Della Parola, dalla Parola, nella Parola: per non “cadere in devozione”
Domenica della “Parola
di Dio”?
Un’occasione per tornare
a riflettere sul sintagma “Parola di Dio” ma, soprattutto, sulla relazione
tra “Parola” e “fede”, ovvero sulla inseparabilità tra esperienza
del singolo e manifestazione del Cristo: sempre unite e mai
separate.
Umberto Rosario Del Giudice
Questa III Domenica
del Tempo ordinario è “colorata” di una “giornata” dedicata alla “Parola di Dio”
per volontà di papa Francesco che il 30 settembre 2019 promulgò a tale scopo il
motu
proprio Aperuit illis. Leggendo questa
lettera apostolica appare confusa la differenza tra “Parola
di Dio” e “Sacra Scrittura”: in realtà, il documento ne presume l’identità.
Anche altri riferimenti
conciliari
e magisteriali,
direttamente citati dal motu proprio, non offrono chiarimenti a riguardo.
Nonostante ci sia chi
ricorda che la giornata di oggi sia dedicata alla “Parola di Dio” e non
alla “Sacra scrittura”, né semplicemente alla “Bibbia”, la distinzione tra
queste “espressioni” non sembra chiara.
Una migliore comprensione dei termini forse potrebbe aiutare ad evitare per la “Parola di Dio” ciò che avvenuto per decenni (secoli?) per tutti i Sacramenti e particolarmente per l’Eucaristia: una comprensione devota e rispettosa dell’una e dell’altra senza per questo raggiungere una comprensione più unitaria e, soprattutto, più “attiva” di “partecipazione”. In altre parole, un approccio devoto alla Parola potrebbe essere molto pericoloso così come è avvenuto per i Sacramenti e per la liturgia in genere. La tendenza alla devotizzazione della “Parola di Dio” rimane pur sempre un pericolo anche con la istituzione di una “Domenica”...
Una domenica “ideale”?
Una giornata della “Parola
di Dio” è stata ritenuta necessaria. D’altra parte, com’è stata vissuta una stagione
del rinnovamento liturgico (oggi presente nella sua “terza” espressione), che
ha molto tematizzato la relazione tra azione rituale e fede, così
è ora di rimettere al centro la questione della relazione tra fede e “Parola”.
È anche vero che le due realtà (rito-fede e Parola-fede) sono irrimediabilmente
e insopprimibilmente connesse.
Il Documento pone varie affermazioni; tra tutte, due le più perentorie: l’impossibilità di ridurre la “Domenica della Parola di Dio” a una “festa di idea” e l’imprescindibile legame tra “Scrittura” e “liturgia”.
Le affermazioni che il
documento pone fin dall’inizio relativamente al legame imprescindibile tra “Parola”
e “rito” sono molte, spesso intercambiando i termini. Si parla di azione liturgica,
di liturgia, fino a dichiarare in modo palese che «Sacra Scrittura e Sacramenti
tra loro sono inseparabili» (AI, 8).
Sull’altro principio, che la giornata dedicata alla “Parola
di Dio” non sia solo un momento ideologico, viene in aiuto una bella affermazione.
La “Domenica della Parola” (si legge nello stesso numero) «vuole essere non
“una volta all’anno”, ma una volta per tutto l’anno, perché abbiamo urgente
necessità di diventare familiari e intimi della Sacra Scrittura e del Risorto,
che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti».
Parola di Dio, Sacra Scrittura o Bibbia?
A ben vedere, però, AI non fa luce su varie questioni. Soprattutto quelle relative ai “significati” e ai “contesti”.
Il passaggio appena
citato, ad esempio, non ha per oggetto la “Domenica della Parola” ma… la “Bibbia”.
Ciò fa comprendere che vi è una sorta di ambiguità dei lemmi e dei sintagmi che
apre nuove questioni piuttosto che risolvere altre. Bibbia, Sacra Scrittura,
Sacre Scritture, Parola di Dio, sono usate in modo sinonimico. Anche
liturgia, sacramenti, azione liturgica, sacramentale,
Eucaristia, sono usate allo stesso modo, quasi come se non ci fosse differenza
di contesto e di forma tra le parole e le realtà che esse indicano. Sembrano termini
interscambiabili. Ma nell’analisi e nella narrazione dell’esperienza di fede, interscambiando
valori, proposizioni, contesti, presupposti, si
rischia di ammutolire l’esperienza stessa e di sopprimere la fede.
Considerando la forma
del documento (una Lettera apostolica in forma di motu proprio), il suo scopo
(l’istituzione di una giornata dedicata), l’indole propria (illustrare
sinteticamente le motivazioni senza per questo entrare nelle questioni propriamente
dottrinali e dogmatiche), l’“ambiguità” appare sostenibile.
Tuttavia, una chiarificazione dei termini potrebbe anche sostenere
l’esperienza di fede e il suo sviluppo (che noi chiamiamo, un po’
frettolosamente e ingenuamente, “formazione permanente” o “catechismo per gli
adulti”).
Di solito per Bibbia
si intende l’insieme dei libri canonici (o quelli ritenuti tali); Sacra scrittura
indica i testi nella loro qualità di “ispirati”; per “Parola di Dio” si
dovrebbe intendere la seconda persona della Trinità (Verbum Dei) o la
sua “manifestazione”.
In quest’ultimo caso, poiché
la vita della “Parola di Dio” non si esaurisce tra le righe delle Sacre
scritture, va da sé che essa è la manifestazione della vita del “Cristo totale
e glorioso” anche attraverso la vita dei singoli che ne accolgono la
performatività (e che noi chiamiamo anche “comunione dei santi”).
Per questo ogni
Domenica è “della Parola”. Ogni Liturgia lo è. Ogni preghiera lo dovrebbe
essere e lo dovrebbe diventare. Anzi, ogni momento vissuto “in Cristo” fa parte
della “Parola di Dio”. Partecipando alla vita del “corpo di Cristo” (ognuno con
la propria identità, cf 1Cor 12,12-30) ciascuno manifesta una parte della “Parola”,
poiché ogni linguaggio ha bisogno di un corpo, e viceversa.
In questa prospettiva l’immagine
di un Dio-organizzatore, ovvero di una divinità capace di ordinare
razionalmente il tutto e di far rientrare in quest’ordine tutti gli esseri e
tutte le libertà, un Dio-onnipotente e onnisciente che ha già
tutto determinato e “istituito” nella sua “Parola” (ovvero nelle Sacre
scritture), fa parte di quel mito neolitico e di quella logica aristotelica-tomista
che ci portiamo dietro e che anche la modernità (con la propria spinta
razionalizzante e oggettivizzante) non ha contribuito a ricomprendere e a “ridire”.
La categoria di “Parola
di Dio” va ripensata in una visione di una rivelazione in atto (“oggi”) e che,
oltre alla natura della terza persona della Trinità, investe anche le esperienze
dei singoli continuando ad essere se stessa “ora” nell’incontro con le
libertà dei singoli: ogni “Parola” per essere “ascoltata” deve essere “proferita”.
La Bibbia si legge e si studia, la Sacra scrittura si ascolta, la Parola di Dio
si annuncia. La “Parola di Dio” dunque è tale se è accolta e pronunciata.
Può sembrare assurdo e
poco corretto, ma, in quest’ottica, la “Parola” immediata “di Dio” (il Verbum
nella immanenza della Trinità) è vincolata alla “libertà immediata dell’uomo”
che ascolta e pronuncia. Dalle due “parole” ne può uscire una storia di “rivelazione”...
Non a caso la pericope
evangelica proposta oggi è frutto di un “taglio da lezionario” che propone i
primi 4 versetti del Vangelo secondo Luca e poi, con un salto di 3 capitoli, la
“autodichiarazione” di Gesù in quanto “unto”, in qualità di “profeta”, che “accoglie
e parla”.
Se i primi versetti
rimandano alla “storia”, alla meticolosità con cui il redattore del vangelo ha
raccolto i dati, i secondi rimandano alla decisione personale di Gesù che
accoglie e offre l’unzione profetica in cui si realizza pienamente “l’anno del
Signore”, la libertà, la vista, la liberazione, l’annuncio, la consacrazione… ovvero
la “Parola di Dio”.
Conclusione
Ascolto,
lettura, proclamazione, in relazione alla “Parola di Dio” sono un tutt’uno, o non
sono. In quest’ottica la Domenica della Parola di Dio è una proposta valida. Ma
lo sarà sempre di più se non sarà “celebrata la Parola” nel limite di una bella
intronizzazione dell’Evangeliario o di una bella processione del Lezionario. Queste
azioni valgono nella misura in cui e nella speranza che non cedano il posto alla devozione. E, per
non “cadere in devozione”, bisogna ripensare le categorie dell’esperienza
religiosa e della fede, non solo per i singoli ma per la rivelazione stessa
affinché in ogni libertà liberata possa risuonare quell’«oggi si è compiuta
questa Scrittura che voi avete ascoltato».
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