"De ritibus", "de actionibus" e "de mentibus"




Ancora segnalazioni di quanto siano importanti i Praenotanda, gli Ordinamenti, le Istruzioni o Instituzioni dei rituali.




Umberto R. Del Giudice



Basterebbe dare una lettura scorrevole ai Praenotanda, agli Ordinamenti, alle Istruzioni o alle Instituzioni, un po' per essere più fedeli alla tradizione e, allo stesso tempo, per garantire quella creatività diocesana, parrocchiale, comunitaria che pure i Pastori sono chiamati a supportare e regolare e che tutti siamo chiamati a vivere nelle celebrazioni.
Le opportunità di stare nella tradizione con creatività sono tante: basti ricordare quante volte le stesse "rubriche" aprono a molte, moltissime possibilità.

Condivido il testo di Andrea Grillo a cui aggiungo solo brevissime considerazioni pratiche.

Annoto una prima curiosità. In riferimento all'IGNR (Institutio Generalis Missalis Romani) l'originale latino dice appunto "Institutio" (differente da "Instructio"). Il termine scelto nell'edizione latina dice più guida e accompagnamento, dice più introduzione al contesto ermeneutico del rito che disciplina in sé.
La versione italiana traduce “Ordinamento” come se si trattasse di un "Ordo". 
De gustibus?... No: le questioni linguistiche sono sempre anche (sebbene non solo) questioni ermeneutiche, di mente.

L'intenzione del testo in latino, dunque, sembra essere più quella della guida che della istruzione giuridica. Tradurre in italiano con “Ordinamento” già perde (o aggiunge) qualcosa, tra riduzionismo ed eccesso. Non c’era molta scelta: ma “gli addetti ai lavori” devono percepire la sfumatura, pena l’incomprensione della “mens” generale o di alcuni passaggi.

Nella mia esperienza faccio spesso riferimento ad alcune considerazioni che qui condivido senza voler essere esaustivo partendo da una premessa: se molte nostre comunità avessero letto l'IGMR (CEI 2004, edizione promulgata per tutta la regione ecclesiastica italiana) qualcuno si sarebbe accorto almeno di tre cose, tra le tante altre, che aiuterebbero le nostre esperienze domenicali poiché dettano contesti significativi molto puntuali quanto "sostanziali".

1. Alzarsi all'invito "Pregate fratelli" prima dell'orazione sulle offerte così da sottolineare che la funzione sacerdotale comune è compresa fin dalle offerte (non è una questione del "prete") come suggerisce il n. 43.

2. Eliminare l’insana tradizione di mettere "cestini delle offerte sotto all'altare" (davvero non se ne può...). L'ultimo capoverso del n. 73 è chiaro: "Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica".
Questo gesto ci aiuterebbe a cogliere l’importanza che “gli spiccioli della vedova” diventano un’offerta ben più preziosa che il superfluo del vivere. E sull’altare o si dà il sé o si dà il superfluo. E a questa partecipazione di donazione di sé tutti sono chiamati in quanto sacerdoti non in quanto possidenti.

[Su invito della cara Tullia Lippi chiarisco il concetto. Partiamo da un dato: è ancora uso porre il cestino delle offerte, soprattutto quello che raccoglie le donazioni in denaro, sotto l'altare. Annoto che ricordo di essere stato cooptato una domenica per "girare il cestino" e nonostante mi opponessi, fui costretto a lasciare il cesto proprio sotto all'altare. Il dato rubricale dice che questo non è concesso, non è possibile. La mia aggiunta rispetto alla donazione col riferimento alla vedova, vuole ribadire un concetto: la donazione non si misura in base a quanto hai dato in denaro ma in base a quanto ti doni a Dio e ai fratelli. Il fatto che quel cestino permanga sotto l'altare mi fa pensare più ad un donazione "de congruo", di denaro, che a una donazione personale. Cosa che purtroppo riecheggia ancora... Spero di aver chiarito il concetto]. 


3. Il Gloria (n. 53) e il salmo responsoriale (n. 61): non sono canti qualsiasi: sono azioni a sé stanti, che godono di un momento che esprime il cuore dell'azione partecipata col "solo" canto assembleare. Ma sembra difficile cantare insieme solo per cantare: come se risultasse un'azione "inutile" (sul concetto di utile/inutile qui non mi dilungo...). Eppure, proprio nell'essere “respiro corale” il canto che non accompagna nessuna azione, è esso stesso azione tetica, performativa: azione della lode e della preghiera corale che rende corpo unico che respira nella gioia e nella contemplazione.

Queste dinamiche sono solo alcune che potrebbero scaturire dalla lettura dell'IGMR, e possono sicuramente essere utili indicatori tanto per i riti in presenza (che tutti aneliamo celebrare) quanto per quelli a distanza.
In ogni caso sono indicatori essenziali, contesti chiari, necessari per scrivere ogni altra guida o vademecum per i riti che ci accingiamo a celebrare a distanza.

I gesti non sono solo "gesti": sono azioni che concorrono alla struttura dei significati.
Lo impareremo.




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