Matrimonio e rivelazione: festo die anniversario nuptiarum nostrarum
Il matrimonio come rivelazione: con l’emozione di chi scrive con la luce che viene dall'altra metà.
Umberto Rosario Del Giudice
Sono
profondamente convinto che il matrimonio, se rivelazione di profonda comunione e realistico amore vissuti,
non possa non essere per ciò stesso “sacramento”, ovvero luogo della
rivelazione del mistero di vita che noi chiamiamo “Dio”. E poiché gli sposi
sono “unici”, l’esperienza di unione di vita di due persone non è mai “uniforme”
ma sempre “unica”. E l’unicità persiste non tanto nel mistero unico, che, in quanto tale, non è mai
completamente esperibile, ma nell’unicità delle persone in quanto tali e in
quanto coppia.
E in questa
unicità che può rivelarsi una parte di quella vita che chiamiamo “Dio”. Ed è in
quell’esperienza che coinvolge anche la fede che si rivela una parte di Dio a
noi stessi e al mondo. Una dimensione epifanica che chiamiamo con troppa semplicità
“matrimonio”. E pensare al matrimonio solo in termini giuridici, nella forma della
“pompa magna” o in quella del “ristretto consenso”, non solo è fare violenza al
matrimonio, ma anche alle persone e al mistero coinvolto.
E nel giorno
dell’anniversario del nostro matrimonio, non ho trovato altro modo che
esprimermi così augurando a Katia, a me e ai nostri figli, ogni bene.
«8
settembre.
Non importa
quanti anni.
Non importa
quanti ne passano.
Non importa
il tempo.
Non importa
dove.
Eppure,
grazie al tempo e ai luoghi vissuti insieme, ogni momento è pieno.
E oggi
vorrei parlarti tanto, e raccontarti di me e di te, e ascoltarti su te e me,
come solo noi sappiamo fare.
Vorrei che
raccontassimo tutto quanto. Ti ascolterei e poi ti direi ciò che senza te non
potrei mai sapere, poiché non potrei vivere quel “me” che sono “con te”.
Non saprei
molto di me, senza te.
E non si
tratta di un "sapere intellettuale": si può parlare e scrivere sul
matrimonio. Ma il vissuto è indicibile; anzi, spesso solo se è indicibile è
autentico: rivelazione profonda di me, di quella parte di me che senza te non
avrei mai esperito.
E non si
tratta di "parlare di sentimenti" o di "riflettere sull’unione
sponsale"... Le possibili belle parole sugli affetti cortesi e le
strutturate sistematiche sul matrimonio qui non trovano posto e perdono ogni
ritmo: hanno solo il sapore di estetico o di vecchio. Le belle parole sono dei
poeti e le sistematiche degli intellettuali.
Qui,
nell’ora di questi anni, tra te e me, è rivelazione di sé a sé stessi. E non ci
sono parole.
Eppure,
vorrei raccontarti tanto.
E così
inizierei, dicendo: "Grazie...".
Continuerei
poi con: "...e grazie...".
E
concluderei, infine, ancora così: "...grazie!".
Il resto
solo tu, con me, lo sai: non sono termini, non sono saperi, non sono volontà,
non sono sentimenti; è tutto questo insieme, vissuto da te e me; e nel 'noi'
queste dimensioni si fanno esperienza, vibrante e sacra. Nessuna parola appare
adatta e adattabile. E nessun silenzio si apre; nessun silenzio che non sia
fatto di te e di me: di noi che dialoghiamo, con o senza parole.
E ritornano
lo spazio e il tempo.
Dove il mistero
diventa pienezza, gioia, complicità, supporto, reciprocità; così parla il
mistero della vita, tua e mia, “nostra”; e diventa mistero di parola senza
parole.
E quel
mistero parla; parla di noi, come sacramento indicibile.
E rivela te
a me, e me a te, senza soluzione e interruzione. E continua negli sguardi, nei
pianti, nei sorrisi, nelle preoccupazioni, nei corpi, negli affetti che, in
parte, germoglia in quel "noi" che si rivela come presenze
totalizzanti, divertenti e mai scontate, che ci ostiniamo a chiamare, con
ingenuità burocratica, semplicemente "figli"; presenze vive:
testimoni veraci della parola da cui nasce il silenzio del nostro mistero; del
mistero che, insieme, siamo.
Allora,
auguri a noi!».
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