Il Secondo giorno del triduo pasquale: silenzio e parola
Nel secondo giorno del triduo pasquale i cristiani ricordano che tutto ha inizio dal profondo silenzio; dalla parola-non-parola
Umberto Rosario Del Giudice
In principio è la parola…
In molte
cosmogonie, la parola è “origine”; la parola è “all’origine”.
Nela
narrazione del Vangelo secondo Giovanni, il Cristo è pre-esistente; anzi è “logos”
attraverso il quale e nel quale tutto è stato fatto (“πάντα δι’ αὐτοῦ ἐγένετο,
καὶ χωρὶς αὐτοῦ ἐγένετο οὐδὲ ἕν”; Gv 1, 3).
Così nella Tanakh:
con la “parola” Elohim fa esistere tutto (“εἶπεν ὁ θεός γενηθήτω φῶς
καὶ ἐγένετο φῶς”; Gn 1,3).
Secondo i Veda
e le Upanishad, il suono Ohm è all’origine di tutto: in esso
tutto esiste, tutto ha origine e tutto si comprende (cfr. Māṇḍūkya Upaniṣad).
Nel Libro
per uscire al giorno (pi correttamente “Inizio delle formule per uscire
di giorno”, poi conosciuto come “Libro dei morti”), la tradizione
egiziana assegna a Rê (conosciuto
anche come Ra) la creazione di se stesso poiché si è dato da sé i nomi che
specificano la sua essenza e potenza (Ra è Creatore di se stesso, è Domani, è
Anima…).
Nella antropologia religiosa emerge
chiaramente che c’è un rapporto stretto tra parola e divinità. Così, se l’uomo
conosce il nome del suo Dio, lo possiede, e possedendo lui, possiede se stesso
e tutte le cose.
…il principio è nel silenzio
Il linguaggio, la parola, il racconto, è strettamente legato alla capacità simbolico-religiosa dell’uomo come anche alla civiltà. Racconto, parola, culto e religiosità si confondono.
Ma nell’evento pasquale, la parola
detta rimane quasi incomprensibile (la sera della cena cosa mai poteva
significare “fate questo in memoria di me”?); la parola del risorto
sorprende e quasi lascia perplessi (“pace a voi”). La parola non detta
del secondo giorno (l’ora della morte e della sepoltura) illumina ciò che è
stato detto prima e ciò che si dirà. L’evento senza parola, il radicale
silenzio, la fonte del “nulla” (poiché il Cristo riduce a nulla tutte le cose;
cfr 1Cor 1, 28; 2, 6; 15, 24) inizia a “dire in sé tutte le cose”, anzi a
“ricapitolarle” (cfr Ef 1,10).
Nel secondo giorno del triduo pasquale
i cristiani ricordano che tutto ha inizio dal profondo silenzio; dalla parola-non-parola.
Il silenzio è ciò che precede la parola, è ciò che permette al suono, alla
parola, di essere tale. Il silenzio non è assenza di parola; è ciò che
non può essere detto ma senza il quale nulla si può dire. L’iniziale “stare” di
Dio (prima del suo “ex-istere”), come anche il suo dolore, la sua
sofferenza, la sua radicalità, non possono essere descritti (e in questo senso è
pre-esistente): i silenzi rimangono prima di ogni parola.
L’indicibile rimane tale: non chiuso,
ma silente.
Eppure, pieno di tensione, di forza,
di energia, di ansia generativa.
Da questo silenzio, ogni parola può
essere detta; può avere un senso.
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