“Roma, abbiamo un problema, forse due…”


 

Riconoscere alla teologia il ruolo di intelligenza della fede per rendere il cristianesimo credibile e vitale. Ma si palesano due blocchi: uno magisteriale e uno popolare. E per ora, a pagare il prezzo più alto sono i teologi che fanno ricerca. Quanto durerà questa stagione di incomprensioni?

 



Umberto R. Del Giudice

 

Un post di Manuel Belli che rimanda a esperienze comuni

In questi giorni è apparso un post di Manuel Belli con il quale mi sento in sintonia. 

La questione è la seguente: la competenza teologica non è accolta dalla base ecclesiale. Da qualche decennio si concretizza in modo sempre più aspro una contrapposizione tra competenza teologica, magistero e base ecclesiale. Da questo contesto nascono due blocchi: uno del magistero e l’altro della base. Il primo è supportato dal diritto/dovere di sorveglianza ma rischia la chiusura ad ogni ulteriore logica; il secondo, riferendosi solo alle “sicurezze dogmaticistiche” assume e ammette solo narrazioni spiritualizzanti e tranquillizzanti.

 

La competenza teologica e la base ecclesiale

La questione che si pone è delicata e non di poco conto: la competenza teologica, pur essendo un patrimonio prezioso e irrinunciabile per la vita e per la fede della Chiesa, non viene spesso accolta né compresa dalla base ecclesiale. Da alcuni decenni si è venuta a creare una contrapposizione sempre più aspra tra il lavoro dei teologi, l’autorità del magistero e la sensibilità della comunità dei fedeli. È un fenomeno complesso, che affonda le sue radici in molteplici cause e che non può essere liquidato come un semplice malinteso. Provo a delineare alcune cause: mancata ricezione (o non comprensione) del Concilio Vaticano II, dei suoi presupposti e delle relative riforme; Magistero -post-concilio- che perlopiù percepisce libertà di espressione e nuovi percorsi come deviazioni dottrinali; conflitto generazionale e culturale dentro e fuori la Chiesa su temi etici; un diffuso “dissenso teologico” bilaterale misto a “non-senso teologico” dove i teologi stessi mostrano scarse competenze e alimentano conflitti irragionevoli sull’onda del dogmatismo; cultura contemporanea che confonde, da una parte, il “pluralismo religioso e le nuove sensibilità sociali” come guida per la teologia e, dall’altra, le “certezze di approcci neoscolastici” come unica verità.

 

“Roma abbiamo un problema, anzi due”

Da questo contesto mi sembra si possano registrare due “dispositivi di blocco” (già delineati da alcuni teologi). Il primo, quello del magistero, si fonda sul diritto e sul dovere di sorveglianza, ma rischia di chiudersi a ogni ulteriore logica di confronto, ricerca e discernimento. Il secondo, quello della base ecclesiale, si rifugia in sicurezze dogmaticistiche, accogliendo solo narrazioni spiritualizzanti e chiuse, incapaci di dialogare con la complessità del mondo contemporaneo e con articolazione della fede.

Il risultato è una frattura che indebolisce la Chiesa nel suo insieme: la teologia rischia di essere percepita come un sapere elitario e inutile, distante dalla vita concreta dei fedeli; il magistero appare come un’autorità che difende più che accompagna; la base ecclesiale si chiude in un orizzonte rassicurante ma sterile dietro le narrazioni “catechistiche”. È in questo intreccio di incomprensioni e rigidità che si gioca oggi una delle sfide più decisive per la vitalità della comunità cristiana: forse è proprio qui che si gioca la sfida del cristianesimo “occidentale”.

Il problema di fondo, che a me sembra tra i più perniciosi, rinvia alla percezione che si ha delle competenze teologiche non accolte dalla base e da alcuni pastori: se la comunità ecclesiale non riconosce o non valorizza la riflessione teologica, il discorso si riduce a un unico riferimento: il Catechismo. L’effetto pratico è che la Chiesa di base percepisce come credibile solo ciò che è codificato in un testo normativo, ignorando la dimensione critica e dinamica della teologia. Ma il testo normativo diventa solo e proprio il “Catechismo universale della Chiesa cattolica” (che, come molti ricorderanno, doveva essere solo una sintesi proposta dal Papa perché gli altri vescovi ne sviluppassero narrazioni e indicazioni tenendo conto delle differenze dei contesti – va annotato che pochi percorsi in questa direzione sono stati attivati… –).

 

L’utile ma insufficiente narrazione della logica del Catechismo

Altro limite del Catechismo è l’indole normativa e non dialogica. Un testo che non è strutturato per rispondere alle esigenze della ragione critica e pratica, né per affrontare la complessità dei problemi contemporanei. È un testo-sintesi con tutto quello che ne deriva.

Mi permetto di rimandare ad un solo esempio. La concezione antropologica dell’uomo come unità anima-corpo è riportata ai numeri 362–368, all’interno del paragrafo 6 (“L’uomo”), sezione “Corpore et anima unus”. Il Catechismo afferma con chiarezza che l’uomo è un’unità inscindibile di anima e corpo, voluto da Dio nella sua totalità (e anche ripresa la tripartizione spirito anima e corpo… ma qui non interessa la questione antropologica in sé). Dunque, l’anima è principio spirituale e immortale, creata direttamente da Dio, e insieme al corpo costituisce la persona umana. Questa visione antropologica sottolinea la dignità dell’uomo come immagine di Dio e la sua vocazione alla comunione con Lui. Ma la prospettiva fondamentale e radicale (la dignità umana) viene confusa con un realismo creazionistico che mal si coniuga immediatamente (cioè, senza mediazione teologica) con le indicazioni delle neuroscienze.

È vero che la posizione del Catechismo e le scoperte delle neuroscienze possono essere congiunte, ma la continuità dei due approcci resta affidata ad un dialogo interdisciplinare che deve tener conto della complessità dei contesti: la scienza illumina i meccanismi della vita psichica e corporea, la teologia custodisce il senso ultimo e trascendente della persona. Ma la narrazione “corpo-anima” potrebbe tranquillamente lasciare il posto ad altre categorie per evitare ogni riduzionismo materialista da una parte e ogni dualismo spiritualista (di cui, magari, “Dio è quella causa immediata” di leibniziana memoria…). Per non aggiungere poi che né la Sacra scrittura né il Simbolo apostolico citano “immortalità dell’anima” ma “resurrezione della carne”… Formule che vanno capite e interpretate per una sintesi congrua rispetto anche alle nuove indicazioni antropologiche proposte dalla logica scientifica e da quella filosofica.

In queste ore poi si va evidenziando come un metodo teologico scarso e catechetico-dogmaticistico produca da una parte dichiarazioni insostenibili[1] e dall’altra attacchi personali[2].

 

Conseguenze e prospettive

Le conseguenze pratiche del rigetto delle competenze teologiche da parte della base sono varie (blocco del dibattito, silenziamento con riferimenti a testi normativi, mancato dialogo, dottrina dogmaticistica…). Si dimentica che la “fede” ha le sue esigenze di logica e di ragione: la fede chiede intelligenza (fides quaerens intellectum). La teologia, come mediazione, non è un capriccio; è un’esigenza e serve a mostrare la coerenza interna della fede e a rispondere alla complessità delle domande che si rinnovano in ogni dove e in ogni luogo. Se manca la teologia, la fede rischia di apparire illogica, arbitraria, incapace di dialogare con la società e con le esigenze della fede stessa. Se la competenza teologica non viene accolta, la Chiesa si riduce a un catechismo normativo, utile per trasmettere nozioni basiche, ma incapace di sostenere il confronto logico e culturale (un'esigenza richiamata dal Papa che ha chiesto che la teologia rimanesse “scientifica”). E se manca la ricerca teologica manca anche possibile crescita di fede e di intimità spirituale. La possibile conseguenza è che la comunità percepisca la fede come dogma immobile, mentre la tradizione cattolica ha sempre riconosciuto che la teologia è necessaria per rendere la fede ragionevole, dialogica e credibile.

Ma se nell’economia generale a rimetterci di più non sono i teologi ma il Magistero e la base, nell’immediato chi soffre di più sono proprio i teologi.

E questo forse è un prezzo da pagare. Per il momento.

Quando finirà questo momento non è dato saperlo.

E questa è una certezza.



[2] Si registrano attacchi a suor Linda Pocher a cui va tutta la solidarietà dei colleghi.


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