Benedetto da Norcia: una “regula” che parla ancora?

 



11 luglio, si ricorda San Benedetto, fondatore dell’Ordine benedettino, patrono d’Europa. In contesti sociali completamente diversi, la sua “Regula” va riattualizzata non solo rivissuta. Così la saggezza di Benedetto può essere ancora un percorso utile, per chi vuole imparare e migliorare. Allora, si spalanchino porte e finestre.






(Interno della Chiesa di Viboldone, Milano)



Umberto Rosario Del Giudice

 

 

Una ricorrenza da non dimenticare

Oggi festa (ovvero solennità, per i benedettini) di San Benedetto da Norcia che all’età di circa 54 anni dettò la sua poderosa Regola.

 

Quella Regula armonizza varie realtà: poggia essenzialmente sulla capacità d’impegno per il bene comune e civile, sintetizzata nell’imperativo “labora”, e non dimentica la necessità di guardarsi dentro e di guardare oltre (“ora”). Così il motto benedettino (ora et labora, appunto) diventa, per alcuni, il centro dell’identità europea, ovvero, di quella che oggi qualcuno chiama “cultura occidentale”.

 

 

Un ritorno alle indicazioni di Benedetto?

Da più parti si evoca troppo ingenuamente il ritorno a quella “disciplina” per assicurare un presente ed un futuro virtuoso di “splendore” sociale. Conservare quella “eredità in modo forte e puro” per riaffermare la “vera identità” europea.

 

Ma il rimando alla Regula non può rimanere anacronistico: lo sanno bene alcune comunità monastiche femminili e maschili che oggi, nonostante mille difficoltà di ogni genere, propongono con stili diversi percorsi di autoeducazione fondati sulla capacità di vivere in comunità per il bene comune, costruendo un’identità umana equilibrata, attraverso un lavoro attento, non dimenticando la dimensione contemplativa.

 

 

Percorsi da costruire

Ma i cambiamenti sociali e culturali mettono duramente alla prova la tradizione benedettina poiché i capi saldi di quella regola presupponevano alcuni elementi essenziali: stabilità sociale, passaggio netto da un mondo adolescenziale a quello degli adulti, modelli educativi magistrocentrici, società cristiana monolitica…

 

Ma una lettura anacronistica oggi non riguarderebbe solo le mutate forme sociali. Non solo la cristianità ha lasciato spazio alla democrazia dei diritti e degli stati sociali, ma vive in una minorità in cui anche la stabilità emotiva e economica è messa a dura prova.

Sembra che le tendenze siano quelle dello scarso interesse del “bene comune” e della volontà di “educarsi imparando”.

Questi stili, infatti, non assicurerebbero alcun riconoscimento sociale.

Secondo molti sociologi, il riconoscimento sociale è oramai passato dalla validazione sociale di condotte di vita virtuose inserite in una stabilità e in una certezza sociale comune, alla valorizzazione di quelle identità personali capaci di affrontare l’imprevedibilità assumendo i rischi delle esperienze e dei progetti a breve termine.

Suppongo che il diverso approccio alla vita (anche dal punto di vista economico e finanziario) sia il motivo che sta alla base di alcune convinzioni per le quali la Regula di Benedetto così com’è scritta può ridare una nuova linfa alla cultura europea. Alcuni ambienti con una certa stabilità economica in cui una condotta e un’educazione virtuosa sono ancora un mezzo vivo di “riconoscimento sociale”, sono facili a supportare un ritorno acritico alla Regula o alla sapienza di Benedetto.

Niente di più falso; e bisogna dirselo.

 

 

Un nuovo impulso?

La Regula ha bisogno non solo di riletture ma anche di riattualizzazioni. In questo senso la preziosa opera di approfondimento già operata da molte comunità monastiche diventa utile anche al vivere comune purché quelle comunità non vengano lasciate da sole limitando le belle ispirazioni alla sola vita consacrata e contemplativa.

 

Quello della rilettura della Regula non è una questione confinata tra le mura dei chiostri: una “regola” comune è necessaria poiché oggi, contravvenendo ad ogni buon senso, si lascia all’esperienza umana di vivere e di autodeterminarsi come se tutto dovesse iniziare da zero. Al contrario, su questo punto la tradizione benedettina è limpida: bisogna avere la capacità e la furbizia di “volere imparare” da chi ci ha preceduto.

Purtroppo, tutti sembrano reclamare la propria autonomia come fonte di ogni norma. Questa è un’impressione che appare sempre più chiara: gli “adolescenti” chiedono di essere lasciati alla loro autonomia, mentre gli “adulti” imparano volentieri dai giovani (entusiasmo, competenze tecnologiche, uso social…) ma dimenticano di indicare vie, mostrare esempi, farsi prossimi con autorevolezza.

Accade anche che molti “adulti”, a causa del lavoro precario, delle esperienze affettive “liquide”, si trovano a vivere da “adolescenti” mentre a molti “adolescenti” è chiesto di vivere da “adulti” nella piena autodeterminazione.

Il corto circuito sociale è sotto gli occhi di tutti.

Chi impara da chi?...

 

Questi due poli, autodeterminazione libera (che noi indichiamo come via per l’adolescenza e la giovinezza) e stabilità affettivo-sociale (che noi chiamiamo “età adulta”), dovrebbero essere alla base di un patto educativo reciproco sempre più radicale con la convinzione comune che ciò che ci ha preceduto non è tutto da buttare…

 

E qui la sfida culturale si fa pesante!

 

La “regola saggia”

Una “regola saggia” per un patto comune non può partire dalla ingenua ripresa di una Regula onorata e onorevole che pure ha bisogno di ritrovare esperienze concrete per essere ridetta in una società che l’ha vista fiorire per secoli sebbene in contesti completamente diversi da quello di oggi ma simili tra di loro.

Se riletta e riattualizzata, la Regula darà frutti non perché riprodotta ma perché rivissuta nel contesto contemporaneo. E non c'è bisogno di farlo con una ratio statica o con un logos platonico: una rilettura nostalgica, con strumenti classici, darebbe come frutto la sterile parodia di una tradizione importante che va ricompresa a partire dalloggi. Questa dinamica fa la differenza tra parodia e riattualizzazione. Se rilette, le indicazioni di Benedetto produrranno nuovi impulsi, così nuovi da essere semplicemente nostri.

In questo senso, la sapienza di Benedetto potrà essere ancora utile; anzi; potrà essere rivissuta e attualizzata dagli europei che hanno voglia di lavorare per il bene di se stessi e per il bene comune, oltre i chiostri e oltre le mura, con uno sguardo al passato come bagaglio prezioso e attenzione progettuale al futuro come compito della propria missione, senza dimenticare la centralità della rivelazione cristiana: la carità di Dio e Dio come carità.

 

Così ognuno potrà essere figlio del suo tempo e padre della propria libertà, come ci aiuta a comprendere la prima lettura della celebrazione di oggi dedicata alla Festa di San Benedetto:

 

«Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole

e custodirai in te i miei precetti,

tendendo il tuo orecchio alla sapienza,

inclinando il tuo cuore alla prudenza,

se appunto invocherai l’intelligenza

e rivolgerai la tua voce alla prudenza,

se la ricercherai come l’argento

e per averla scaverai come per i tesori,

allora comprenderai il timore del Signore

e troverai la conoscenza di Dio,

perché il Signore dà la sapienza,

dalla sua bocca escono scienza e prudenza.

Egli riserva ai giusti il successo,

è scudo a coloro che agiscono con rettitudine,

vegliando sui sentieri della giustizia

e proteggendo le vie dei suoi fedeli.

Allora comprenderai l’equità e la giustizia,

la rettitudine e tutte le vie del bene».

(Pr 2,1-9)

 

 

 

 


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