Ambiguità del rito e ambiguità nel rito


Nell’Ottavo giorno i cristiani celebrano la Pasqua del Signore e ogni Domenica “fanno memoria” della sua morte e resurrezione. Ridurre tutta la Pasqua a una sola Domenica può risultare ambiguo, per la teologia e per la prassi.

 



Umberto R. Del Giudice

 

Com’è noto, una volta l’anno i cristiani celebrano l’opera salvifica del Signore in modo particolare con i riti pasquali propri del Triduo e dell’Ottava. Andrea Grillo, tra altri, più volte ha richiamato alla necessità di ricondurre la comprensione della stessa Pasqua annuale alla considerazione del Triduo come la scansione in vari momenti di un unico grande evento (che si prolungherà nella Ottava di Pasqua).

 

Preme però aggiungere, tra auguri e sticker digitali, che la Pasqua è, di fatto, celebrata ogni Domenica. Anzi, è proprio questo giorno, il giorno del Signore (dies dominicus, appunto) ad essere centrale in tutto l’anno liturgico.

Vale la pena richiamare i passaggi con cui la Costituzione Sacrosanctum Concilium, recependo ormai un impulso di quasi un secolo dal Movimento liturgico, ribadiva negli anni '60 la centralità della Domenica che «è la festa primordiale» poiché «ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo» (SC 106). Non solo; poche righe prima la stessa Costituzione ricorda: «Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di Domenica, fa memoria della risurrezione del Signore, che essa celebra anche una volta all’anno, unitamente alla sua beata passione, con la grande solennità di Pasqua» (SC 102).

Qualche anno dopo alla Domenica verrà riservata particolare attenzione dalla lettera apostolica Dies Domini del 1998 che riprende la Domenica come Pasqua della settimana.

 

Insomma: la Pasqua è nella Domenica, mentre il Triduo è la sua celebrazione “solenne”. D’altra parte, non induca a qualche errore neanche quell’inciso “unitamente alla sua beata passione”, come se nel Triduo si aggiungesse qualcosa; la stessa Costituzione, infatti, ricorda che nella stessa Domenica «i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e alla eucaristia e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e render grazie a Dio».

È dunque indubbia la centralità della Domenica.

 

Ma qual è il risvolto fenomenologico?

Da una parte i riti del Triduo rischiano la riduzione ai riti popolari; dall’altra la Pasqua rischia di essere ridotta ad una sola Domenica.

Alcuni rischi sono ormai evidenti.

Se è vero che i riti popolari aiutano a “decostruire” e “costruire” l’identità sociale, è vero pure che rischiano di assimilare in sé tutta la “Pasqua” nella scansione riduttiva del Venerdì di Passione o nel Volo dell’Angelo

D’altro canto: alcuni riti pasquali tradizionali, soprattutto quelli fuori dalla liturgia (come la Via crucis) chiedono una preparazione che insieme “concentra”, “unisce” mentre potrebbero “distrarre” e “confondere”. L’equilibrio non è facile sebbene possibile quanto auspicabile.

Rimane però un altro dato: la Pasqua rischia la riduzione alla sola Domenica di Pasqua unitamente a tutto il Triduo. Se è ritualmente conveniente che la Pasqua venga celebrata almeno una volta l’anno nella sua “estensione” del Triduo e nella sua prolungazione dell’Ottava, è anche vero che la spiritualità cristiana rischia di perdere di vista la forza della celebrazione domenicale in quanto pasquale. Anche qui l’equilibrio non è facile: ma oltre ad essere possibile rimane necessario per una spiritualità cristiana che non si combini ai soli ritmi stagionali o alle grandi e sensazionalistiche celebrazioni (e consumistici).

L’altro rischio è quello di aumentare il divario tra chierici e laici poiché questi ultimi potrebbero essere portati a vedere nella Pasqua annuale (e nel Natale –anticamente ripreso solo come evento “pasquale”–) il momento di maggior coinvolgimento ad una “partecipazione attiva” che, al contrario, chiede una continua autoconsapevolezza del dono originario.

La spiritualità cristiana è profondamente pasquale: è un vivere in un dono che sovrasta, che anticipa e libera. La spiritualità cristiana ha bisogno di immergersi continuamente in un dono originario che libera, non solo una volta l’anno.

Ridurre la Pasqua ai “pasqualini” rimane una possibile ambiguità dei riti e della spiritualità moderna in unepoca in cui la struttura sociale (passando dalla società chiusa a quella aperta) non garantisce più narrazioni forti e stabili per l’identità sociale e personale.

Questo non significa però relativizzare o sminuire la forza del Triduo e i suoi riti (o anche di quelli fuori dalla liturgia): l’impegno ecclesiale rimane quello di offrire possibili luoghi di esperienza per radicalizzare le identità battesimali in modo che ciascuno viva la Santa Pasqua in modi diversi, in tempi diversi, una volta al giorno, una volta a settimana, una volta l’anno… per potersi riconoscere nel Cristo, morto e risorto per noi, che ci ha riconosciuto nel Padre con la sua Pasqua.

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