La sedia e la panca
Dobbiamo far convivere la distanza rituale delle nostre assemblee con la distanza formale del diritto civile; dobbiamo attendere alla legge della celebrazione senza dimenticare i corpi che celebrano e che, se posti solo a distanza formale potrebbero creare un corpo devozionale
Umberto R. Del Giudice
Il 27 aprile 1792 mons. Ranieri
Mancini da Cortona, in quell’anno vescovo di Fiesole, firmava il “rescritto di
decreti” per la disciplina da tener in tutta la Diocesi “nella piena osservanza”.
Nel Titolo “De’ Parochi” al numero 22 prescrive: «essendo non poche volte
occasione di scandali, e di dispute le panche solite porsi da particolari nelle
Chiese, resta perciò proibito a chicchessia di mettere panche, o sedie nelle
Chiese, ed ai Parochi, o altri Rettori di accordarlo senza la licenza del Vescovo,
o del Vicario Generale in iscritto. Quelle panche, o sedie, che già sono nelle
Chiese devono esser collocate due braccia almeno dagli altari»[i].
Panche e sedie: arredi ormai
necessari per ascoltare le lunghe prediche previste dalla Riforma. Pur sempre
un’occupazione di spazio, in un modo o nell’altro. Si moltiplicarono in
quei secoli, al di là della disciplina canonica, gli “affitta seggiole” con tanto
di tariffario e tempi. Uso che è arrivato fino a qualche decina di anni fa:
qualcuno ricorda che “prendere la seggiola” anche per gli amici o per i congiunti
era un modo per creare relazioni, come oggi si offre un caffè[ii].
Così, dopo il Concilio Vaticano
II, quelle sedie o panche che dovevano servire per sedersi ed assistere e
ascoltare meglio le prediche, divennero arredo dell’aula liturgica in cui i
corpi dei fedeli, bene ordinati, si alzavano, si sedevano, di inginocchiavano, stavano vicino. Ognuno il proprio posto; e da quei posti muovendosi per creare un’unica processione per condividere l’eucaristia. Anche nella processione da quei posti l’assemblea crea corpo.
Dopo il Concilio di Trento, la distanza
intima scongiurata dalla antica disciplina (uomini dietro in piedi a capo
scoperto e donne avanti sedute a capo velato…) era sempre più assicurata fino a
diventare distanza formale e si arrivò al lecito affitto delle sedie soprattutto
lì dove le Chiese avevano grande capienza ma poche finanze per assicurare posto
a tutte (le donne…). Ma è dopo il Concilio Vaticano II che le panche diventano
luogo per la comune celebrazione nella distanza ordinata. L’assemblea è
organizzata perché non è irrilevante: la sede per chi presiede e i banchi (raramente le sedie) per tutti gli altri. Lo spazio preordinato diventa il
luogo del linguaggio silenzioso dei corpi accostati non per formalità (né per
intimità) ma per univoca rappresentazione dell’identità comune.
Quella diventa la “territorialità”
della Chiesa che celebra: l’assemblea liturgica, compreso chi presiede, diviene
il corpo della Chiesa. L’assemblea ordinata diviene il corpo mistico perché
reale e presente, congiunto e partecipe (e non indugio su quale sia il corpo mistico o reale dopo il XIII).
Ora cosa si chiede?
La ripresa delle celebrazioni
liturgiche con assemblea è oggetto di grande dibattito nelle ultime ore. Da una
parte c’è l’annuncio delle nuove misure del Governo[iii]; dall’altra
la comunicazione CEI[iv].
In modo particolare i toni di
alcuni si sono accesi invocando diritti fondamentali e inalienabili, libertà di
culto, autorità episcopale.
Spero vivamente che tutti i
fedeli, a partire dai vescovi, sappiano trovare un modo di ragionare e di
confrontarsi più pacato e meno rigido anche per non offrire il fianco a facili strumentalizzazioni.
Va detto che la
comunicazione della CEI lascia perplessi. Ma diamo atto ai nostri Vescovi di
trovarsi in una situazione particolare. Da una parte alcuni che premono per
riavere la possibilità di celebrare; dall’altra altri che chiedono prudenza. Ci
vorrà pazienza. C’è però un dato di fatto: non si
potrà passare dalla fase 1 alla fase 10: si dovrà procedere per gradini anche
se nella fase 2 ci tocca essere ancora corpo legalmente distante.
Ma è giusto ricordarlo: la
distanza ordinata creata dalla celebrazione comune della eucaristia non la
potremmo avere presto.
La distanza ordinata dell’assemblea liturgica sarà,
causa forza maggiore, ripensata, rimodulata forse anche mortificata e questo significherà
il ritorno ad una distanza formale. Una sedia ogni due metri? Un fedele per
ogni panca? E poiché gli spazi si allungano si moltiplicheranno i tempi: la ripetizione di messe su messe... Questo non voglia essere il segno di un ritorno all’assemblea
formale, che potrebbe significare anche la regressione ad un’eucaristia devozionale.
E a nulla vale richiamare il
diritto alla libertà di culto. Non possiamo invocare l’immunità diplomatica
quasi come se le nostre chiese fossero spazi “extraterritoriali”. Non possiamo rifugiarci
nella tensione delle guarentigie ecclesiali. Non possiamo fare un passo moderno, ovvero un lungo
passo indietro.
Forse dobbiamo far convivere la
distanza ordinata delle nostre assemblee con la distanza formale del diritto
civile; dobbiamo attendere alla legge della celebrazione senza dimenticare i
corpi che celebrano e che, se posti solo a distanza formale potrebbero creare un
corpo giuridicamente ecclesiastico e formalmente non-ecclesiale.
Ma il diritto alla libertà di culto non ci è precluso:
possiamo continuare a celebrare, essere assemblea che celebra anche oltre le
distanze ordinate e formali, con la liturgia delle ore, con la celebrazione
della Parola, con la testimonianza della fede e della carità. La ricerca a tutti i costi della celebrazione eucaristica per pochi potrebbe essere la regressione liturgica di molti.
È pur vero che alcuni luoghi potranno
avere presto nuove disposizioni per il culto: non fare di tutta l’Italia un
unico luogo, ma luoghi differenti in cui poter avere ordinanze differenti a
seconda dei casi. Ma seguendo sempre il parere del Comitato scientifico che
cura i corpi reali, i corpi di tutti. Quelli che curano hanno visto corpi senza vita lasciarci senza formalità e senza ordine, senza ricordo e senza culto. Rischiare sarebbe un deformare i ricordi di quei corpi.
Oggi l’assemblea unica, potrà ricominciare
pian piano a sentirsi tale senza accontentarsi di distanze di sicurezza in panche e sedie distanti e distaccate e senza
rischiare, per questo, di cadere in spazi di devozione dove ognuno si accomoda dove vuole e dove può.
[i] Ranieri Mancini, Patrizio cortonese
per la grazia di Dio e della S. Sede apostolica vescovo di Fiesole a tutto il
venerabile clero della sua Diogesi salute nel Signore e la pastoral benedizione,
Firenze 1792, p. 14, n. 22.
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