Prendere la grandezza della sua e della tua storia

 


 

 

“Oggi riceverai Gesù per la prima volta nel tuo cuore”. Mese del “cuore di Gesù”, “prime comunioni” e ambiguità di un linguaggio soggettivistico. Cosa direi oggi a mia figlia.





Umberto R. Del Giudice


Nel mese tradizionalmente dedicato al “Cuore di Gesù” (devozione il cui ambito è stato in parte ricondotto su una buona comprensione teologica da Rahner che ha presentato il tentativo di riportare alla incarnazione e al “cuore” quale parola originaria e simbolo originario)[1] molte sono le “prime comunioni”.

Tra le varie frasi vi è una su cui sarebbe opportuno riflettere: “Riceverai per la prima volta Gesù nel tuo cuore”. È una frase commovente. È una frase profonda ma anche profondamente ambigua, spesso erronea, e tutto dipende da chi lo dice e da chi ascolta.

Dal punto di vista emotivo è una frase ad impatto. Fa un grande effetto.

Ma cosa imparano i “novelli comunicandi”? cosa arriva loro? E, soprattutto, cosa si può intendere con questa frase?

Non sembri una questione secondaria. Ma al netto dele buone, ottime, sante intenzioni di chi pronuncia queste frasi va chiarito che col linguaggio si costruiscono idee e si condizionano comportamenti.

 

“Gesù nel cuore”: il ritorno alla “devotio”?

La “prima comunione” non coincide né col primo “incontro con Gesù”, né con la prima volta che “Gesù viene nel cuore”. Non si tratta di individuare in questa frase alcuna forma di “errore dottrinale” ma di cogliere quanto essa sia il proseguimento di una mentalità che avremmo voluto e dovuto superare da almeno settant’anni. Una mentalità debitrice della devotio moderna. La tendenza di tale “devotio” sorta a partire dal XIV sec., va ricordato, fu quella di una religiosità fondata su aspetti materiali e concreti per veicolare la meditazione propria, soggettiva, personale, per scongiurare una pietà collettiva e popolare, poco evangelica, del medioevo. Quella “devotio” avrebbe voluto superare una religiosità popolare a favore di una più soggettiva e a partire dai “sentimenti di Gesù” che precedentemente i movimenti pauperistici avevano riproposto oltre ogni eccessivo allegorismo. In altre parole, dai “sentimenti di Gesù” si passo ai “sentimenti del soggetto” attraverso una “concretezza personale”. Il “cuore” sembrò il luogo più opportuno per “afferrare” i sentimenti di Gesù. Una bella operazione che in parte riuscì: solo che a partire dalla fine del XIX secolo i limiti (e soggettivistici e intellettualistici) dei “pii esercizi”, che pure accomunavano “dotti” e “semplici” erano sempre più evidenti. Il primo movimento liturgico volle rimediare a queste approssimazioni. Da qui tutto quell’impianto dottrinale che poi ha prodotto nuova sensibilità sacramentaria ma anche e soprattutto liturgica che si è riversata nel Concilio Vaticano II.

 

Oltre la devotio: i gesti e le azioni di Gesù

A questo punto, se dovessimo riprendere la Sacrosanctum concilium ci accorgeremmo che poche idee ma chiare rimandano ad una celebrazione eucaristica come apice della stessa liturgia che è «culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono a Cristo e per lui al Padre nello Spirito Santo». Dalla liturgia e particolarmente dall'eucaristia, poi, «deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio». Infine, l’eucaristia è, insieme a tutti gli altri atti liturgici l’azione di Cristo stesso che continua ad esercitare la «funzione sacerdotale per mezzo della sua Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo non solo con la celebrazione dell’eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente recitando l’ufficio divino».

Qualche anno dopo l’allora Congregazione per i riti scriveva che «la comunione della vita divina e l’unità del popolo di Dio, su cui si fonda la Chiesa, sono adeguatamente espresse e mirabilmente prodotte dall’Eucaristia. In essa abbiamo il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono a Cristo e per lui al Padre nello Spirito Santo».

E se dovessimo continuare ci accorgeremmo che il magistero ordinario della Chiesa ha abbandonato decisamente frasi come “Gesù nel cuore”. L’impostazione, dunque, non è quella della soggettivizzazione sentimentalistica del sacramento ma quella della partecipazione all’opera di Cristo, che “santifica” e che “si offre con per e in noi” come sommo ed eterno sacerdote.

 

Oltre il sentimento soggettivistico

L’emozioni sono importantissime: con esse possiamo immergerci nella pienezza di Gesù. Purché non si riduca solo e tutto a “sentimentalismo”.

Dunque, il “Gesù viene nel tuo cuore” è ancora un evidente quanto inconsapevole rimando alla sensibilità devota e individualistica di qualche secolo fa ed è solo una parte molto piccola di ciò che la Chiesa oggi ricorda con l’eucaristia. Il sentimentalismo rimanda ad una narrazione che non ci appartiene come Chiesa e lo fa con un linguaggio poco comprensibile, o almeno ambiguo: se non si ricompongono dimensione affettiva (cuore) con quella intellettuale, volitiva e simbolica (tutto il cuore) il pericolo sarà quello di neutralizzare l’eucaristia in un astratto soggettivistico facendo poi ritornare quello che si voleva evitare…

L’“oggi Gesù entra per la prima volta nel tuo cuore” è dunque grossolano se si pensa ad almeno due fattori: da una parte tutti i primi comunicandi sono già inseriti nella Chiesa e nell’azione dello Spirito; dall’altra il “cuore” rimanda ad un “interiore” che denota forte soggettivismo.

Al contrario, i brevi passi sopra citati dell’epoca conciliare ci rimandano a poche realtà: il comunicando partecipa totalmente e responsabilmente alla lode del Padre e alla santificazione degli uomini. Si loda se si riconoscono azioni belle, grandi, importanti: anzi, nell’eucaristia si diventa grandi riconoscendo le azioni grandi di Gesù.

E nella prima eucaristia vanno evidenziate quel “totalmente” e “pienamente” poiché il comunicando già da tempo partecipa alla liturgia, alla celebrazione eucaristica e alla preghiera della Chiesa, pur non mangiando del pane e bevendo del vino. Che le nostre liturgie siano capaci poi di mediare le “grandi azioni, parole e storie di Gesù” questo è un’altra questione che però non rimane lontana da quella qui presentata.

Se non si fa il passaggio dal sentimentalismo devozionale alla lode ecclesiale, si rischia di fare il gioco di una mentalità che si va diffondendo per la quale il giorno della “prima comunione” è un rito di passaggio tra la fanciullezza e la pubertà; passaggio iniziatico individualistico che rimanda alla crescita personale della bambina o del bambino e non alla capacità che questi hanno di riconoscere all’interno della comunità la grandezza della storia di Gesù. Quella del “Gesù nel cuore” è una dinamica che rischia dunque di soggettivizzare ancora di più l’evento e di allontanare dalla preghiera della Chiesa i ragazzi appena comunicati (sebbene anche questa espressione sia limitata).

 

Cosa direi oggi a mia figlia

Allora cosa dire ai bimbi? Cosa ridire ai giovani che si accostano alla celebrazione eucaristica o al sacramento della confermazione. Ricordare loro che entrano a far parte di una lode attraverso una semplice ma importante azione che però rimanda a nuovi gesti, a nuove emozioni a nuove responsabilità all’interno della comunità: essi “prendono”, “mangiano”, “bevono” (a volte)… questi pochi gesti dicono partecipazione ad un banchetto, ovvero immersione condivisa di energie, ricevute e donate, per una speranza che è quella della Chiesa che prega, che loda, che si lascia amare dal suo Signore e, nel suo Signore, si dona.

Cosa direi a mia figlia?

«Oggi per la prima volta prenderai e mangerai quel pane che ti porta pienamente nella vita di Gesù e nei suoi gesti: gioisci con lui di quello che sei e che hai; gioisci con noi e con la Chiesa della sua pienezza. Lasciati andare alla grandezza di Gesù e alla sua fedeltà. Ora puoi finalmente partecipare ai suoi gesti e rendere grande la tua storia come è la sua storia grande, che non finisce e non finirà. Lasciati prendere dalla grandezza di Gesù; donagli quel che puoi e non ti scoraggiare: il resto lo fa il Padre suo».



[1] K. Rahner, La devozione al Sacro Cuore, Paoline, 1977.

Commenti

Post popolari in questo blog

Due pesi e due misure? Sul “caso Lintner”

Megafoni e scribi del Magistero ecclesiastico?

Se “theologia gaudia beatorum amplificat”