Secondo incontro per il libro di Andrea Grillo: mons. Matino spiega la scelta della Chiesa di Napoli

 

 


Secondo incontro “napoletano” col testo di Andrea Grillo. Modera Adriana Valerio. Interviene mons. Gennaro Matino che ricorda che la Chiesa di Napoli sta operando, nell’orizzonte oggi consentito dalla disciplina, una scelta di valorizzazione del ministero e del servizio delle donne anche a livello direttivo della Curia di Napoli.


 


Umberto Rosario Del Giudice

Nella splendida cornice della sala Sant’Antonio del complesso di San Lorenzo, lunedì 12 febbraio si è svolto il secondo incontro “napoletano” per la presentazione del libro di Andrea Grillo. Ha moderato Adriana Valerio presentando la riflessione dell’autore e la risposta benevola di mons. Matino che ha apprezzato il libro e ha espresso la volontà della Chiesa di Napoli a fare ciò che ora si può (e si deve) fare.

Ecco il breve resoconto di questo secondo incontro.

 

La relazione di Andrea Grillo: perché il secondo libro

Andrea Grillo ha ricordato il primo testo uscito un anno fa circa, in cui procedeva ad una rassegna delle argomentazioni classiche.

Commentando la visita fatta nel mattino alla “cella” di San Tommaso, «con grande rispetto e grande emozione», ricorda come proprio l’Aquinate sia stato chiaro e limpido nell’impostare il perché dell’impedimento del “sesso femminile” al ministero ordinato. Per Tommaso, nel XIII secolo, con “linearità abbagliante”, “traduce” ciò che lo precede e pone in chiaro ciò che lo segue: la donna (insieme a disabili, condannati per omicidio, figli naturali e schiavi) “non può esercitare in pubblico l’autorità”. Questa “mancanza di autorità pubblica” è la motivazione che viene riprodotta e ripresa per i secoli successivi.

Come già ricordato nella prima presentazione “napoletana”, in questo nuovo testo l’autore riprende il percorso e, partendo da una evidenza espressa già in Pacem in terris, pone la dignità e il ruolo della donna nello spazio “pubblico” come elemento da cui riprendere la possibilità del rapporto donna–ministero ordinato.

Infatti, la nuova “condizione pubblica della donna” segnata dal ‘900 ha riproposto una seria questione teologica. Una condizione che diventa “segno dei tempi”, ovvero elemento che appare nella storia dal quale la Chiesa impara e che non ha mai fatto parte della comprensione e della riflessione. Quasi nel suo “canto del cigno”, Giovanni XXIII pone delle evidenze che devono accompagnare il discernimento della Chiesa nel XX secolo. Se la Chiesa in passato, infatti, ha imparato che non ci sono “popoli” di serie A e di serie B, e ha imparato che tutti i lavoratori sono soggetti di dignità come i datori di lavoro, oggi impara la pari dignità nel “pubblico” della donna, un elemento che pone un approccio diverso alla possibilità di contemplare il “sesso femminile” in relazione al ministro ordinato. L’elemento essenziale del ministero, infatti, “il sesso maschile”, dedotto in passato dall’impostazione circa “l’autorità pubblica” del soggetto che veniva ordinato, non trova giustificazioni né nel “silenzio” del nuovo testamento né nella antropologia di “somiglianza” del “Gesù maschio – ministro maschio”.

Dal 1963 in poi nasce nella Chiesa un fermento riflessivo a partire da un ottimo contributo dato proprio dalle donne.

Tuttavia, il primo documento del magistero, Inter insigniores, del 1976, cita nel titolo una frase interna di Pacem in terris, che riconosce la dignità pubblica delle donne come segno dei tempi e, dopo poche righe, dimentica quella stessa impostazione, poiché rivendica l’evidenza che questa nuova impostazione non significa nulla per il ministero ordinato. Dunque, il segno dei tempi di Pacem in terris non diventa un’evidenza importante per modificare il ministero ordinato per Inter insigniores.

Inizia un “ritornello” che dura fino ad oggi è che suona così: “non abbiamo il potere” di cambiare sulla ordinazione e includere le donne nel ministero ordinato.

In realtà, la “tradizione”, in questo senso, inizia proprio con Inter insigniores, poiché le citazioni dei Padri della Chiesa, di Tommaso, e altri dottori, sono una sapienza che oggi chiede di essere tradotta in modo coerente, senza mettere un punto che però è nato solo nel XX secolo: il non avere potere.

Quella stessa tradizione e quella stessa sapienza tacciono dal 1963 per una teoria che non si lascia smuovere né dai “segni dei tempi” né dalla stessa sapienza di quei dottori della Chiesa che sapevano riflettere a partire dai dati.

I teologi oggi usano soprattutto argomenti di autorità. Ma il dovere professionale di un teologo è quello di porre questioni a partire dalla riflessione critica e non dall’autorità senza argomentazioni.

Né si può ridurre l’accesso delle donne ad un diaconato “minore”. Ed è questa una soluzione proposta da alcuni.

 

La riflessione di mons. Matino: ciò che la Chiesa di Napoli fa

Mons. Matino ha ringraziato Andrea Grillo per aver donato un testo puntuale e interessante. Un testo che, ha sostenuto il prelato della Chiesa di Napoli, non ha nulla di polemico, ma anzi, offre percorsi per costruire parole significative all’interno stesso della Chiesa. Non c’è nessuna virgola, ha ribadito, da cui non traspiri la volontà precisa non solo di mettersi nella prospettiva della tradizione ma anche di seguirla.

Mons. Matino ha voluto citare direttamente la Gaudium et spes che afferma al n. 1 che la Chiesa è curiosa ed è in ascolto di ciò che avviene nel mondo. Purtroppo, annota mons. Matino, al di là dei “primi momenti” dopo il Concilio, si è registrata, man mano che avanzava il tempo, non più l’attenzione ai mutamenti ma la paura che i mutamenti potessero sfiancare la struttura e l’immagine della Chiesa.

Così più che adeguare il cammino della Chiesa si è bloccata la Chiesa alla forma esteriore della sua immagine senza andare in profondità a trasformazioni necessarie e indicate dallo stesso Concilio secondo un’autenticità di presenza propria dello Spirito che aleggiava nel Concilio.

Per assurdo quello che dice papa Francesco oggi è vecchio rispetto a quello che dice il Concilio. Per assurdo la stessa tematica che oggi noi affrontiamo doveva essere in qualche maniera conseguenza diretta di un’apertura di significati che nasceva all’interno del percorso conciliare.

Quello conciliare, continua mons. Matino, è un progetto di un Vangelo che fosse quanto più aperto e condiviso. Perché, se è vero che il ruolo della donna e la ministerialità al femminile è un tema prezioso, lo è anche il tema del laicato che è venuto in qualche modo a mancare. È stato come tranciato.

In fondo la reazione all’inefficacia della messa in cantiere di tutto ciò che era stato indicato dal Concilio è il clericalismo stesso. Una realtà, quella del clericalismo, che pone al suo interno stesso il “maschilismo”.

Nella Diocesi di Napoli, dice mons. Matino, in alcuni tempi si è avuto difficoltà di porre il tema del laicato.

Forse il punto oggi sarebbe quello di evidenziare e mettere in pratica la ministerialità femminile attraverso le possibilità già esistenti: si pensi ai ministeri istituiti del lettorato, accolitato e al catechista. Ci sono queste possibilità e pure allo stesso tempo una resistenza preconcetta di molti che non mettono in pratica ciò che è già possibile.

Nella Chiesa di Napoli, dice don Gennaro, si è fatta una scelta: iniziare a scegliere donne anche per ruoli importanti all’interno della Curia. Lì dove erano previsti i vicari episcopali si sono scelte le delegate.

Lo stesso Arcivescovo preferisce che ci siano parrocchie aperte con donne o famiglie che le possono reggere anziché un parroco con molte chiese o con alcune parrocchie chiuse. È preferibile dare significato al Vangelo piuttosto che all’ordinamento. E il Vangelo può correre tanto solo se il Vangelo avrà più possibilità di abbracciare le storie e le comunità.

Mons. Matino, dunque, ribadendo la bontà del testo di Andrea Grillo, ha ricordato che la Chiesa di Napoli ha già fatto la scelta di operare una svolta almeno in quel che oggi è possibile alle Chiese: la valorizzazione a tutti i livelli consentiti dalla disciplina del ministero e del servizio delle donne. E non è poco se si considera che molti altri hanno ancora minimizzato le stesse opportunità offerte dall’attuale disciplina.

 





La cella di Tommaso d'Aquino visitata e fotografata da Andrea Grillo

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