Laicità: prospettive diverse per il Diritto canonico?


 

L’invito del prof. Pierluigi Consorti, ordinario di diritto ecclesiastico e diritto canonico presso l’Università di Pisa, non può cadere nel vuoto. Teologia e Diritto devono parlarsi a vari livelli, da prospettive diverse, per aprire orizzonti utili al Diritto canonico e necessarie alla vita della Chiesa.

 


Umberto Rosario Del Giudice

 

In una riflessione schietta e lucida apparsa su Il Regno-attualità (2/2022, 15/01/2022, pp. 3-7; disponibile per abbonati), il prof. Pierluigi Consorti invita al dialogo e al confronto tra i canonisti che insegnano nelle università statali italiane e i colleghi impegnati nelle istituzioni ecclesiastiche per avviare una stagione di “dialogo collaborativo con la scienza canonistica laica”. L’articolo, dal titolo A che scopo? Ripensare il diritto canonico per riformare la Chiesa, si concentra sulla necessità di aprire spazi “laici” di riflessione. Consorti afferma, tra l’altro, che “la progressiva assenza di luoghi laici di formazione religiosa” abbia prodotto varie conseguenze problematiche.

Attendendo l’evoluzione di questo invito, che spero sia fruttuosamente e celermente accolto da molti docenti canonisti, evidenzio alcune questioni che elenco brevemente:

  • i canonisti devono dialogare scrollandosi di dosso una reciproca diffidenza storica;
  • il dialogo non appare essere solo tra “canonisti laici” e “canonisti chierici” ma tra “mentalità giuridica laica” e “mentalità canonistica clericale”;
  • il dialogo tra “canonisti” pone più radicalmente quello tra Teologia e Diritto in genere. 

 

Dialogo tra “canonisti” per la “canonistica”: alcune prospettive possibili

 
All’inizio dello scorso secolo la tensione tra “canonisti statali” e “canonisti pontifici” (abbreviazione scorretta ma utile) era alta non solo perché i primi chiedevano maggiore attenzione al sistema delle fonti ma anche maggiore disponibilità ad una comparazione con i sistemi giuridici di matrice statale. Il modello della prima codificazione non faceva altro che acuire le distanze: anzi, da quel momento, morale e Diritto, difesa della Chiesa, offensiva sistematica contro il diritto moderno, furono le caratteristiche di una “crisi canonistica” che non trova facili soluzioni neanche oggi, almeno nella memoria di alcune istituzioni ecclesiali, di alcune prassi curiali, e di alcuni insegnamenti accademici. Dunque, i canonisti devono dialogare scrollandosi di dosso una reciproca diffidenza storica.
Il fatto che molti “canonisti statali” siano laici non dice che tutti i “canonisti pontifici” siano chierici. Ma questo diventa relativo se si pensa al fatto che non è lo status canonico a dare deciso indirizzo al pensiero ma è la “mentalità” stessa che a volte è clericale anche tra i laici. Al contrario, a tratti appaiono “canonisti chierici” con forte mentalità “laicale”. Qual è la distinzione? Credo che alcune distinzioni le abbia espresse Consorti nell’articolo citato: a) la “mentalità laica” accoglie istanze di riforma a partire dal vissuto; b) la “mentalità clericale” non ha potuto o voluto accogliere le istanze “laiche” e “femminili” che pure la teologia stessa ha già fatto proprie.
A questo aggiungerei un’annotazione. All’interno del dibattito canonistico ecclesiale si è palesata, dal 2003, l’introduzione della nuova disciplina della Theologia Iuris canonici e che ancora oggi vede gli stessi “canonisti pontifici” riflettere a distanza (e non a causa dell’emergenza pandemica…) sul suo statuto. Una nuova disciplina che è stata introdotta nel piano degli studi canonistici le cui dinamiche storiche e contemporanee sono forse poco conosciute in vari ambienti, anche ecclesiastici. È anche vero che lo statuto epistemologico di una disciplina 
si pensa all’interno di un “qui e ora”. L’approccio teoretico di una disciplina (in questo caso del Diritto canonico e della Teologia del Diritto canonico) si incontra e si scontra con la progettazione degli insegnamenti, con la motivazione dell’insegnante e con la struttura accademica in cui si insegna. Non si tratta di rilevare una “non libertà di insegnamento”: sebbene a tratti sia stata segnalata in alcuni ambienti accademici ecclesiastici l’inclinazione a “stare sulle proprie” per evitare conflitti (accademici, professionali e dottrinali), è anche vero che ogni approccio è legato al “qui e ora” dell’insegnamento, dell’esperienza di insegnamento e, soprattutto, dell’esperienza ecclesiale di chi parla, insegna, si occupa di Diritto canonico. In questo senso, l’esperienza ecclesiale e l’esperienza di fede anticipano ogni teoria e non possono essere messe al bando dal momento teoretico.
Un buon dialogo aiuterà tutti (accademici statali, accademici pontifici, canonisti, giuristi, teologi, cultori…) a pianificare un confronto costruttivo sulla struttura teoretica del Diritto canonico e della sua funzione senza dimenticare i “diritti” da custodire e riconoscere. E questo, a ben vedere, è proprio lo scopo di una “Teologia del Diritto canonico” che non dovrebbe solo rimandare ad una “sistematica fondazionale” ma dovrebbe essere attenta a valorizzare l’esperienza di fede come “momento teorico e fondazionale” della produzione di ius. 

 

Conclusione aperta

Come giustamente annotava Paolo Gherri nel 2014, «sono i giuristi che “fanno” lo Ius e non i Legislatori, che fanno solo Leges, né i Giudici, che fanno solo Sententiæ» (in Il ruolo ecclesiale del canonista contemporaneo). Un dialogo costruttivo tra canonisti, e tra teologi, che dovranno sempre più tener conto della “dinamicità degli ordinamenti”, non solo potrà giovare al Diritto canonico ma sarà l’humus su cui quel Diritto potrà fiorire come Ius ecclesiasticum, ovvero diritto della comunità ecclesiale.

Un dialogo franco e competente che stia attento alle dinamiche dell’esperienza di fede e del contesto in cui la fede si dona, che accolga la mens giuridica flessibile e, come ricorda Consorti, di “periferia”, aiuterà a ben soppesare i “grandi sistemi dei manuali sintetici” per accogliere “sistemi vissuti di relazioni aperte” come possibili orizzonti utili alla dimensione giuridica della comunità ecclesiale tutta: uno ius condendum per una speranza mai chiusa, per una “communitatem condendam”.

Solo chi ha paura o chi non ha solide basi teoretiche può rimandare un confronto necessario.

 

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