“Castighi”: la formula dell’assoluzione dei religiosi diventa parte della traduzione tutta italiana? Un’ipotesi
Una breve ricerca apre nuove piste. L’Atto di dolore, nella versione italiana, interpolato a partire dall’assoluzione dei religiosi?
Umberto Rosario Del Giudice
Seguendo la pista “de pœnis” si arriva a restringere
il campo: i “castighi meritati” fanno parte di un’orazione post litanica usata
anche per l’assoluzione dei religiosi. Nel XIX secolo è attestata come formula
di assoluzione per i terziari francescani.
Nell’edizione del 1925 la formula prima
posta alla fine del Rituale, è spostata in calce alla Capitolo “De pœnitentia”. Rimane lì anche nell’edizione
del 1952, quella immediatamente antecedente all’Ordo attuale. Riguarda l’assoluzione
dei religiosi e cita, non nella formula né nell’atto di pentimento ma nell’orazione,
un testo così traducile: «Mostraci, o Signore, la tua ineffabile
misericordia: perché tu possa liberarci da tutti i nostri peccati e dai castighi
che meritiamo per essi».
Credo che il “castighi meritati” tra assoluzione ai
religiosi e litanie passi nella traduzione italiana.
Provo a ripercorrere alcuni dati.
A proposito delle traduzioni
in lingua corrente
Come già indicato (I
“castighi" dell'atto di dolore”) le formule proposte dalle traduzioni
ufficiali in spagnolo, in portoghese, in francese e in inglese, non hanno
riferimento ai “castighi meritati” e sono molto più fedeli alla formula
proposta nell’editio typica
dell’Ordo (1973/1974). Riprendendo la formula
in latino, Andrea Grillo, ha fatto notare la distanza dalla proposta
italiana.
Ora posso tranquillamente affermare che anche l’edizione
ufficiale in lingua tedesca (che non avevo ancora reperito) non riporta l’espressione
“castighi meritati” o “pene meritate”.
Ma da dove questa espressione?
Una prima ricostruzione
possibile
Sembra poter tracciare una linea tra l’atto di
dolore nella versione italiana che cita “i castighi meritati” e la percezione
che i castighi (soprattutto quelli “privati”) fossero “tribolazioni” legate alla
storia, tanto dei singoli quanto del popolo, di cui si occuperebbe Dio in modo
deterministico.
Ripercorriamo il possibile percorso della formula.
Già nel Rituale del 1614, infatti, alla fine, vi era
un rito previsto per la Processio in quicumque tribulatione che
riportava, dopo la recita del Salmo 19, una lunga Oratio (che ho riportato in parte tradotta sopra) nel mezzo della quale si legge:
«Ineffabilem misericordiam
tuam, nobis Domine clementer ostende, ut simul nos et a peccatis omnibus exuas,
et a pœnis quas pro his meremur, eripias».
Nel Rituale del 1752 questa formula sarà nella
sezione prevista per i Septem psalmi penitentiales e per le Litanie e
non apparirà più dopo il Salmo 19 (exaudiat te, Dominus, in die
tribulationis) ma dopo il Salmo 69 (Deus, in adiutorium meun intende).
Nel Rituale del 1853 e nel 1925 la stessa formula appare
sia nella sezione “Litanie” posta dopo i “septem psalmi pænitentiales cum
litaniis sanctorum” sia in quella “Dicendæ tempore penuriæ et fames”
dopo il Salmo 22 (Dominus reget me) che nella breve
sezione Processio in quicumque tribulatione. Tuttavia, solo a partire
dal Rituale del 1925 la formula è ripresa anche nella Sezione
propria della Penitenza in una Sezione intitolata “Formula absolutionis generalis pro regularibus”
(Titolo VIII, Cap. XXXIII, I). Formula che, ripresa uguale nel 1952 nell’assoluzione
per i religiosi, scompare nell’Ordo del 1974 (appare però in parte nella versione
italiana con quel “castighi meritati”).
Cosa accade tra edizione del 1853 e quella del 1925?
Appare rilevante, che il 7 luglio 1882, con un Breve
(invero Lettera apostolica) Leone XIII ritiene opportuno raccogliere le
formule di assoluzione che appartenevano ai Terziari francescani e ad altre
famiglie, dello stesso Ordine e ad altri Ordini Regolari e Terziari ad essi
appartenenti, per preparare una formula uguale per tutti. In questo modo il
testo entra a far parte della sezione delle “assoluzioni” non nel Rituale
romanum ma in quello delle famiglie religiose.
In questa “assoluzione” riappare la nostra formula “Ineffabilem
misericordiam tuam…”[1].
Conclusioni
È una combinazione che Pio XI faceva parte dal 1874 dell’Ordine
terziario francescani? È una combinazione che Gasparri ha messo mano alla
redazione del testo del 1925? È una combinazione che Pio XI si porrà come il restauratore
della società cristiana e dei religiosi?
E cosa dire che il predecessore di Pio XI, Leone XIII,
amava insegnare che «le private sventure sono meritati castighi, o almeno
esercizio di virtù per gli individui, e che i pubblici flagelli sono espiazione
delle colpe onde le pubbliche autorità e le nazioni si sono allontanate da Dio»
(Benedetto XV, Discorso ai predicatori quaresimali di Roma, 19 febbraio 1917)?
Andrà sicuramente distinta da una parte la formula
rituale (non prevista nel rito della penitenza e come “atto di dolore” prima
della traduzione italiana del 1974) e dall’altra, la dottrina per la quale un “privato
castigo” o un “pubblico flagello” sono un rimando alla sicurezza fondamentale:
che Dio ha sempre a che fare con la nostra storia.
Solo che bisognerà ben distinguere la (inesistente) volontà
diretta di Dio in relazione ai “castighi” e ai “flagelli” dalla capacità tutta materna/paterna
di Dio di usare tutto ciò che accade per il bene dell’uomo e della comunità. Capacità
che noi chiamiamo “onnipotenza”.
In questa prospettiva, va ribadito, la formula
attuale dei “castighi meritati” va sicuramente rivista.
In ogni caso, materiale per una ricerca intensa ce n’è.
Com’è chiaro che la formula dell’atto di dolore
rimanda più ad una devozione tesa alla dimensione pedagogica del rito piuttosto
che ad una dottrina.
[1]
Furono impiegati almeno tre anni tra raccolta delle formule e consultazione
degli Ordini. Infine, la Congregazione decretò che, ripresa la formula comune, fosse
inserito il nome del santo Fondatore dell’Ordine relativo, l’assoluzione fosse poi impartita in nome del Sommo Pontefice (ma solo due volte l’anno e a condizione che la benedizione
non venisse mai impartita nello stesso giorno e nello stesso luogo in cui la
impartisce un Vescovo), fosse usata come assoluzione generale per i religiosi.
Ottima ricerca. E, guardando retrospettivamente a chi ha manipolato la traduzione italiana, quante anime rovinate dal fanatismo.
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