose anche ai fatti della Seconda guerra mondiale e della Shoah. La ricezione di quel documento diventa fondamentale. Ma la paura di alcuni di leggere con quelle categorie anche la riforma liturgica e la Chiesa in generale, a mio parere, ha prodotto negli ultimi anni una regressione anche in relazione ai principi espressi nella GS. Molto pericoloso per la Chiesa, per i credenti, per il cattolicesimo e per la società. Le regressioni ideologiche stanno producendo nel seno del cattolicesimo chiusure reazionarie a tutti i livelli.

Leggiamo alcuni passaggi.

Non sono accettate discriminazioni per nessun motivo, neanche religioso:

«[la Chiesa] deplora la discriminazione tra credenti e non credenti che alcune autorità civili ingiustamente introducono, a danno dei diritti fondamentali della persona umana. Rivendica poi, in favore dei credenti, una effettiva libertà, perché sia loro consentito di edificare in questo mondo anche il tempio di Dio» (GS, 21).

«Ogni genere di discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio» (GS, 29)

 

Vanno difese le legittime aspirazioni e la dignità personale “superiore” a tutto:

«ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi, anzi del bene comune dell’intera famiglia umana. Contemporaneamente cresce la coscienza dell’eminente dignità della persona umana, superiore a tutte le cose e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili» (GS, 26)

 

La Chiesa è a servizio del bene comune e della dignità delle persone:

«Niente le sta più a cuore [alla Chiesa] che di servire al bene di tutti e di potersi liberamente sviluppare sotto qualsiasi regime che rispetti i diritti fondamentali della persona e della famiglia e riconosca le esigenze del bene comune». (GS, 42)

«La tutela, infatti dei diritti della persona è condizione necessaria perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica.

Assieme al progresso culturale, economico e sociale, si rafforza in molti il desiderio di assumere maggiori responsabilità nell'organizzare la vita della comunità politica.

Nella coscienza di molti aumenta la preoccupazione di salvaguardare i diritti delle minoranze di una nazione, senza che queste dimentichino il loro dovere verso la comunità politica. Cresce inoltre il rispetto verso le persone che hanno altre opinioni o professano religioni diverse. Contemporaneamente si instaura una più larga collaborazione, tesa a garantire a tutti i cittadini, e non solo a pochi privilegiati, l’effettivo godimento dei diritti personali» (GS, 73).

 

Sono da fuggire e ricusare le forme di totalitarismo e dittatura:

«È in ogni caso inumano che l’autorità politica assuma forme totalitarie, oppure forme dittatoriali che ledano i diritti della persona o dei gruppi sociali» (GS, 75)

 

 

Una lettura obliqua di Fratelli tutti

Anche in FT papa Francesco ha voluto richiamare i principi “costituzionali” del rapporto Chiesa/mondo sanciti nella GS annotando alcune precisazioni.

 

La dignità umana è inviolabile, ma è anche ricchezza e relazionalità, non è statica difesa autarchica o individualistica.

«La persona umana, coi suoi diritti inalienabili, è naturalmente aperta ai legami. Nella sua stessa radice abita la chiamata a trascendere sé stessa nell’incontro con gli altri. Per questo “occorre prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali –sono tentato di dire individualistici–, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una ‘monade’ (monás), sempre più insensibile […]. Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze” (FT, 111).

 

L’eguaglianza delle persone umane rendono il mondo luogo condiviso e condivisibile:

«Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza e tante altre non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti. Di conseguenza, come comunità siamo tenuti a garantire che ogni persona viva con dignità e abbia opportunità adeguate al suo sviluppo integrale» (FT, 118)

 

Su questi principi anche la finanza dovrebbe convergere:

«Ricordiamo che “l’inequità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali”. E la giustizia esige di riconoscere e rispettare non solo i diritti individuali, ma anche i diritti sociali e i diritti dei popoli. Quanto stiamo affermando implica che si assicuri il “fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso”, che a volte risulta fortemente ostacolato dalla pressione derivante dal debito estero» (FT, 126).

 

Tutti sono responsabili davanti all’eguaglianza e al suo valore:

«L’affermazione che come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle, se non è solo un’astrazione ma prende carne e diventa concreta, ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte» (FT, 128).

 

Ma c’è altro lavoro da fare:

«Siamo ancora lontani da una globalizzazione dei diritti umani più essenziali. Perciò la politica mondiale non può tralasciare di porre tra i suoi obiettivi principali e irrinunciabili quello di eliminare effettivamente la fame. Infatti, “quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile”. Tante volte, mentre ci immergiamo in discussioni semantiche o ideologiche, lasciamo che ancora oggi ci siano fratelli e sorelle che muoiono di fame e di sete, senza un tetto o senza accesso alle cure per la loro salute. Insieme a questi bisogni elementari non soddisfatti, la tratta di persone è un’altra vergogna per l’umanità che la politica internazionale non dovrebbe continuare a tollerare, al di là dei discorsi e delle buone intenzioni. È il minimo indispensabile» (FT, 189).

 

E va riconosciuto il bene che l’uomo può fare quanto anche il male che è sempre in grado di compiere, nel silenzio affettivo o nella omertà individualistica:

«Già abbiamo in abbondanza prove di tutto il bene che siamo capaci di compiere, però, al tempo stesso, dobbiamo riconoscere la capacità di distruzione che c’è in noi. L’individualismo indifferente e spietato in cui siamo caduti, non è anche il risultato della pigrizia nel ricercare i valori più alti, che vadano al di là dei bisogni momentanei?» (FT, 209)

Così:

«Quello che oggi ci accade, trascinandoci in una logica perversa e vuota, è che si verifica un’assimilazione dell’etica e della politica alla fisica. Non esistono il bene e il male in sé, ma solamente un calcolo di vantaggi e svantaggi. Lo spostamento della ragione morale ha per conseguenza che il diritto non può riferirsi a una concezione fondamentale di giustizia, ma piuttosto diventa uno specchio delle idee dominanti. Entriamo qui in una degenerazione: un andare “livellando verso il basso” mediante un consenso superficiale e compromissorio. Così, in definitiva, la logica della forza trionfa» (FT, 210)

E:

«Questo patto richiede anche di accettare la possibilità di cedere qualcosa per il bene comune. Nessuno potrà possedere tutta la verità, né soddisfare la totalità dei propri desideri, perché questa pretesa porterebbe a voler distruggere l’altro negando i suoi diritti. La ricerca di una falsa tolleranza deve cedere il passo al realismo dialogante, di chi crede di dover essere fedele ai propri principi, riconoscendo tuttavia che anche l’altro ha il diritto di provare ad essere fedele ai suoi. È il vero riconoscimento dell’altro, che solo l’amore rende possibile e che significa mettersi al posto dell’altro per scoprire che cosa c’è di autentico, o almeno di comprensibile, tra le sue motivazioni e i suoi interessi» (FT, 221).

 

Da dove partire per continuare a salvaguardare la dignità delle persone e l’eguaglianza? Sorprendentemente Francesco indica una breve virtù, misto di empatia, di simpatia e di autorevolezza: la gentilezza. Bisogna partire dalla gentilezza per difendere la ricchezza di tutti. Anzi la gentilezza diventa una liberazione:

«La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire “permesso”, “scusa”, “grazie”. Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti. La pratica della gentilezza non è un particolare secondario né un atteggiamento superficiale o borghese. Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti» (FT, 224)

 

Così si può lasciare scorgere la presenza di Dio al e nel mondo:

«A partire dalla nostra esperienza di fede e dalla sapienza che si è andata accumulando nel corso dei secoli, imparando anche da molte nostre debolezze e cadute, come credenti delle diverse religioni sappiamo che rendere presente Dio è un bene per le nostre società. Cercare Dio con cuore sincero, purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o strumentali, ci aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli» (FT, 274).

 

Conclusioni (teologiche)

In GS la dignità creaturale appare come fondante dal punto di vista teologico. L’uomo creatura (in sé) è un punto fermo e le relazioni che la Chiesa ha con ciascun uomo passano attraverso questa costituzione fondamentale. Tuttavia, nel CIC la personalità giuridica passa attraverso il battesimo (cfr. CIC 96, senza canone parallelo in CCEO). Questo porterebbe ad una serie di valutazione che per ora rimando.

Quello che mi sta a cuore, in relazione alla memoria, è ribadire con forza che dopo la Shoah nessuna teologia (e nessun diritto canonico) è utile se perpetua idee nate in contesto molto differente dai principi della GS. Dire che è riconosciuta la dignità umana, ci aiuta a relativizzare la personalità giuridica e canonica del credente: ci aiuta a rivedere quella personalità giuridica solo nel contesto della dimensione giuridica del soggetto in relazione ad una compagine (la Chiesa cattolica, nella fattispecie) da cui ricava diritti e doveri. Alcune tendenze stanno pericolosamente evidenziando l’appartenenza alla Chiesa come fonte di una certa eguaglianza sostanziale, considerando solo l'atto di fede o l'appartenenza formale (il battesimo). E questo non solo è pericoloso e deleterio, ma anche sostanzialmente errato rispetto alla sana tradizione ecclesiale, testimoniata e ripresa nell’autocomprensione della Chiesa (vedi GS).

 

Ma c’è di più: accogliere la sostanziale dignità umana, al di là delle appartenenze, dice qualcosa anche su Dio. Se la Chiesa di Cristo sussiste e non si identifica immediatamente con la Chiesa cattolica (cfr. Lumen gentium, 8) questo dice che Dio è esperito anche oltre la sola Chiesa cattolica e ben oltre le sole istituzioni.

Francesco dice che la “gentilezza” parla agli uomini e riesce a far vivere in comunione e nel rispetto delle differenze e della dignità di ciascuno. Ebbene, la gentilezza (che è liberazione) appare non solo uno strumento ma una qualità di Dio stesso. Usare gentilezza significa sperimentare ciò che Dio è, usare i suoi modi, riposare ed esprimersi nelle sue qualità: essere “perfetti” come lui (cfr. Mt 5, 48).

Dio non si “comprende” nelle idee, ma nei fatti.

Dio stesso è gentilezza, nel senso che si riconosce in una famiglia, appartiene a ciascuno, in un gruppo, a tutto il gruppo umano. Dio si riconosce continuamente nell’esperienza umana: mi sembra che possa essere compresa così la gentilezza di Dio. E in questa prospettiva, la teologia, ogni teologia, dopo la Shoah non può chiedere a Dio dove egli fosse in quei terribili anni, ma quanto egli stesso abbia fatto esperienza della crudeltà e della sofferenza umana.

Dio è libero perché vive e vive perché sperimenta la libertà umana, nel bene e nel male; egli è nell’abisso del terrore e nell’apice della grandezza di ogni dignità. Se la "gentilezza" è compresa come "appartenenza ad una famiglia" riconosciamo Dio dentro la storia e nelle esperienze drammatiche, e riscopriamo noi responsabili delle esperienze di Dio, oltre che di quelle degli uomini. 
Questa gentilezza di Dio potrà aiutare tutti, politici, credenti, istituzioni ecclesiali, a capire qualcosa di più di ciò che vuol dire vivere nella piena considerazione della dignità di ogni uomo.

E davanti a questa gentilezza, anche la struttura giuridica all’interno del CIC deve e dovrà rendere conto. Ma questo è altro argomento.

 

 

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