I "castighi" dell'atto di dolore: confondere formule, tradizione e coscienze

 


Dietro la formula più conosciuta in italiano dell’atto di dolore una storia recente di precomprensione giuridica dell’atto sacramentale che non va ritenuta “tradizionale” ma che viene confusa come “la più tradizionale”.

Bisogna far luce sulle parole del rito per riequilibrare e ricomprendere l’esperienza del cammino penitenziale.

 

 

Umberto Rosario Del Giudice

 

Atto di dolore e “castighi” italiani

Dopo un passaggio dell’intervista di Fabio Fazio al Pontefice, l’interesse attorno ad una formulazione tutta italiana dell’atto di dolore, che comprenderebbe “i castighi meritati”, ha posto la necessità di verificare le fonti.

Andrea Grillo ha aiutato a ricostruire le fonti e la posta in gioco rispetto alla dinamica rituale ricordando che la formula dell’atto di dolore, così come giace nel Rito della Penitenza (ovvero il testo pubblicato dalla CEI), differisce da quella presente nell’editio typica del 1974[1].

Eccone la sinossi:

 

Ordo Pænitentiæ 1974 (n. 45)

Rito della Penitenza 1974 (n. 45)

Deus meus, ex toto corde me pænitet ac doleo de omnibus quæ male egi et de bono quod omisi, quia peccando offendi te, summe bonum ac dignum qui super omnia diligaris. Firmiter propono, adiuvante gratia tua, me pænitentiam agere, de cetero non peccaturum peccatique occasiones fugiturum. Per merita passionis Salvatoris nostri Iesu Christi, Domine, miserere

Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi, e molto più perché ho offeso te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Propongo con il tuo santo aiuto di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Signore, misericordia, perdonami.

 

La versione ufficiale (quindi quella che rimanda alla Tradizione) non riporta il rimando ai “castighi meritati”.

Si noti anche che l’Ordo, in ossequio al dettato conciliare (SC 72), è stato pubblicato il 2 febbraio del 1974 mentre la versione in italiano è stata approvata il 7 marzo 1974[2].

Alla notifica della pubblicazione del Rito in italiano, i vescovi italiani furono informati che, mentre si attendeva l’Ordo (“nel frattempo”), già si era impegnati a preparare la versione italiana[3]. Un lavoro, quello della versione italiana, che potrebbe aver assunto il carattere ufficioso di altera editio typica rispetto alle altre traduzioni, ovvero di modello da seguire, quasi diventando “tradizionale”.

 

Altre traduzioni

 

Le traduzioni non sono omogenee: alcune rimandano ai “castighi” altre no. In particolare, i riti nella versione ufficiale in italiano e, sembra, in tedesco riportano "castighi meritati". Il peggio è che anche le proposte non ufficiali in altre lingue a volte si rifanno alla forma interpolata. Come se, dopo la versione italiana, si fossero creati due modelli: quello dell’Ordo e quello “curiale italiano” anche a dispetto delle traduzioni ufficiali dei rituali.

Alcuni esempi tra rito ufficiale e rimando improprio alla formula interpellata.

Francese, inglese e spagnolo non hanno la formula interpolata (cfr. Ritual de la penitencia[4] non cita castighi).

Ma è importante notare come per la lingua inglese, e non si sa con quale criterio, il sito di informazione della Santa Sede[5] citi come “tradizionale” la forma che rinvia ai “castighi” e come “alternativa” la formula fedele all’Ordo senza mai indicare le fonti. Reperibile nella pagina in inglese di vaticannews: https://www.vaticannews.va/en/prayers/act-of-contrition.html. Anche il sito della Conferenza episcopale americana cita la formula con "castighi" specificando che si tratta di "una" versione tradizionale (forse nel senso di convenzionale), ma subito dopo cita, specificandolo, la formula dal Rituale senza "castighi", senza dunque chiamarla "alternativa".

Nella versione italiana, il rimando è solo alla forma interpolata (cfr.: https://www.vaticannews.va/it/preghiere/atto-di-dolore.html).

Sullo stesso portale ricompare una formula interpolata in lingua spagnola senza far riferimento alla fonte (cfr. https://www.vaticannews.va/es/oraciones/acto-de-contricion.html) che non è presente nel citato Ritual della Conferenza Episcopale Spagnola.

Lo stesso portale in tedesco riconferma la formula interpolata (cfr. https://www.vaticannews.va/de/gebete/akt-der-reue.html) ripresa anche dal Compendio del catechismo in lingua tedesco[6]. Sembra da rituale ma non è facile reperire la fonte.

Oltre quella spagnola anche quella in portoghese non riporta la forma interpolata e sembrerebbe vicina alle parole che il Pontefice era abituato a sentire (e pronunciare) poiché simili o uguali a quelle usate in Argentina[7].

La versione francese risulta snella e “senza castighi”[8]. Non a caso il rito in lingua francese (Célébrer la pénitence et la réconciliation) è del 1978. Quattro anni dopo la versione in latino (con edizione riveduta del 2019).

Sebbene non in tutti i casi, appare dunque un fenomeno: la versione italiana (forse con la 'complicità' di quella tedesca) diventa, d’un tratto, “tradizionale”. Così il rimando ai “castighi” è ripreso in varie traduzioni non ufficiali (forse eccezion fatta per quella tedesca che riprende i "castighi" anche nella versione ufficiale; ma è indispensabile reperire il testo originale).

In altre parole, il Pontefice non ha fatto altro che riprendere e ripresentare la possibilità di una formula senza "castighi" e quindi corrispondente alla "Tradizione", all'Ordo e alla maggioranza dei rituali propri.


Ma, allora, da dove questi “castighi”?

 

La disputa tra attrizionisti e contrizionisti

Sebbene già nota, e nell'ambito del riconsiderare i rituali, il XX secolo diventa un secolo importante per la teologia della Penitenza. In modo particolare, la tensione si ravviva negli anni ’20 tra due tendenze: quella degli attrizionisti e quella dei contrizionisti.

I primi, per i quali è sufficiente una “contrizione imperfetta” (attrizione), sostengono che basta la paura che muove il dolore per la validità del sacramento; mentre i secondi propongono un dolore frutto della “contrizione perfetta”, il “dolore di carità”, ovvero quel tipo di sentimento che scaturisce dalla “carità verso Dio” e che, per il penitente, è un “castigo” esso stesso.

Per alcuni attrizionisti “l’amore di Dio” può essere così debole che non ce n’è abbastanza per costituire un atto di carità presupposto alla validità del sacramento.

Per i contrizionisti la carità che è causa del dolore può avere tale intensità che con la contrizione, che ne è la conseguenza, il penitente merita non solo il perdono della colpa ma la “liberazione da ogni punizione”.

La disputa tra attrizionisti e contrizionisti, sebbene apparsa già tra XVII e XIX secolo, finì per formulare una doppia ipotesi: da una parte, per il perdono sacramentale sarebbe stato sufficiente l’attrizione sebbene debole; dall'altra, il fedele pentito avrebbe potuto meritare il perdono anche fuori il rito (extrasacramentale) per la sola contrizione perfetta.

Queste tendenze si ritrovano oggi nel Catechismo della Chiesa cattolica ai nn. 1451-1454.

La garanzia dell’attrizionismo riusciva a produrre un effetto sul sacramento: la sicurezza della sua validità ovvero della disposizione prossima, minima e sufficiente alla giustificazione nel rito della penitenza. Tale preoccupazione giuridica garantiva in qualche modo anche la diffusione pedagogica di una “pietà” penitenziale a ribasso (fondata sulla paura del castigo) ma spendibile per grandi masse (pastorale massiva). Ma, secondo alcuni, garantiva anche il lento passaggio dall’attrizione alla contrizione, come unico processo.

In questo modo, riprendendo impropriamente la dottrina tomista[9], la dimensione spirituale e affettiva veniva usata più come arma che come minimum psicologico della validità del sacramento: non solo basta la minima benevolenza del penitente, ma la posso sollecitare mescolandola al “timore dei castighi divini”.

Così nel XX secolo la disputa non verte sulla natura dell’attrizione minima e necessaria per l’assoluzione; essa si preoccupa del processo della giustificazione del peccatore, sollecitandone il dolore per mezzo della paura.

In alcuni ambienti, soprattutto tra i canonisti, si andò imponendo la necessità del richiamo ai “castighi” per garantire la validità dell’atto rituale.

Insomma, “alta teologia”!

 

Confondere tradizione e coscienze

Il risultato, evidente nella domanda di Fabio Fazio, è la confusione tra dimensione teologica (“un Dio che castiga”) e presupposto psicologico (attrizione). Confondere i piani produce sia una percezione alterata della misericordia del "Padre che è nei cieli", che una proposta non credibile sul piano psicologico e, quindi, spirituale.

Vanno ricordate le parole di Paolo VI che, riprendendo le riflessioni di Guardini, all’indomani della pubblicazione dell’Ordo auspicava che i ministri fossero “quanto e più dei moderni psicologi e psicanalisti[10].

Nessuno potrà chiedere tanto (ed è bene distinguere i campi e le competenze): ma si pretende di non confondere il piano teologico con quello psicologico e, soprattutto, di non proporre come “tradizionale” formule nate nei primi decenni del XX secolo per assicurare, dal punto di vista giuridico, la validità del sacramento; un modello che oggi produce più incomprensione che performatività del percorso penitenziale.

È sintomatico che, mentre nel XX secolo la cultura teologica prende le distanze dagli approcci apologetici, dottrinalistici e dogmatistici, l’approccio giuridico riesca a influire sui riti e sulla dottrina.

 

Sicuramente la riflessione circa la dimensione emotiva e affettiva è tutta da riprendere nell’ambito del cammino penitenziale e, quindi, dell’azione rituale della penitenza. Ma giocare al minimo giuridico non fa parte della sana tradizione.

Il rito va ripensato nella sua gradualità, anche emotiva, non usando le emozioni e gli affetti come minimo sufficiente.

D’altra parte, la formazione, anche quella cristiana, chiede di accompagnare i sentimenti e non di usarli per un risultato giuridico!

 

Confondere la tradizione ufficiale con una formula devota si rivela come distorsione delle coscienze e della loro percezione; ed è ormai chiaro che, alla fine del XX secolo e all’inizio del XXI, quella devozione, forse un tempo ritenuta utile sul piano pedagogico, si rivela un modello fuorviante proprio sul piano della formazione.

I modelli devoti, intesi e confusi con la tradizione, fomentano una prassi dannosa che finisce per confondere la stessa identità del cristianesimo e dei cristiani.

 

 

 

 

 

*i link di vaticannews sono stati consultati il 18 gennaio 2024.

 



[1] Cfr. Congregazione per il Culto Divino, Rituale Romanum ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum: Ordo Pænitentiæ, editio typica 1974 (con decreto datato il 2 dicembre 1973).

[2] Cfr. Congregazione per il Culto divino, Decreto, 1974.

[3] Cfr. Presidenza CEI, Lettera circolare, 1974.

[4] «Dios mío, con todo mi corazón me arrepiento de todo el mal que he hecho y de todo lo bueno que he dejado de hacer. Al pecar, te he ofendido a ti, que eres el Supremo Bien y digno de ser amado sobre todas las cosas. Propongo firmemente, con la ayuda de tu gracia, hacer penitencia, no volver a pecar y huir de las ocasiones de pecado. Señor: Por los méritos de la pasión de nuestro Salvador Jesucristo, apiádate de mí». Conferencia Episcopal Española, Ritual de la penitencia, n. 101.

[5] Vatican News è il portale dell’informazione della Santa Sede, che insieme a Radio Vaticana, L’Osservatore Romano e Vatican Media, intende rispondere “sempre meglio alle esigenze della missione della Chiesa” nella cultura contemporanea. Il sito inizia dal 27 giugno 2015, con Motu Proprio di Papa Francesco che ha istituito la Segreteria per la Comunicazione, oggi Dicastero della Curia Romana. Un organo dunque ufficiale!

[7] «Meu Deus, porque sois infinitamente bom e Vos amo de todo o meu coração, pesa-me de Vos ter ofendido e, com o auxílio da Vossa divina graça, proponho firmemente emendar-me e nunca mais Vos tornar a ofender. Peço e espero o perdão das minhas culpas pela Vossa infinita misericórdia». https://www.vaticannews.va/pt/oracoes/acto-de-contricao.html.

[8] Cfr. https://www.vaticannews.va/fr/priere/acte-de-contrition.html. Questa formula Nel rito francese, Célébrer la pénitence et la réconciliation, corrisponde al n. 80 ed è la quarta delle “Suggestions pour la prière du pénitent”. I suggerimenti offrono anche un testo usata in Canada (e non cita castighi).

[9] In particolare il benedettino P. de Vooght, La justification dans le sacrement de pénitence d’après saint Thomas d’Aquin.


Commenti

Post popolari in questo blog

Due pesi e due misure? Sul “caso Lintner”

Megafoni e scribi del Magistero ecclesiastico?

Se “theologia gaudia beatorum amplificat”