Benedizione e ministro del matrimonio. Prospettive

 

 

Matrimonio sacramento con “ministro ordinato” e matrimonio sacramento “coram laico”. Nell’impostazione della Fiducia supplicans può apparire una “piccola dimenticanza” o un’opportunità su cui riflettere tra “benedizione”, “matrimonio sacramento” e, possibile, “benedizione matrimoniale non sacramentale”.

 


(immagine dall'Ordo celebrandi matrimonium)

 

Umberto Rosario Del Giudice

 

La recente Dichiarazione “Fiducia supplicans” pone varie questioni. Qui vorrei rimandare solo alla relazione tra “matrimonio”, “sacramento” e “benedizione”. Se è vero, infatti, che vi è il “matrimoni sacramento” con benedizione, vi è anche quello senza “benedizione” del ministro ordinato (nella tradizione latina”)[1]. Ma questo non emerge dal testo (forse non si è voluta ricordare la distinzione anche perché la Dichiarazione vale tanto per il rito latino quanto per quello orientale; ma questo non è esplicitato). Anzi, i nn. 4-6 sembrano dimenticare questa possibilità quando, tout court, si afferma che

«proprio nel caso del rito del sacramento del matrimonio, non si tratta di una qualsiasi benedizione, ma del gesto riservato al ministro ordinato. In questo caso, la benedizione del ministro ordinato è direttamente connessa all’unione specifica di un uomo e di una donna che con il loro consenso stabiliscono un’alleanza esclusiva e indissolubile» (n. 6).

In questo modo quasi si offusca la differenza tra benedizione come “elemento essenziale della forma ordinaria”, e benedizione come “non elemento costitutivo del matrimonio sacramento”.

Appare dunque utile riprendere alcuni punti fondamentali e proporre una breve riflessione.


 

Il ministro del matrimonio e la benedizione

È risaputo che nella tradizione latina la benedizione non è elemento costitutivo del matrimonio sacramento. Questo vale per la soluzione giuridica del 1917. Per lungo tempo la teologia ha discusso circa il ministro del matrimonio: coniugi o prete? L’avvento del codice napoleonico e le esigenze della Curia romana di far chiarezza sulla competenza, l’onnicomprensività dell’approccio giuridico del Codice, faranno il resto. I ministri del matrimonio sono gli sposi; il presbitero assiste e accoglie il consenso (che fa il contratto-matrimonio).

In questa impostazione, esistono altre “forme” di matrimonio sacramento e tutte canoniche: oltre al matrimonio presieduto da un presbitero (o da un diacono) vi è il “matrimonio sacramento senza benedizione del chierico ma con assistente il laico” e il “matrimonio canonico senza forma rituale”, senza alcuna benedizione, senza assistente e sanato alla radice.

Senza soffermarmi sul contratto-matrimonio che richiede la sanatio in radice, riprendo la forma del “matrimonio sacramento senza benedizione del chierico”, ovvero “coram laico”; forma contemplata ma non citata dalla Dichiarazione.

È il caso di quei matrimoni celebrati davanti all’assistente laico. Tale “assistente” è previsto dall’Ordo celebrandi matrimonium, precisamente nel capitolo III intitolato Ordo celebrandi Matrimonium coram assistente laico.

Questo terzo capitolo non ha trovato spazio nella traduzione italiana per volontà della Conferenza Episcopale Italiana la quale ha ritenuto superfluo ipotizzare la possibilità che l’Ordinario del luogo dovesse ricorre a laici per assistere matrimoni (sembra ci siano sufficienti presbiteri e diaconi in Italia).

Una possibilità però che è necessità in molte altre in realtà ecclesiali. Il pensiero va ai luoghi di missione o a quei luoghi in cui le distanze non permettono a presbiteri e diaconi di essere presenti se non poche volte l’anno. Tuttavia, la possibilità della delega al laico per assistere al matrimonio si concretizza nelle decisioni di Conferenze episcopali molto più vicine a noi, come ad esempio accade da tempo in Svizzera.

L’assistente laico è delegato non solo a presiedere la celebrazione ma anche a ricevere (in nome della Chiesa) il consenso al quale segue la “benedizione degli anelli”. In quest’ultimo caso il laico, a mani giunte (manibus iunctis), recita una formula di benedizione discendente e ottativa («Benedicat Dominus hos anulos, quos alter alteri tradituri estis in signum amoris et fidelitatis»; ovvero «Il Signore benedica questi anelli, che vi scambiate reciprocamente in segno di amore e di fedeltà»).

Di seguito, il laico invoca la “benedictio nuptialis” (nn. 139-140)[2].

Dunque, c’è benedizione ma non c’è “ministro ordinato”, come invece lascia intendere la Dichiarazione (n. 6).

 
Matrimonio senza ministro e benedizioni senza matrimonio: una possibilità

 

Tuttavia si potrebbe oggi discutere sulla possibilità di ipotizzare, accanto al matrimonio sacramento (con forma o senza forma, con benedizione del ministro ordinato o senza), una benedizione che non sia sacramento.

Questo dovrebbe non solo rassicurare i “timorosi” e i “dubbiosi” ma anche allargare le maglie di quello che oggi appare un compromesso (utile, buono ma non esaustivo) rispetto alle coppie che vivono “situazioni dette irregolari” (AL, 296) o quelle composte da persone dello stesso sesso.

Ci potrebbero essere tra battezzati, matrimoni non sacramentali se si riesce a pensare la non sovrapposizione tra contratto e sacramento[3]. Tuttavia, questo significherebbe spostare l’accento dal consenso alla benedizione del ministro (in questo caso la benedizione sarebbe formale e costitutiva del sacramento). Il consenso potrebbe essere pensato come volontà dei nubendi in cui riconoscere la disponibilità al bene comune: in questo caso si avrebbe un matrimonio senza sacramento. Solo quelli con la benedizione del ministro sarebbero matrimoni sacramento (come accade nelle tradizioni cattolica di rito orientale).

Avremmo così matrimoni con la benedizione del ministro sacro (matrimonio sacramento), matrimoni senza benedizione del ministro sacro (matrimonio canonico), matrimonio senza benedizione sacramentale (matrimonio non sacramentale).

Le prospettive sarebbero interessanti. Dubito che i canonisti riusciranno ad articolare ed a reggere ma, nell’eventualità, si faranno una ragione e svilupperanno altra giurisprudenza.


Supplicare con fiducia e ragionare con speranza

La Dichiarazione non prende in esame (e non può) il “matrimonio canonico senza forma rituale” che di fatti è un matrimonio sacramento senza alcuna benedizione (perché senza forma canonica). Ma totalmente valido.

Come, dunque, è vero che dalla Dichiarazione «scaturisce la nuova possibilità, che nasce da un uso del “benedire” che non è interno alla logica formale del sacramento, ma che si muove tra il cuore e il margine più esterno della vita ecclesiale»[4], così è vero che la “benedizione” non può essere confusa con il sacramento che in sé, al momento, è sovrapposto al consenso che si concretizza attraverso le volontà dei nubendi.

Vi sono dunque, forme “diverse” di rito del matrimonio come forme diverse di benedizioni. Ma se il rito rimane legato nella sua parte costitutiva al “consenso” e non alla benedizione, da dove la preoccupazione che la benedizione possa sostituire la forma del sacramento?

D’altra parte, e in prospettive future, la benedizione potrebbe estendersi anche come rito ma non come sacramento.

Sarebbe però utile e necessario ripensare il rapporto tra “consenso”, “contratto”, “sacramento” e “benedizione”.

In ogni caso, che la benedizione come riconoscimento del bene sperimentato dal singolo o del bene della coppia si possa tradurre in “blasfemia” del matrimonio può preoccupare “solo” chi non conosce o non riconosce la possibilità di articolare il sacramento in forme non strettamente giuridiche e che vuole agitare spauracchi per fomentare paure inconsistenti.

Per usare una metafora: la teologia è più simile ad una biblioteca ricca che ad una libreria di soli manuali. Il presente e il futuro invitano a ragionare; la paura e la meschinità costringono a chiudersi in schemi.

La Chiesa ha bisogno di riconoscere il bene e compiere il bene per rimanere sé stessa, mentre, con fiducia, supplica e, con carità e speranza, ragiona.

 



[1] Cfr. Ordo celebrandi matrimonium, nn. 118-151.

[2] «139. Tune assistens prosequitur, manibus iunctis: Nunc super hos sponsos / Dei benedicti6nem supplices invocemus, / ut ipse suo foveat benignus auxilio / quos ditavit connubii sacramento. Et omnes per aliquod temporis spatium in silentio orant. 140. Deinde super sponsos genuflexos assistens dicit, manibus iunctis, orationem benedictionis nuptialis, omnibus participantibus: Benedictus Deus, Pater omnipotens, / qui hominem pietatis ture dona creatum, / ad tantam voluisti dignitatem extolli, / ut in viri mulierisque consortia /veram relinqueres tui am6ris imaginem».

[3] La tesi, già emersa dopo il Concilio di Trento, si potrebbe riprendere dalle ipotesi di Melchor Cano. Cfr Melchor Cano, De locis theologicis, 8,5, 1563.


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