Una consueta e inconsueta settimana dell’APL: tra ciò che è stato fatto e ciò che va fatto

 

 



"Brevi" in occasione della settimana di studio dell’APL tra cammino fatto e da fare

 




Umberto Rosario Del Giudice

 

La consueta settimana di studio dell’APL (Associazione Professori e cultori di Liturgia), quest’anno tenutasi a Roma tra il 29 agosto e il primo settembre nella significativa cornice dell’Ateneo di Sant’Anselmo, è stata dedicata al cinquantesimo anniversario dalla sua fondazione. L’APL, infatti, dal settembre 1972 è presente nel panorama teologico e pastorale italiano con una significatività decisiva e peculiare.

I membri che definirei della prima e seconda generazione (1972-1984 e 1985-2000), alcuni dei quali hanno lavorato alacremente alla riforma e alla formazione liturgica non solo in Italia, hanno segnato e tramandato un cammino fatto di amicizia, di accoglienza ma anche di dialogo deciso (a tratti feroce). Ma questa settimana ha consegnato due novità: un Consiglio di Presidenza nuovo anche nella forma e l'incontro col Pontefice.

Il cammino fatto sicuramente apre a orizzonti da percorrere ancora e la terza generazione (dal 2001 a oggi?...) ha un bel camino da compiere.

In ogni caso, sembra poter dire che vi è stato un primo periodo in cui si è cercato di stabilire i criteri di scientificità della disciplina liturgica, un secondo momento in cui si è approfondito l’approccio antropologico e un terzo, quello attuale, che è teso tra offerta/richiesta di sistematicità e ricerca sempre accurata e prospettica.

 

Una settimana in breve, anzi “brevior

Il tono della settimana non è stato solo e ingenuamente “commemorativo”: oltre a ricordi, testimonianze (più o meno dirette o indirette) sulla vita dell’APL, ci sono stati momenti di riflessione che segnano un ulteriore compito di studio e approfondimento.

Tra gli elementi emersi, e sollecitati dai relatori, mi sembra che siano da segnalare i seguenti temi su cui bisogna tornare:

-          quale relazione tra liturgia e teologia fondamentale, ovvero quali categorie sarebbero più consone all’approccio fondamentale alla liturgia e all’approccio liturgico della teologia. Forse quelle di “popolo”, “sacramentalità”, “cultura condivisa”, appaiono alcune tematiche da approfondire (Stella Morra);

-          la proposta su quale approccio poi sia da prediligere dal punto di vista antropologico è apparsa chiara nelle parole di Roberto Tagliaferri che vede nella metodologia dell’antropologia culturale e della sociologia fenomenologica un’epistemologia da rafforzare per il cammino della riflessione liturgica;

-          la relazione tra “storia” e “liturgia” appare delicata ma sempre presente nella riflessione dell’APL (Noberto Valli). Qui forse però ci sarebbe bisogno di un’operazione di “disambigua”: c’è un livello che vede nel rito la realizzazione dell’evento fondante (il “nunc” teologico) e un altro che ha bisogno di un approfondimento non solo delle categorie ma anche delle forme dal punto di vista di quella scienza umana che spesso chiamiamo semplicemente “storia”;

-          sulla forma poi, bisogna insistere e tornare per la riforma e la formazione (Loris Della Pietra);

-          il contributo di chi ci ha preceduto è stato non solo illuminante per gli anni in cui il di battito sulla riforma liturgica era pressante (tra anni ’60 e ’80) ma rimane e si rivela anche una vivacità e unentusiastica tensione da non dimenticare (Elena Massimi);

-          questa mole di riflessioni chiedono oggi una sistematica liturgica (Luigi Girardi) che credo sia una necessità didattica (alcuni studenti la chiedono) e una realtà da seguire con attenzione (l’Institut Supérieur de Liturgie di Parigi ha già preparato uno schema articolati in temi e moduli, così ci ha comunicato Père Gilles Drouin direttore del medesimo Istituto) che faccia da sponda, e non da sistematica fagocitante, alle riflessioni articolate che nascono proprio dalla capacità della riflessione liturgica di aprirsi ai corpi, alle emozioni, ai gesti, alle parole e alle ragioni con mille volti e mille sensibilità.

 

La prima volta di una donna Presidente

L’Associazione ha continuato il suo percorso con l’assemblea che quest’anno assumeva la forma di “elettiva” e che ha indicato il nuovo Consiglio di Presidenza che vede per la prima volta non solo la presenza di due donne ma anche la presidenza affidata a una di esse: suor Elena Massimi, già membro del Consiglio di presidenza, è stata eletta Presidente, divenendo la prima donna a rivestire questa carica. In fondo cinquant’anni, per una tale novità e in un ambiente comunque “maschile”, sono pochi: ma i tempi erano più che maturi soprattutto perché non sono le “quote rosa” a dettare le votazioni ma le aspettative. Eleggere un presidente, infatti, non richiama questioni di “par condicio generico” o di “æquitas generum”, tanto meno deve riguardare lo status canonico; la tensione è al servizio competente e pedissequo: e suor Elena è stata “incastrata” in questa incombenza che sicuramente saprà portare avanti. La certezza dell’assemblea votante, infatti, nella sua maggioranza assoluta, è che, come altri presidenti che l’hanno preceduta, anche lei saprà moderare il Consiglio di Presidenza in modo che tutto il gruppo, con competenza e accuratezza, indichi cammini decisi e articolati; non mancherà il confronto e la comunione con tutti i consiglieri: Matteo Ferrari, che è anche il Segretario, e, in ordine alfabetico, Marco Gallo, Luigi Girardi, Paolo Tomatis, Valeria Trapani, Fabio Trudu. Un gruppo che ci aiuterà a fare bene.

 

L’incontro col Papa

La settimana si è conclusa con l’Udienza che il Santo Padre ha voluto concedere a tutti i membri dell’APL: eppure l’incontro nella Sala Clementina sembra aver segnato una tensione di ripartenza.

I temi che il Papa ci ha indicato nel suo discorso appaiono molteplici e tutti decisivi. Il suo intervento, equilibrato e in piena continuità con Desiderio desideravi, è stato intervallato da scampoli di riflessione a braccio che hanno anche rivelato, credo, il profilo della sua attenzione/preoccupazione circa alcuni “errori metodologici” (soprattutto sul tradizionalismo).

Ecco alcuni punti che credo vadano rimessi al centro della riflessione liturgica con “coraggio”. Per affrontare molti temi di liturgia, infatti, oggi come allora ci vuole “coraggio”: i liturgisti oggi non possono ridursi a “megafoni” di catechesi pastorale: anche chi prosegue oggi nell’APL ha bisogno del “coraggio di prendere l’iniziativa” che fu dei fondatori dell’associazione cinquant’anni fa. E se i contesti erano diversi, l’urgenza è la medesima.

Vanno riprese le seguenti piste riflessive:

-          Attenzione al Concilio: il cammino è certamente quello ispirato dal Concilio Vaticano II, ma va ricordato che la sua “recezione” è ancora in atto e che «ci vede tutti impegnati nell’approfondimento che richiede tempo e cura, una cura appassionata e paziente; richiede intelligenza spirituale e intelligenza pastorale; richiede formazione, per una sapienza celebrativa che non si improvvisa e va continuamente affinata». D’altra parte, non in tutte le regioni, non in tutti i luoghi la recezione del Concilio è stata uguale. Pertanto, la riflessione nella Chiesa oggi chiede attenzione alle indicazioni “costituzionali” di quell’assise ma anche attenzione ai contesti sociali che possono essere molto diversi anche nella stessa regione, e non solo in Italia. D’altra parte, perché parlare di inculturazione solo per altri continenti quando c’è il rischio di non accorgersi che bisogna fare un’opera di “inculturazione” anche nei vari contesti italiani ed europei? Oggi più di prima…

-          Cultura “scientifica” della liturgia: sembra evidente che, dalla seconda svolta antropologica, la caratteristica di scientificità della liturgia non è più relegata all’oggetto e al metodo intrinseco di tutte le discipline teologiche; l’approfondimento e la riflessione sull’azione rituale richiedono quell’attenzione indicata da altri approcci e altre scienze umane; per questo il Papa ricorda che discipline teologiche e scienze umane vanno tenute insieme (devono “fare rete”): una ripresa che va evidenziata decisamente e non solo per la liturgia;

-          “Pastorale” come metodo fondato sull’ascolto: per il profilo “pastorale” è decisivo “l’ascolto delle comunità cristiane”, aggiunge il Papa: un elemento che appare come indispensabile per la metodologia di ogni approccio che si voglia dire “pastorale”. “Ascolto” come “analisi” strutturale e fenomenologica delle realtà in cui vive e si snoda la celebrazione. Mi sembra che, dal punto di vista metodologico, “pastorale” non debba apparire come un’offerta di contenuti, quasi a mo di azione didattica, ma come attento accompagnamento di esperienze già in atto (e che noi chiamiamo “sensus fidei”) e che il Papa ha richiamato;

-          Storia tra tradizione e tradizionalismo: che la “liturgia sia viva come una pianta” è un concetto ormai caro al Papa il quale ha ricordato ancora che, se si tagliano le radici, la pianta non ha più futuro e come, al tempo stesso, l’albero non è tale se costituito da “sole radici”… tanto che può accadere che «la tradizione è la fede viva dei morti, e il tradizionalismo è la fede morta di alcuni vivi…»; la tensione e la distinzione tra storia e tradizione, la prima una scienza umana e la seconda una categoria teologica, va tenuta in conto e riaffermata;

-          Oltre il rubricismo ma non senza le rubriche: bisogna continuare una riflessione e una proposta equilibrata per evitare ogni forma di rubricismo ma anche di mondanità: la liturgia necessita di una “una visione alta” che metta insieme attenzione al mistero in atto e alle persone coinvolte nell’azione rituale con tutto ciò che si portano dentro: «rivolgere lo sguardo al Signore senza girare le spalle al mondo». Sulle rubriche mi sento di dire che il sistema della dimensione giuridica pur esistente nel rito, nella Chiesa, non può essere delegato ai canonisti: il ritorno alle rubriche (e al sistema normativo del rito) non deve richiamare un formalismo che si oppone per sua natura ad ogni esperienza originale e vitale per la comunità cristiana; esso deve conservare la possibilità dell’esperienza non ambigua e non “indifferente”. E per fare questo c’è bisogno di un approccio alla dimensione giuridica della Chiesa che tenga conto anche dei dati dell’antropologia culturale e della sociologia fenomenologica;

-          L’esempio: il Papa presentato Romano Guardini come modello a cui rivolgersi; un maestro capace di «intelligenza critica e sapienza spirituale, fondamento biblico e radicamento ecclesiale, apertura all’interdisciplinarietà e attitudine pedagogica»; questa diretta citazione, però, non appare come un invito all’imitazione dottrinale ma al recupero di una metodologia molto proficua per lo studio della liturgia.

 

Queste indicazioni non sono solo il risultato di cinquant’anni di storia associativa ma anche un cammino che, nel coraggio e nelle competenze di ciascuno, è ancora tutto da percorrere, nelle comunità ecclesiali e a servizio della Chiesa.

Un cammino che appare non scontato.

 

 

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