La necessità di un cristianesimo trasfigurato



Oltre il silenzio la necessità della denuncia. Il cristianesimo sta svelando in questi tempi la sua portata sociale e politica; non c’è neutralità di Stato che regga. Le tradizioni e le forme di vita sono tutte lecite se conservano la fedeltà all’uomo: la sequela cristiana non può dimenticare le vette preziose della trasfigurazione e giustificare allo stesso tempo fosse comuni.


(Foto della Divina Liturgia celebrata oggi presso la Chiesa di San Michele della Chiesa Ortodossa a Kiev)


Umberto Rosario Del Giudice

 

 

Il silenzio serve per riflettere, per riprendere le forze psichiche, per raccogliere sé stessi e per raccogliersi davanti al mistero della vita che chiamiamo “Dio”. Ma c’è anche un silenzio pieno di perplessità e smarrimento, di preoccupazione, di stordimento. Un silenzio che ammutolisce dal dolore. Ma proprio dolore e costernazione invitano a denunciare la necessità di rivalutare esperienze religiose affinché ogni Chiesa e ogni cristiano valuti il proprio cammino.

In modo particolare, il cristianesimo sta svelando in questi tempi la sua portata sociale e politica; mai come ora, per chi l’avesse dimenticato, è chiaro che le forme religiose coinvolgono le idee politiche e le strutture sociali. E non c’è neutralità di Stato che regga. Lo testimoniano le tensioni nel cattolicesimo statunitense, ma anche in quello europeo e le ultime affermazioni in relazione alla guerra in Ucraina.

 

Esperienza religiosa tra metodi e diversità

Una “credenza” non è mai scevra da considerazioni sociali, da posizioni politiche, da indicazioni prospettiche né da visioni progettuali. Una “fede” porta sempre in sé una “politica”. Le “fedi”, infatti, in quanto sistemi di significato, custodiscono in sé modelli di interpretazione della realtà che diventano “patrimoni” non irrilevanti. Tali “patrimoni” sono fatti di idee, di narrazioni, di principi; ma i patrimoni sono fatti anche (e soprattutto) di liturgie, di riti, di cerimonie, di tradizioni, di preghiere, di religiosità, di devozioni… Tutto questo, nel tempo, costituisce un modo di vedere il mondo, di rapportarsi col mondo, di relazionarsi con la gente. Questi “patrimoni” istituiscono anche “gerarchie” (soprattutto “asimmetriche”) che pongono e im-pongono modi di vedere, percezioni, principi morali, caratteri imprescindibili… Il “patrimonio” di una Chiesa cristiana (cattolica, ortodossa, protestante) va ben oltre il “dogma”. Forse i “dogmi” sono gli ultimi a pesare sull’autocomprensione sociale di una comunità anche se sono i primi a far scattare “differenze” che divengono anche “divergenze”.

Ma le “divergenze dogmatico-teologiche” lasciano, man mano, il posto alle “pratiche” disciplinari, morali, liturgiche, finché non costruiscono anch’esse un “patrimonio” che configura e caratterizza le “tradizioni cristiane” (anche se il fenomeno vale per tutte le tradizioni religiose).

Le Chiese, dunque, hanno “patrimoni” da conservare, ricchezze uniche.

Ogni patrimonio cristiano, spesso chiamato semplicemente “rito”, è un insieme di azioni liturgiche, di narrazioni teologiche, di metodi di spiritualità, di strutture disciplinari, localizzati e quasi confusi con le culture e le circostanze storiche, che esprimono “un modo” di essere “Chiesa”.

Per questo esiste anche una “Chiesa cattolica” diversificata in riti. Ma abbiamo anche un cristianesimo diversificato per “confessioni”.

Va chiarito che anche all’interno di “una” Chiesa possono costituirsi ed essere ammessi vari “metodi di vita spirituale”, che però non contraddicano la “dottrina fondante e comune”.

Per gli occidentali di rito latino questo è evidente se si pensa ai metodi di vita spirituale che da tempo sono diversificati, con opportuna ricchezza. Basti pensare a quelli più diffusi: la tradizione benedettina (che non significa di certo solo “monachesimo”), la tradizione francescana, quella ignaziana, quella domenicana… A queste si aggiungano varie forme di spiritualità più recenti: da quella vincenziana a quella salesiana, da quella proposta dall’Azione cattolica a quella dei movimenti attivi per la Caritas, dai neocatecumenali al rinnovamento, dai movimenti per la pace ai movimenti mariani… tutte forme che portano in sé “vie e metodi di spiritualità”.

Tutti leciti. Tutti preziosi. Tutti importanti per la vitalità e la santità (e la “salute”) di tutta la grande comunità cristiana.

Per uscire poi dall’ambito del cattolicesimo, va osservato che nella storia altri approcci dottrinali hanno formato altri “riti” con propri preziosi patrimoni: alessandrino, antiocheno, armeno, caldeo, costantinopolitano (che a loro volta sono tradizioni su cui si appoggiano svariate “Chiese” con propri cammini e tradizioni eccezionali; ad esempio: bizantino, copto, etiope, eritreo, siriaco, maronita, siro, malankarese, malabarese, melchita…).

Molte tradizioni, ovvero “chiese”, conservano similitudini reali che però, al loro interno, vivono anche diverse tendenze (monastiche, diocesane, filo-cattoliche, filo-ortodosse, tradizionaliste…).

Ancora più multiforme sono le Chiese di ispirazione riformata: valdesi, metodisti, luterani, anglicani, calvinisti… sono tantissime…

Ebbene: tutte espressioni di una “fede in cammino”. Tradizioni importanti che non possono essere dimenticate, che non possono e non devono essere appiattite.

 

Metodi diversi e forme ambigue

Nella diversità la fede appare in tutta la sua variegata bellezza perché segue l’uomo e la sua storia, non solo idee.

Ma quando le tradizioni o le forme o anche le “metodologie di vita spirituale” perdono la capacità di contestualizzarsi nel tempo e nello spazio, rivendicando “verità assolute” e “superiorità”, oltre che sbandierare ideologie che diventano una reale “offesa alla dignità dell’uomo”, esse perdono la qualità originaria di “cristiane”.

È il caso di quelle “forme di vita” e di quei “metodi di spiritualità” che negano il rispetto degli altri, che negano l’autodeterminazione, che negano “l’umanità all’umanità”. Questo non significa che non ci siano “principi da difendere” né che tutto sia lecito e giustificato. Nel cristianesimo appare chiaro che “l’autodeterminazione” debba confrontarsi con “l’autodonazione oblativa”; relazione che comporta un equilibrio di risvolti pratici che attualmente non appaiono comuni e immediati. In alcuni casi, l’equilibrio appare come un “segreto” ovvero una comprensione della realtà che passa solo attraverso la fede oblativa, ma che rimane sempre personale (non a caso la pericope dell’episodio della “Trasfigurazione” –in questa domenica presentato per i cattolici di rito latino secondo il racconto di Luca– alla fine annota che Pietro, Giovanni e Giacomo “tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto”, v. 36b).

Ma i principi, la liceità, la bellezza della fede, la “verità ascoltata”, per tutto il cristianesimo, non potranno mai (più) camminare sui morti; nessuno che si dica cristiano oggi può giustificare aggressioni, ideologie di contrapposizione che conducono inevitabilmente alle fosse comuni di questi giorni.

Allora bisogna che i “patrimoni spirituali” e i “metodi di vita cristiana” non vengano riconosciuti solo come forme tra est e ovest, tra prima e dopo, tra tradizionalisti e progressisti ma che vengano messi alla prova dell’uomo e dall’uomo. Un metodo che proponga ideologie per sopprimere gli altri (come ha giustificato nel suo intervento qualche giorno fa il patriarca Kirill), non può più camminare nel solco del cristianesimo, e le altre tradizioni ne devono prendere immediatamente le distanze.

 

Trasfigurazione antropomorfica: una necessità della fede cristiana

Una forma rituale che aiuti a costruire e conservare ideologie, separazione, ostilità, perfezionismo devozionistico e devozione contro la sicurezza e la vita dei bambini, delle donne e degli uomini, non può più essere riconosciuta come cristianesimo.

Se la “fede in Cristo” accompagna alle vette di un uomo salvato, in tutte le sue espressioni e a partire dalla sua immediata sicurezza, allora sarà un cristianesimo trasfigurato che conserva vera bellezza: un cristianesimo che si fa sequela e che ascolta, accoglie, custodisce, accompagna ogni uomo.

Come può la sequela cristiana dimenticare vette preziose e giustificare fosse comuni?

E se vero che “la luce policromatica delle religioni ha illuminato questa terra” (come affermò Francesco nel discorso alla conferenza sulla pace nel 2017) è vero anche che questa “trasfigurazione” deve ora riconoscere ricchezze e condannare ambiguità di tutte le esperienze e di tutte le tradizioni. E oggi il papa, tornando sul conflitto ucraino, ha pronunciato un monito che appare come un breve elenco di essenziali punti di discernimento

Non si possono sostenere riti e tradizioni, forme e metodi spirituali, che supportano, modus vetus, ideologie contro l’uomo, contro la pace e contro la serena convivenza e il rispetto del diritto internazionale. Alle Chiese oggi è chiesto di prendere le distanze dalle affermazioni di altre Chiese. Allo stesso tempo, oggi ai singoli cristiani è chiesto di valutare tradizioni e forme di vita spirituali per non cedere a percorsi che non conducono al dialogo, all’apertura, all’incontro, alla tutela di ogni donna e di ogni bambino: ne va della fede ma anche della reale capacità “di seguire il Cristo trasfigurato”. La forma dei riti non deve nascondere mai la deformazione della fede.

Solo un “cristianesimo trasfigurato”, che accompagna ogni uomo, che rivela e rileva la bellezza dell’uomo in ogni uomo, può essere un cristianesimo ricco, di colori, di forme e di verità.

 

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