“Alterum excludit, alterum redintegrat”. Il caso
Donna convivente chiede sacramenti.
I “chierici” della parrocchia le rispondono
che “è illegittima” e non può accostarsi neanche alla penitenza.
Umberto Rosario Del Giudice
Il
caso
Vengo a sapere di un caso molto particolare.
Lo espongo brevemente per poi tirare alcune
conclusioni.
Ida (nome di fantasia) è convivente da anni.
Col suo compagno, col quale ha un figlio di dieci
anni, vive con profondità e lealtà.
Tre anni fa decide di avvicinarsi ai
sacramenti e di chiedere la preparazione per la cresima e frequentare il (per-)corso
prematrimoniale.
Finiti entrambi i percorsi, per varie
contingenze, non convola più a nozze e rimanda anche la cresima.
Ida ora ha una piccola aspirazione:
accompagnare come madrina la piccola nipote al battesimo. Decide così di riprendere
il cammino di fede interrotto.
Per capire il da farsi, manifesta le sue
intenzioni al diacono della stessa parrocchia dove tre anni prima aveva
compiuto il cammino.
Il diacono, prima, e il parroco, poi, le
spiegano che lei “è illegittima” e che, non solo non può assumere il ruolo di
madrina, ma che non potrà né cresimarsi né sposarsi finché vive da “illegittima”
(non si comprende da dove abbiano preso questa espressione!). I chierici della
parrocchia aggiungono anche che non sarà possibile per lei accostarsi alla
penitenza poiché continua a vivere more uxorio e anche perché «mica si può
pentire di quello che sta facendo?!». Al massimo, quando sarà decisa e riprenderà
la preparazione ai sacramenti, si “confesserà” e da quel momento lei e il
compagno vivranno in case separate fino al matrimonio.
È chiaro che Ida rimane perplessa: non tanto
per non poter far più da madrina (l’aveva messo in conto) ma perché quest’impostazione
le rivela un volto molto istituzionale e una concezione ecclesiologica fin troppo
giuridista.
Grande amarezza di Ida e del compagno; e
confusione degli amici (cattolici).
Chi conosce Ida, sa che, in un modo o nell’altro
è disposta al cammino di fede e vuole davvero arrivare a coronare la sua unione
col matrimonio sacramento nonostante le mille difficoltà.
“Alterum excludit, alterum redintegrat”
Il racconto, oltre che sconcertarmi, ha riportato
alla mia mente un passo di un’omelia di Papa Francesco ripresa dalla Amoris Lætitia. Preferisco riprendere qui
direttamente l’omelia poiché in AL il testo è tagliato. La citazione mi serve
solo per cogliere e sottolineare “due” logiche rispetto a chi “esclude” e a chi
“reintegra”.
Disse il Pontefice il 15 febbraio 2015 in
relazione alla legge antica e alla nuova legge proposta da Gesù:
«Sono due logiche di pensiero e di fede: la paura
di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti. Anche oggi accade, a
volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori
della legge, ossia emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e
la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie
reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e
l’esclusione in annuncio.
Queste due logiche percorrono tutta la storia
della Chiesa: emarginare e reintegrare. San Paolo, attuando il comandamento del
Signore di portare l’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini della
terra, scandalizzò e incontrò forte resistenza e grande ostilità soprattutto da
coloro che esigevano un’incondizionata osservanza della Legge mosaica anche da
parte dei pagani convertiti. Anche san Pietro venne criticato duramente dalla
comunità quando entrò nella casa del centurione pagano Cornelio»[1].
Il testo latino di AL riprede così:
«bina principia totam Ecclesiæ
historiam percurrunt: alterum excludit, alterum redintegrat» (AL
296) [due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e
reintegrare].
E continua citando l’omelia del 2015 che qui
riprendo ancora:
«La strada della Chiesa, dal Concilio di
Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e
dell’integrazione. Questo non vuol dire sottovalutare i pericoli o fare entrare
i lupi nel gregge, ma accogliere il figlio prodigo pentito; sanare con
determinazione e coraggio le ferite del peccato; rimboccarsi le maniche e non
rimanere a guardare passivamente la sofferenza del mondo. La strada della
Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la
misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la
strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a
cercare i lontani nelle “periferie” essenziali dell’esistenza; quella di
adottare integralmente la logica di Dio; di seguire il Maestro che disse: “Non
sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a
chiamare i giusti, ma i peccatori”».
Magistero,
pastori e pastorizia
Il Magistero della Chiesa
s’incammina decisamente verso la “reintegrazione” di tutti che nel linguaggio
latino non significa solo “mettere dentro un gruppo” ma rinnovare, ricominciare,
ricostruire, ravvivare, e anche completare l’esperienza
delle persone.
Fissare i puntelli di una
legge stantìa che non accoglie e valorizza l’esperienza ma giudica, definisce e
stabilisce posizioni, è proprio di un modello di società (e chiesa) chiusa e
dell’onore che dobbiamo lasciarci alle spalle. Enunciare i principi moralistici
per delineare i confini delle posizioni e degli status ecclesiali, non è certo la
strada che la Chiesa sta percorrendo oggi nell’autocomprensione di sé alla luce
del Vangelo (così come lo accoglie e comprende oggi).
Mettere paletti ideologici
con quelle norme che sono servite in passato per delimitare ed evitare abusi e
discriminazioni non solo non ci fa fare passi in avanti ma di porta indietro,
anche a prima del medioevo. Qualche secolo fa, in quelle società chiuse, il
matrimonio assicurava alla donna un ruolo sociale sottraendola al contempo a una
possibile emarginazione. Lo stesso matrimonio garantiva l’amministrazione del
patrimonio da parte dell’uomo. E tutto doveva rientrare in queste categorie
giuridiche che avevano anche una funzione di controllo e stabilità sociale.
Oggi quelle regole sono
sbandierate all’interno della Chiesa per emarginare chi cerca una esperienza di
fede.
Ma in questo modo i
pastori mostrano davvero di non avere nulla a che fare con il patrimonio
dottrinale, sacramentale e giuridico della Chiesa rivelandosi più attenti alla
pastorizia che alla pastorale.
I principi giuridici e l’approccio
moralistico alla convivenza sono il lato oscuro di una legge antica che nulla ha
a che fare con Cristo.
Una morale sessuale che
non tiene conto del bene della coppia; una sacramentaria preoccupata più dello status
giuridico dei singoli che dell’esperienza vissuta da un’intera famiglia; una mancata
empatia verso chi tende una mano e spera di camminare insieme. Tutti limiti di una comprensione e di un modello istituzionale di Chiesa. Dov’è il
discernimento? Dove l’accompagnamento? Dove l’accoglienza e l’attenzione?
Non ho motivi per dubitare
quanto mi è stato raccontato da una fonte diretta; certo è che, se pure non tutto
dovesse corrispondere a verità e rimandando al discernimento caso per caso, l’approccio della pastorizia moralizzante e
ideologica finirà per rivelarsi per quel che è: un sopruso ecclesiale e una menzogna
evangelica.
[1] Summo Pontifice cum nuper creatis
Cardinalibus Sacroque Cardinalium Collegio Eucharistiam celebrante. Homelia,
15 februarii 2015.
piccoli e malvagi
RispondiEliminaQuesto significa vivere fuori dalla realtà e non avere ne testa ne cuore. Preti e diaconi non hanno figli, fratelli, sorelle, nipoti e amici in posizione "illegittime"? La mia meraviglia è che esiste gente che va ancora in chiesa (quella intelligente).
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