Un articolo di Bugnini su decoro e inculturazione
Non c’è decoro senza attenzione all’attualità e rispetto per la memoria.
Un breve rimando oltre gli insulti ingiustificati.
Umberto Rosario Del Giudice
Un articolo senza argomenti
Su di un sito statunitense che si occupa di liturgia, sebbene
con accenti nettamente reazionari, è apparso un articolo,
a firma di Peter Kwasniewski, contro il concetto di “inculturazione” facendo
nome e cognomi. Gli “accusati” sono Bugnini, Roche e Grillo.
Lasciando che questi ultimi ribattano alla provocazione,
anche se l’articolo di Kwasniewski denuncia tutta l’irresistibile ignoranza della
storia del cristianesimo e non solo, vorrei semplicemente richiamare alla memoria un breve appunto
di Bugnini quando era Segretario della Congregazione per il Culto Divino.
È una semplice “nota” che però fa ben comprendere quanto il
discreditato Bugnini fosse attento alla realtà onorando sempre la celebrazione.
Il decoro: una questione su cui intervenne Bugnini
Mons. Bugnini, chiamato a rispondere sulla possibilità di
usare la “stola” senza altri “paramenti”, scrisse un articoletto apparso su L’Osservatore
Romano del 28 luglio 1974 (che conservo da tempo), sul “Decoro della
celebrazione”.
Ecco la parte del testo che motiva l’intervento:
«Da più parti giungono domande se sia lecito celebrare la messa senza i paramenti sacri o con la sola stola indossata sopra la veste talare o l'abito civile.
Le motivazioni di queste richieste sono perlopiù di ordine pratico specialmente in occasione di spostamenti, di pellegrinaggi, di gite, di campeggi; ma non mancano motivi di altro genere, come quello di un maggiore adeguamento all’ambiente, quando i cappellani di fabbrica celebrano in tuta nello stesso stabilimento o quando si celebra tra i giovani alpinisti in tenuta da guida.
E si chiede quale sia la mente della Congregazione su questo punto».
In poche righe mons. Bugnini richiama il Diritto liturgico
ricordando che non è possibile presiedere senza i paramenti e poi annota:
«Una sola attenuante è stata introdotta per agevolare l’uso dei paramenti sacri anche negli spostamenti e nei viaggi: la “casula sine alba”. Si tratta di una perfetta casula, chiusa tutto intorno fino ai talloni con la stola posta all’esterno. In questo caso è possibile fare a meno del camice. La casula può essere sempre dello stesso colore, mentre la stola mutevole può indicare il colore del giorno. Questo indumento sacro, piegato, può stare comodamente in una valigetta. Ma il suo uso è limitato ai casi di necessità, e deve essere autorizzato su richiesta della Conferenza Episcopale di ciascun Paese».
La precisazione dell’allora Segretario della Congregazione
per il Culto Divino richiama tutela del decoro dell’azione sacra unitamente
alla capacità di valutare le situazioni concrete.
Conclude Bugnini:
«S. Pio X ha scritto: pregare in bellezza!
Si riferiva, allora, più che altro al canto; ma ciò vale per tutta la cornice della celebrazione. La veste sacra è uno degli elementi più importanti e insieme sacralizzanti.
Tutti gli elementi rituali stabiliti dall’autorità competente devono essere conservati e rispettati perché ogni colloquio della comunità con Dio si svolga, attraverso i suoi ministri qualificati, in un alone di dignità e di solennità, che trascenda le troppo terrene abitudini della vita ordinaria».
Sono queste parole di un liturgista “incompetente”, poco attento...? Non è che le storiche accuse infondate su Bugnini continuano a raccogliere consensi dietro la rigida ideologia delle teorie del complotto?...
Poche battute che dovrebbero almeno far rivedere il giudizio
su Bugnini la visione del quale l’autore statunitense definisce “futuristic
indigenous/cosmopolitan self-inculturated”.
Argomenti o insulti alla memoria?
Il giudizio di Kwasniewski su Bugnini sembra quanto meno
indecoroso e approssimativo, come appare del tutto fuori luogo il mettere sullo
stesso piano la tutela dell’azione rituale di Roche e l’attenzione alla performance
liturgica non nostalgica di Grillo.
Un articolo, dunque, che fa degli insulti le uniche argomentazioni.
Si può discutere di tutto: ma salviamo la memoria per quel che è e che deve essere, nel rispetto della realtà delle persone.
Discreditare rimane, per qualcuno, l’unica argomentazione.
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