Il drago di Georg: dalla bocca più fumo che fuoco
Le “verità” di mons. Georg Gänswein rischiano di essere un grande doppio boomerang: da una parte rivela chiaramente il pensiero di papa Benedetto XVI, la sua mansuetudine e la sua bontà caratteriale forse ingenua; dall’altra, rivela se stesso, le sue paure, le sue nostalgie: limiti personali che raccontano di un uomo disposto a tutto per “fare verità” dal sapore però del fare vendetta. Il suo racconto rimane fumo: niente che non fosse già trapelato. Apprezzabili rimangono solo alcune ricostruzioni che gettano luce sulle chiare preoccupazioni di papa Francesco e su alcune ingenuità di Benedetto XVI, sant'uomo nell'attenzione e nella devozione.
Umberto Rosario Del Giudice
È appena uscito il libro di mons. Gänswein, Nient’altro
che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI (edizioni Piemme). Ad
una veloce lettura (circa 320 pagine più una postfazione di Saverio Gaeta che
non si risparmia in “profezie” sui papi santi…) le reazioni sono varie. La
prima è quella di trovarsi davanti ad una serie di “confessioni” di stati
d’animo che risultano più una “autobiografia” assolutoria che un lineare
ricordo di papa Benedetto. Queste pagine provocano anche una certa comprensione
per un uomo che si è trovato senza punti di riferimento (che nel suo sistema
sarà apparso come vero e proprio incubo –basta leggere la risposta che dà a
papa Benedetto quando gli comunica la volontà di rinunciare: “questo è
impossibile”…–). Le sue parole non possono non suscitare anche sorpresa, non
per quello che rivela (scagiona papa Benedetto e assolvere sempre se stesso) ma
per quello che fa trasparire: papa Francesco appare duro e il suo operato
incomprensibile almeno in alcuni passaggi (e almeno dal punto di vista di
Benedetto e dal punto di vista di chi lo racconta, ovvero il suo…). Tuttavia,
dai suoi racconti appaiono ancora più chiare e giuste le preoccupazioni di papa
Francesco che vedeva crescere intorno a sé una schiera di schierati.
Accanto a questi passaggi, mons. Gänswein non mette mai in
dubbio la sua fedeltà a Benedetto e a Francesco: e nessuno lo aveva fatto. Sta
però che ora il tono inizia a sostanziare dubbi circa la sua piena e vera fedeltà prudente.
Rivelazioni? No: ricordi chiari
Forse chi si aspettava rivelazioni choc rimarrà un po’
deluso dal testo di mons. Georg Gänswein.
Il testo appena uscito è una lunga semi-biografia che
racconta gli intensi anni che mons. Gänswein ha trascorso a diverso titolo
prima con il Card. Ratzinger e poi con Papa Benedetto. Un lungo “ritiro
spirituale”.
Ma è soprattutto del periodo a seguito del pontefice che
mons. Gänswein scrive e lo fa, senza ombra di dubbi, per mettere fine ad un
periodo in cui il suo stare a fianco di papa Benedetto coincideva per molti col
suo “confino” e soprattutto col suo essere portavoce di papa Benedetto e trait
d’union tra lui e la frangia reazionaria contro Bergoglio. Nel libro mons. Gänswein
ribadisce che non ha mai voluto rivestire nell’uno né l’altro ruolo pur
sentendosi in qualche modo confinato, ovvero “dimezzato” dalla sua funzione,
potestà e dignità di Prefetto della Casa Pontificia.
Il testo rivela alcune “frecciatine” a papa Francesco; ma, a
mio avviso, il vero problema era il modo in cui lui ha vissuto il suo
“riposizionamento” all’interno della schiera di papa Francesco senza accorgersi
che era un mezzo per la tutela di tutti (anche il suo, visto che veniva usato da
varie frange –com’è accaduto–). Il Sommo pontefice, infatti, ritenne opportuno
riservare il ministero di mons. Gänswein alla persona di Benedetto XVI per due
motivi: assicurare una certa rete di protezione a papa Benedetto (poiché molti
hanno voluto e avrebbero voluto usarlo allo scopo di intessere una ragnatela
contro papa Francesco) e per non chiederne le dimissioni da Prefetto, ovvero
per non allontanarlo da Benedetto, onde evitare che anche lui cadesse vittima
di chi, in un modo o nell’altro, avrebbe potuto usarlo (ed è successo).
Certo è che da alcuni toni del libro emergono chiaramente
che mons. Gänswein, pur nella filiale e devota obbedienza a papa Francesco, non
legasse molto con lui, con i suoi modi e con il suo pensiero: e ora ha l’occasione
di “togliersi qualche sassolino dalla scarpa”. E poiché papa Francesco ha più
volte dato testimonianza che preferisce governare speditamente che cercare di
far ragionare i suoi collaboratori, per la qual cosa ha bisogno di sicuro sostegno
da chi gli sta vicino, ha preferito sollevare da alcuni incarichi il Prefetto
per evitare di dover stare attento a lui e a se stesso.
In fondo, la “redistribuzione degli incarichi” del Prefetto
ha salvato lo stesso mons. Georg Gänswein perché lo ha preservato da altri
pericoli o incongruenze. E se fossi in lui direi solo “grazie, papa Francesco”.
Detto questo non si possono tacere le “frecciatine”: a mons.
Gänswein papa Francesco appare come un uomo che non dà spiegazioni. In realtà,
appare un uomo deciso che deve confrontarsi con una realtà inedita: avere a che
fare con un papa rinunciatario che molti vorrebbero usare contro di lui.
Brutte anche le frecciatine a proposito di Evangelii gaudium e Amoris lætitia: parlandone mons. Gänswein
dichiara che alcune affermazioni non sarebbero in linea con il sistema
teologico di papa Benedetto diventando testimone del “pensiero ratzingeriano”.
Affermazioni molto pericolose le sue: eppure hanno il sapore di molto fumo e
poco arrosto poiché sarà facile ripercorrere i limiti di alcune posizioni
teologiche pur salvaguardando sempre la persona di Benedetto XVI (come nel caso
del sistema del rito extraordinario che nel libro stesso viene evidenziato solo come
opportunità pastorale…).
Rimane il fatto che sembra si sia scaricato da dosso un peso
e abbia detto la sua “verità, nient’altro che la verità”. Ciò che pesa non è il
suo racconto, quasi una chiarificazione che, a tratti, serve (vedi il caso
dello scritto del Card. Sarah…): anzi, illumina ingenuità non da poco a carico
suo e della persona di Benedetto. Saranno tanto fumo però le allusioni al
pensiero di Benedetto che non avrebbe apprezzato alcune “uscite” del Pontefice.
Questo aggiungerà benzina al fuoco che continuerà però a produrre solo fumo: un
fumo che certamente non servirà per sporcare né la talare bianca di Benedetto
XVI né quella di Papa Francesco. Il fumo di queste pagine potrebbe sporcare
solo talari nere, con fasce cremisi e fasce rosso cardinalizio e potrebbe solo
evidenziare l’ingenuità di qualcuno, pur posto a grandi responsabilità
ecclesiali…
Perché alcuni particolari?
Non si possono tacere alcuni particolari come il riferimento
alle reazioni di Benedetto XVI nel leggere alcuni passaggi di Amoris lætitia e
di Evangelii gaudium (nn. 27; 40; 41).
Non si comprende bene neanche lo scopo di citare il nome, e
quindi il pensiero, di Peter Hünermann, noto per aver impostato alcune
riflessioni ben viste (e utilizzate) da Papa Francesco ma mal viste da Benedetto XVI. Si
tratta solo di “sistemi teologici” e il pluralismo è lecito; ma il racconto di
mons. Prefetto è ambiguo: getta chiaramente ombre sul magistero del Pontefice e
lo fa senza comprenderne il pensiero. Le sue affermazioni sono solo di “autorità”;
il testo è un racconto: non vuole entrare in questioni teologiche. Eppure, lo
fa con rimandi alle sensazioni (sue e di Benedetto), senza articolare pensieri.
E questo è ingenuo, pericoloso e dannoso.
Quando poi cita il motu proprio di Francesco sull’Ordo
vetus, non tarda a ribadire con le parole di Benedetto, che, se da una
parte «il Pontefice regnante ha la responsabilità di decisioni come questa e
deve agire secondo ciò che ritiene come il bene della Chiesa», dall’altra «a livello
personale, riscontrò un deciso cambio di rotta e lo ritenne un errore, poiché
metteva a rischio il tentativo di pacificazione che era stato compiuto
quattordici anni prima». Evidenziare che per Benedetto si trattò di un “errore”
è un “fumo” gettato negli occhi di molti, che continueranno a barcollare nelle
nostalgie senza comprendere le ragioni di papa Bergoglio: è lecito pensare in
modo diverso; non è lecito porre affermazioni che ricordano più disposizioni
autorevoli che ragionate. Insomma, si cita la reazione di Benedetto come unica
fonte ex auctoritate,
ed è questo che è insopportabile, per la fede e per la ragione. Anzi, a veder
bene, l’unica motivazione di papa Benedetto per la celebrazione della messa
secondo il messale di Pio V è la preoccupazione pastorale, non teologica, di
non mettere un gruppo di fedeli nell’angolo e farlo “sentire isolato”… Ma se
questo è vero (e non ci sono motivi per dubitare), perché proporre una lettura
“teologica” delle “due tradizioni” e una giustificazione canonica
(extra-ordinario…)?
Alla luce di questa affermazione è chiaro che papa Benedetto
avesse motivazioni pastorali mentre papa Francesco ha motivazioni teologiche
(relazione tra rito e tradizione). Sulla liturgia gli aneddoti di mons.
Gänswein cadono in alcuni pressapochismi che qui sarebbe lungo riprendere
(l’uso della lingua latina associato alla celebrazione con rito di Pio V…), e
lascia il fianco scoperto a chi nulla comprende della riforma e tutto vuole
dire delle nostalgie. Circa poi le “vere intenzioni” di Benedetto, il
riferimento non è falsificatorio ma utile alla memoria stessa dell’operato di
Benedetto: insomma, meglio dire “vere intenzioni” che “intenzioni erronee”.
Le “verità” di mons. Gänswein rischiano di essere
(e di fatto sono) un grande boomerang non sulla persona ma su pensiero di
Benedetto XVI. E chiaramente la persona di papa Benedetto XVI emerge in tutta
la sua caratura quando sono riportate i fatti che raccontano del suo operato
circa gli abusi su minori: la linearità con cui si è mosso, per tempi e
circostanze, non è seconda a nessuno. È chiaro però che l’utile difesa rispetto
a queste circostanze non può illuminare di autorità anche tutto il pensiero
circa le riflessioni (personali) sulla tradizione e sul rito.
Tuttavia, la lettura quasi “profetica” sul futuro della
Chiesa e del mondo lo riporta ad essere un romanziere nostalgico che non
comprende le sfide della religiosità contemporanea.
Sicuramente, la vita e la tensione di Benedetto XVI sono
quelle di un uomo “buono e giusto”. E su questo si può concordare con il
racconto e il pensiero di mons. Gänswein. Ma le virtù non vanno confuse con la
dottrina (né con l’autorità su essa e al posto di essa), e la valutazione positiva delle prime non dice la canonizzazione
assoluta della seconda: come invece lui lascia intendere.
Attenzione al fumo
Ringrazierei mons. Gänswein per molti passaggi del suo libro
chiarificatori; lo ringrazierei anche per la parresia, che va riconosciuta; lo
ringrazierei per aver condiviso sentimenti di un uomo fedele: ma gli ricorderei
che molte affermazioni (e toni) rischiano ancora di essere usate per gettare
altro fumo e per non chiarire in termini teologici le scelte del Pontefice.
Ora due sono le possibilità: o non ha messo in conto la
probabilità che tutto possa provocare ancor di più i nemici di Francesco contro
Francesco, o ha usato il suo racconto proprio come arma.
Entrambe le cose, però, non sono consoni alla prudenza di un
arcivescovo che, come lui, è navigato tra le stanze vaticane, e soprattutto in
questi anni inediti (a meno che non voglia buttare benzina sul fuoco). Forse mons.
Gänswein sa già di essere destinato ad altri servizi pastorali? Ma anche in
questo caso, mons. Gänswein non dovrebbe soffiare sul fuoco perché l’unico
risultato che avrà sarà più fumo negli occhi di chi lo leggerà con sospetto verso
papa Francesco e contro la prassi pastorali e la dottrina che si vanno
affermando grazie all’apostolato instancabile e fecondo del Pontefice e dei
suoi più stretti collaboratori.
Con questo libro mons. Gänswein ha perso l’occasione di
“fare la verità” su sé stesso e su chi ha remato contro l’attuale Pontificato. Cosa rimarrà del libro? Una grande operazione editoriale!
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