Se il linguaggio giuridico può dare speranza








Se è vero che le parole danno forma, bisogna chiedersi quale continuità ci sia tra linguaggio giuridico, azione del linguaggio e linguaggio ecclesiale.

Georg Henrik von Wrigh poneva un’importante domanda: «Are all norms language dependent?», (Norm and Action 1963, pag. 94) per poi rispondere affermativamente. Forse aveva ragione. Di sicuro c’è che il linguaggio forma le menti, le determina, le plasma; e formando le menti ordina la vita e la realtà.


Le parole, dunque, oltre che comunicare idee, formano pensieri e predispongono opere. Non riflettere su questo aspetto, per il magistero del teologo, sarebbe una delle più grandi omissioni.



Umberto Rosario Del Giudice



Gli ultimi comunicati episcopali sono occasione per riflettere sul linguaggio ecclesiale.
La dimensione giuridica ha un proprio linguaggio. La Chiesa ne fa e ne deve fare uso.
Accanto a questo accade talvolta che anche il linguaggio narrativo, simbolico, profetico, sia un canale che veicoli usi, azioni, con una forza maggiore del linguaggio canonico.
Presento brevemente le caratteristiche del linguaggio giuridico, la sostanza del linguaggio come comunicazione per poi offrire un esempio di linguaggio immediato pur se presente in un atto amministrativo singolare.


Premessa: il linguaggio necessario

Rileggendo alcuni comunicati episcopali circa la ripresa graduale delle celebrazioni liturgiche non si può fare a meno di confrontare gli stili.
Alcuni Vescovi hanno deciso di rivolgere un proprio comunicato.
Altri hanno concordato le linee con la regione ecclesiastica di appartenenza, così è successo ad esempio in Toscana o in Campania.
I Vescovi hanno aggiunto propri decreti, comunicati, lettere, indicazioni (riporto qui una sinossi per la Campania); lo hanno fatto usando uno stile proprio, veicolando vitalità e prossimità, ciascuno secondo la propria forma e il proprio stile al fine di ben organizzare la ripresa delle celebrazioni, in sicurezza e responsabilità.
Anche il comunicato della Conferenza Episcopale Campana ha un suo stile tra il “sapienziale” e il “disciplinare”: le parole dei Vescovi campani sono sicuramente di vicinanza, e noi (nello status di laici) leggiamo quel comunicato destinato ai presbiteri quasi come se fosse indirizzato anche a tutto il resto del “Popolo di Dio”, ritrovando parole accorte.

L’uso del linguaggio canonico-giuridico, o almeno formale in altri casi, è stata una scelta consueta e dettata dalla volontà di voler aggiungere chiarezza alle norme generali al fine di rendere più trasparente e applicabili le disposizioni e per tradurle ai casi concreti.
Questo fa parte della necessaria forma normativa del linguaggio ecclesiale: il linguaggio accompagna nella responsabilità e nella sicurezza le azioni ecclesiali.

Tuttavia ogni linguaggio definisce le identità, e nella Chiesa questo è quanto mai evidente.
Al di là dunque delle pur necessarie indicazioni pratiche, i linguaggi, le forme, gli stili, hanno come marcato e definito il contesto ecclesiale da cui riprendere le celebrazioni liturgiche.

I linguaggi hanno evocato identità ecclesiali.
Per questo motivo un teologo non può sottrarsi dal riflettere sull’uso del linguaggio, e del linguaggio giuridico-canonico in genere, nella vita della Chiesa.


Il linguaggio giuridico-canonico

Il linguaggio giuridico (e anche quello canonico) è quel particolare linguaggio tecnico che non solo si basa su di una lingua comune (latino, italiano, francese, inglese…), ma che è portatore di una propria terminologia e un suo particolare stile[i].
In alcune forme il linguaggio giuridico è elevato, curato, caratterizzato a volte da termini non usati nel linguaggio comune (come succede in Francia). Nel tecnicismo giuridico a volte i termini assumono significati non comuni come accade spesso anche in italiano: “comparire” (essere presente in aula), “concorso” (collaborazione di persone), attore (colui che inizia un’azione giuridica), “convenuto” (colui che subisce il processo).
Il linguaggio si connota anche di stereotipi, formali o di sintassi, con tensione tecnico-giuridica specifica[ii].
La redazione dei documenti giuridici, inoltre, bada al piano della compilazione, con stile concreto e formale.
È evidente che il linguaggio tecnico-giuridico è legato alla spersonalizzazione: i soggetti o gli oggetti sono plurimi e indefiniti. Per obiettivo primario di generalizzazione ed economia logica sono spesso usati sostantivi astratti[iii].
Così anche i soggetti sono per lo più definiti al maschile (maschile inclusivo?): e questo accade anche nel diritto canonico (“i fedeli”, “i laici”…).
Tutto questo crea un linguaggio tecnico.

Ma il linguaggio crea identità.
Allo stesso tempo, infatti, il linguaggio crea una interpretazione della realtà: il modo di comunicare crea il mondo.
In altre parole, il linguaggio giuridico può mediare (e di fatto media) una visione del mondo, delle persone e delle cose, determinandone l’identità.
Per questo appare chiaro che il linguaggio (e in modo particolare quello giuridico) diventa uno strumento di potere poiché, adattando le parole alla realtà finisce di disporre la realtà al linguaggio.


Il linguaggio come azione


Se il linguaggio “sistema la realtà” e “opera dentro le cose” si può dire che è un’azione. Per la pragmatica, infatti, il linguaggio agisce: esso provoca conseguenze, stimola idee, incita alla responsabilità nell’ambito di un contesto culturale oppure annichilisce le speranze e i desideri soggettivi.

Il linguaggio opera coi corpi e come se fosse un corpo: le parole sono corpo, poiché il linguaggio è costituito da parole, dette e ascoltate (intersoggettività), che creano campi semantici e contesti significativi e lo fanno comunicando pensieri; si può dire che l’unico modo per dire idee è quello di darsi parole in un contesto ben definito. Tuttavia le parole hanno bisogno di carta e penne, per essere scritte, di occhi per essere lette o, più semplicemente di bocche per essere dette e orecchie per essere ascoltate.
Non basta. Il linguaggio si comunica dentro un contesto: formale, giuridico, amicale, familiare, affettivo, scolastico, ecclesiale… in quei contesti le stesse parole possono dire cose diverse[iv]. Le parole sono dette in contesti e creano contesti in cui ci si riconosce o ci si scopre. 
Il linguaggio è il corpo.
Anzi, il linguaggio diventa la mia mente e il mio corpo[v].
Attraverso il corpo (contesto, parole dette, ascoltate, scritte, lette, digitate…) formo la mia mente. Inizio a pensare con le stesse forme di pensiero con cui mi viene rivolta la parola.
Il linguaggio è azione di riproduzione intellettuale e intersoggettiva; in realtà il pensiero stesso non esiste come forma intellettuale solitaria ma come derivato e presenza in sé della comunicazione intersoggettiva.
Nelle dinamiche del diritto poi il linguaggio diventa ancor più “performativo”: pronunciando una frase, chi ha autorità, fa ciò che la frase stessa dice (“dispongo”, “delego”, “derogo”…)[vi].
Le strutture sociali poi hanno sempre una relazione con l'uso dellautorità. A questa dinamica non sfuggono le strutture religiose.
Appare evidente come tanto le dottrine teologiche[vii] quanto l’elaborazione delle istituzioni religiose[viii] siano connesse intrinsecamente al linguaggio e all’uso che se ne fa e nelle forme in cui è adottato.


Linguaggio canonico e linguaggio profetico


Nel 1985 un gruppo di fedeli chiese al Vescovo della neo Diocesi di Molfetta-Giovinazzo-Terlizzi[ix] il riconoscimento come Associazione privata di fedeli ex can. 229 §3 CIC. Dal punto di vista canonico, questo passaggio è molto delicato: presuppone un esame degli Statuti e una verifica circa l’insegnamento della dottrina cristiana o la possibilità di incremento del culto pubblico, dell’apostolato e di altre azioni propriamente ecclesiali.
È un passaggio che va presupposto tanto alla richiesta della personalità giuridica quanto al futuro Decreto di approvazione degli Statuti (ad experimentum) perché l’Associazione possa diventare “pubblica”.
Di solito è il primo passo per il cammino di Istituti di vita consacrata, Movimenti...
L’atto amministrativo dell’autorità diviene essenziale al prosieguo della vita di quella parte di fedeli.

Ebbene, in quegli anni il vescovo era don Tonino Bello.

Se si analizza il Decreto con cui ha riconosciuto e approvato gli Statuti di quell’Associazione si rimane esterrefatti.
Un atto giuridico, un atto amministrativo singolare, un decreto episcopale, scritto a mano e che alle forme giuridiche relegate al minimo necessario associa l’abbondanza di un linguaggio straordinario, profetico.
Don Tonino in un solo rigo sbriga il linguaggio giuridico quasi come superfluo per auspicare ogni bene alla comunità: «…desidero esprimerle ufficialmente non solo il riconoscimento e l’approvazione dell’Associazione […] ma intendo anche comunicarle il mio augurio e il mio incoraggiamento»[x].
Tutto qui: di giuridico, tutto qui.
Anzi la lettera (ovvero “Decreto”) continua con parole che mettono insieme la gioia del fedele e la vigilanza del pastore:
«Lo Spirito Santo dia, a lei e a tutti i membri della Associazione, il dono della speranza, l’ampiezza dell’utopia e il discernimento della concretezza».
In queste poche battute don Tonino ha saputo regalare un cammino di spiritualità e lo fa citando “l’ampiezza dell’utopia” in un decreto episcopale.

È vero: se il linguaggio è uno strumento necessario per l’ordine e la comunicazione, la forma stessa del linguaggio può aprire le menti a orizzonti variegati, a vette alte, perché può aprire le identità oltre il solo formalismo.

È questo un esempio chiaro di quanto il linguaggio realizzi orizzonti e doni identità.

Certo non a tutti è chiesta la disinvoltura del profeta per comunicare oltre e nel linguaggio giuridico, né è sempre opportuno.

Tuttavia, il profeta si riconosce dalle parole che fanno vibrare verso il futuro, verso una speranza, in cammino verso quella libertà che è sempre già e non ancora.

Ed il linguaggio ecclesiale ha spesso più bisogno di parole vibranti che di canoni, disposizioni e decreti.
Questo è quanto stanno imparando i cristiani anche nelle parole e nelle azioni di questi mesi in una identità in divenire, verso lutopia della speranza di una Chiesa capace sempre di dirsi.









[i] Cfr. V. Jacometti, Lingua del diritto e linguaggi specialistici, in Digesto delle Discipline Privatistiche – Sezione civile – Aggiornamento, diretto da R. Sacco, Torino 2013, 321.
[ii] Così accade per espressioni come: “considerato che…”, “atteso che…”, “caso di specie…”, “di guisa che...”, “visto che…”, “si deve eleggere domicilio”, “deve farsi…”, “può farsi…”, “deve iniziarsi…”, “deve procedersi”…, “esercizio dell’azione…”, ecc. Cfr. B. Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani, Torino 2001.
[iii] Non a caso il linguaggio giuridico tedesco è definito “Papierdeutsch”, tedesco di carta, ovvero “astratto”, “secco”, “neutro” non comprensibile e distante dai comuni linguaggi e significati.
[iv] Se un cristiano o un ebreo augurano la “pace eterna” fanno riferimento alla salvezza; se nell’aula bunker di Palermo durante il maxiprocesso un mafioso augura la “pace eterna” al Presidente del tribunale prima che questi si ritiri per la sentenza, fa riferimento, poco esplicitamente, ad una minaccia di morte.
[v] Sulla dinamica del linguaggio come pragmatica relativi all’azione rituale si veda: G. Bonaccorso, Il rito e l’altro. La liturgia come tempo linguaggio e azione, Città del Vaticano 2012.
[vi] Sul tema sono noti gli studi di Austin: J.L. Austin, How to do things with words, London 1962.
[vii] Cfr. G.A. Lindbeck, La natura della dottrina. Religione e teologia in un’epoca postliberale, Roma 2004.
[viii] Cfr. F. Alberoni, Movimento e istituzione. Come nascono i partiti, le Chiese, le Nazioni e le civiltà, 2 ed., Venezia 2014, 289ss.
[ix] Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi furono unite in unica Diocesi il 4 settembre del 1982. Ruvo di Puglia fu aggiunta pochi giorni dopo ma unita in persona episcopi alle tre sedi precedenti. L’attuale e unica Diocesi è del 30 settembre 1986. In ogni caso don Tonino è stato il primo vescovo della nuova Diocesi con quattro sedi in plena unione.
[x] A. Bello – A. Neri, Un germoglio di speranza, ed. Insieme, Terlizzi 2000, 145.






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