L’evento pasquale tra dono, sacerdozio e gerarchia

 


Il compimento dell’Ottava pasquale e la vigilia della conferenza stampa per il Simposio sulla “teologia fondamentale del sacerdozio” sono loccasione per una breve ripresa di elementi sostanziali e indispensabili per una riflessione fondante.

L’evento pasquale è il dono che (ri-)costituisce la creazione intera e ogni uomo come “dono possibile” (salvezza universale). A questo “dono possibile” si associa il sacerdozio di coloro che riconoscono il dono e vi partecipano attivamente” (i battezzati) e coloro dei quali le parole e i gesti sacramentali la Chiesa lega alla presenza performativa del Cristo “qui” e “ora” (nel sacerdozio ministeriale).

 

 

 

Umberto R. Del Giudice

 

Alla vigilia della presentazione del Simposio Teologico Internazionale “Per una teologia fondamentale del sacerdozio appare doveroso appuntare alcune note nell’attesa delle riflessioni che verranno.

Il Simposio è stato organizzato dalla Congregazione dei Vescovi e, stando al comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, non sembra essere coinvolto altro Dicastero. Ciò fa pensare che il Simposio terrà conto fondamentalmente di due realtà: da una parte il sacerdozio e dall’altra la gerarchia.

Sono due elementi non scindibili anche se è nota una certa tendenza a ridurre il primo al secondo (tendenza “sacrale”) o a misconoscere la gerarchia favorendo il solo sacerdozio comune (tendenza “liberalista”).

Queste due tendenze appaiono ingiustificabili ed erronee, sia dal punto di vista dottrinale che fenomenologico. Il dato antropologico fenomenico dice che l’uomo non è capace di vivere senza una struttura: egli organizza la realtà dandole ordine, già solo con il linguaggio e l’azione.

Il dato dottrinale dice che, se da una parte la “grazia mediata al singolo” è sempre anche “grazia da e per gli altri (comunità)” (intersoggetività), dall’altra dice che nessuno può confermarsi “da solo” nella “grazia e nella salvezza” (relazionalità).

Pur nella consapevolezza che il tema è complesso, da questi presupposti desidero proporre alcuni punti chiave che credo debbano essere vivamente considerati per una “teologia fondamentale del sacerdozio” non senza (ri-)partire dall’evento pasquale.

 

Il dono pasquale

All’apice dell’Ottava di Pasqua, bisogna riconoscere che la Chiesa vive nella grazia e nella misericordia del Dio che ha voluto donarsi oltre ogni speranza. L’uomo è così riafferrato e riaffermato come “colui che ha la piena possibile libertà, di essere per sé e per gli altri in Dio”: tutto questo chiamiamo “grazia” o “misericordia”. Oltre ogni ombra, ogni limite, ogni oscurità del proprio vissuto e dentro ogni imperfezione, ignoranza, egoismo, incapacità, echeggia la Parola di Dio che ha garantito e garantisce all’umanità la pienezza della sua presenza e del suo amore e che noi chiamiamo “pace del Cristo”, poiché è in quell’evento pasquale, nell’autodonazione, morte e resurrezione, che la libertà senza fine è donata all’umanità proprio dal cuore più profondo dell’umanità, dalla carne (sarx in greco), dal centro della vita dove risiede e appare ogni salvezza.

Questa “pace del Cristo” noi la traduciamo anche con “misericordia” che non è la sola capacità di Dio di “perdonare i nostri peccati” (sarebbe ancora poca cosa per una “salvezza eterna”, o per una “pienezza di vita”): la “misericordia” sta nella certezza che ciascun uomo è in grado di essere pienamente sé stesso e più di quello che è, nella speranza e nell’amore. Doni ricevuti e donati come un testamento vivo racchiusi in quel “pace a voi”.

Dalla possibilità di donare questa “pienezza” nasce un sacerdozio universale, un sacerdozio battesimale e uno ministeriale.

 

Sacerdozio e sacerdozi

Il dono pasquale di Cristo è elargito alla creazione intera e alla comunità. L’unico sacerdozio di Cristo come autodonazione consapevole, nella morte e nella resurrezione (cfr. Eb 9,15-28), costituisce la possibilità della nuova vita di tutto il creato e istituisce la comunità di coloro che riconoscono tale “grazia”.

In questo sento, dal punto di vista “fondamentale”, credo che si possa parlare anche di una triplice manifestazione del “potersi donare” agli altri che possiamo declinare come sacerdozio universale, sacerdozio battesimale e sacerdozio ministeriale.

Tutta la creazione è destinataria della nuova vita del Risorto sebbene debba attendere, insieme ai credenti, la “perfezione della figliolanza” (cfr Rm 8,23). Nell’ottica del Cristo glorioso tutta la creazione e tutte le vite sono rinnovate, poiché “tutto è stato fatto in e per lui”; Cristo stesso, nell’evento pasquale, ha inoltre suggellato “l’amicizia con tutte le cose” (cfr. Col 1,15-20). Si configura così una vita vissuta in Cristo da parte di tutto il creato (cristologia cosmica).

Al tempo stesso ogni sofferenza, ogni gioia, ogni preoccupazione e ogni amore, è ricapitolato in Cristo formando la sua “Chiesa”. Potremmo dire che ogni vita donata, anche se non credente, è “sacerdozio anonimo”, è vita donata nel “Cristo glorioso” e nel “Cristo cosmico”. Un sacerdozio universale in cui ogni vissuto è elevato a donazione fondante, mai persa, mai irrilevante, mai disconosciuta, e partecipe del corpo glorioso del Cristo; egli stesso, infatti, ha voluto rinnovare il creato; «unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e resurrezione, ha redento l’uomo e l’ha trasformato in una nuova creatura (cfr. Gal 6,15; 2 Cor 5,17)» (cfr. LG, 7). 

Il “dono della pace” è poi (ri-)donato in modo esplicito (perché esplicitamente accolto) dai cristiani, i quali costituiscono, per mezzo del battesimo, coloro che (in modo esplicito) offrono se stessi come offerta viva. Questo è sacerdozio battesimale o comune. Annoto solo che l’espressione “sacerdozio comune” non significa affatto che sia irrilevante, anzi: ogni battezzato è pietra viva dell’unico grande edificio della Chiesa (cfr. 1Pt 2,4-5).

Tra coloro poi che riconoscono il “dono della pace” (ovvero della “salvezza”, la “luce”, la “vita eterna”, la “fede”…) vi sono coloro che sussistono nella Chiesa cattolica (cfr. LG, 8).

Tutti questi “santi” formano l’unico sacerdozio comune.

 

Sacerdozio e gerarchia

La parola di grazia che il Cristo glorioso ha pronunciato sul mondo, nella creazione e nella vita di tutti e che continua a rivelare nella donazione di coloro che sono “costituiti nello Spirito Santo” (per ora sembra opportuno evitare la questione relativa a “battesimo” e “confermazione”…) risuona ancora e puntualmente. Questa certezza, puntuale e spaziale, è richiesta dalla stessa libertà umana che non vive mai fuori dal tempo e fuori dallo spazio. La “pace pasquale”, se sacramentale, ha bisogno di dirsi e di essere recepita in un luogo e in un tempo.

Per questo motivo la comunità dei credenti fin dall’origine ha in sé una costituzione formale e strutturale per i gesti, le parole, le azioni di alcuni battezzati che sono voluti e riconosciuti dalla comunità come azioni, parole e gesti inequivocabili del Cristo stesso il quale ha voluto che le sue parole fossero certe per tutti coloro che non l’hanno potuto vedere; parole certe per dare certezza della beatitudine e della santità da lui solo donata (“beati coloro che pur non avendo visto”, cfr. Gv 20,29).

Per questo la Chiesa è e rimane una e apostolica: la santità e l’universalità del dono pasquale ha il carattere di essere “trasmesso” in forma apostolica e quindi “gerarchica”. Per questo la “gerarchia” non è la santità della Chiesa (né è la Chiesa, né è tutta la Chiesa e meno ancora tutti i salvati, come pur in passato si è sostenuto…): la “gerarchia” non è neanche “mediazione” di salvezza poiché l’unico mediatore è Cristo e nel battesimo si è certi di questa mediazione (come ricorda il Credo).

La gerarchia è mediazione dell’immediatezza: per mezzo del sacerdozio ministeriale (che per semplicità ora riduciamo anche al concetto di “gerarchia”) ogni libertà salvata ha la certezza che nelle parole di coloro che “presiedono il sacro” (come dice l’etimologia stessa di “gerarchia”…), ovvero nelle azioni, nelle parole e nei gesti sacramentali, risuoba e vive la presenza sacramentale del Cristo risorto.

Non ne ha bisogno Dio; ne abbiamo bisogno noi.

 

Concludendo

Aspettando il Simposio per la “teologia fondamentale del sacerdozio” sarà bene ricordare alcuni elementi imprescindibili, dunque.

Il concetto di “sacerdozio” declinato in una triplice realtà (universale, comune e ministeriale) e che vede la “pace del Cristo” sostanzialmente elargita a tutti in modalità e gradi e per finalità differenti, è alla base di qualsiasi altra riflessione per non cedere alla tentazione di fare del sacerdozio e, peggio, del sacerdozio ministeriale, una mediazione unica che, al contrario, secondo la fede, è riservata alla presenza del Cristo glorioso.

D’altro canto, il sacerdozio di Cristo non è assolutamente riducibile al solo sacerdozio ministeriale poiché ogni battezzato agisce “in persona Christi”.

È pur vero che la certezza che le parole sacramentali di Cristo, in quanto parole “performative” ed “esplicative” risuonano solo in coloro che la comunità riconosce come coloro che “presiedono”. La Chiesa, infatti, non è costituita gerarchicamente solo per una necessità antropologica (la necessità di riconoscere qui e ora le parole sacramentali di Cristo) ma anche perché deve riconoscere e ricordare che nessuno tra i battezzati è il principio né il culmine di tutto: la gerarchia dice (prima a se stessa) che la fonte è sempre un oltre. Le libertà liberate non si costituiscono da sole: e questa è un’evidenza antropologica. Allo stesso modo la gerarchia non si costituisce da sola: è questa un’evidenza di fede.

Il Cristo rimane il solo, ieri, oggi e domani; il principio e la fine, l’alfa e l’omega, per mezzo del quale ci rivolgiamo al Padre nello Spirito e la sapienza e la tradizione cristiana continuano a ricordarcelo:

«Dio di eterna misericordia,

che ogni anno nella festa di Pasqua

ravvivi la fede del tuo popolo santo,

accresci in noi la grazia che ci hai donato,

perché tutti comprendiamo l’inestimabile ricchezza

del Battesimo che ci ha purificati,

dello Spirito che ci ha rigenerati,

del Sangue che ci ha redenti»

 

(Colletta della II Domenica di Pasqua, Anno B)

 


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