La "bellezza" dei diritti oltre l'ombelico

 


In fondo i farisei ci dovrebbero stare simpatici: cosa fanno se non difendere i "diritti soggettivi"?
Bene ricordarlo: la logica giuridica inquadra e disegna giustamente i diritti come astrazione di una libertà personale invalicabile: ma nessun diritto è davvero tale se non comprende, supporta, stimola, custodisce anche la libertà dell’altro. Ma questo il diritto non te lo dice.




Scena tratta dalla miniserie "Gesù di Nazareth" con la regia di Franco Zeffirelli (1977)


Umberto Rosario Del Giudice

Nel brano della prima lettura di oggi, domenica 3 ottobre (XXVII Domenica del Tempo Ordinario) si legge che “non è bene che…” (Gn 2,18).

Il sostantivo usato è ט֛וֹב (tōo) che in ebraico sta per bontàbene ma anche bellezza. La traduzione dei LXX infatti traduce tōo con καλòν (calòn) che in greco è, appunto, bellezza.

Sarebbe bene, dunque, tradurre “non è bello” piuttosto che “non è bene”. Anche oggi, spesso usiamo il “non è bello” per “non sta bene” in riferimento ad un'azione. Certo è che bello e bene nella cultura ebraica vanno di pari passo.

È la mentalità greca che distinguerà di più le due categorie pur riferendo tutto all’Uno e aggiungendo l’altra categoria di “vero”.

 

Sorprende che la domanda riportata nel Vangelo secondo Marco nella pericope proposta oggi sia relativa non tanto al bello o al bene o al vero ma al “lecito” (Mc 10,2). La domanda che i farisei avrebbero posto a Gesù indagava, dunque, più sull’aspetto giuridico, sulla liceità, se, appunto “fosse lecito” ribellarsi, separarsi, dalla donna. Uso questi termini poiché il sostantivo usato in greco, ovvero apostasìu (gr ποστασου) è etimologicamente unito a apostasìa (gr ποστασα), altro sostantivo ben noto.

In altre parole, ciò che colpisce la mia attenzione è che l’orizzonte etico del libro della Genesi è orientato al “bello”, al “bene” ovvero alla solidarietà, alla costruzione di relazione creativa (non è bello che sia monos”, ovvero “solo” – in greco μόνος). Mentre la preoccupazione del gruppo di farisei che interroga Gesù è contraddistinta da due elementi giuridici: se fosse lecito e se l'azione richiamasse un “diritto soggettivo”.

Liceità è soggettivismo sono i limiti di quel positivismo giuridico in cui ci arretriamo quando non vogliamo più creare, quando vogliamo solo difendere interessi, quando non abbiamo più energie psichiche per vivere ancora nella “bellezza”, poiché il “figlio dell'uomo” a questo è chiamato: a quella bellezza che altro non è che una vita intensa di relazioni solidali, anche se vissuta da “monaco” o da “single”.

Ciò che falso rispetto alla natura umana, nella mentalità giudeo-cristiana, non è la solitudine in sé ma la soggettivizzazione delle relazioni. In questo senso anche un mondo pieno di "diritti" può diventare pienamente ingiusto. Non è il diritto o meno a stare solo a contrastare la progettualità umana ma è il ritirarsi dietro i diritti soggettivi che non pensa più a nessuno che ci rende immuni dalla bellezza della vita, dalla sua bontà e dalla sua verità.

Così, i diritti soggettivi possono imbruttirci: il punto fermo del diritto può diventare il punto morto della vitalità.

Se usiamo i diritti per assicurarci dalla contaminazione delle identità e delle libertà, creeremo una cultura sempre più immune verso ogni forma di umanità. I diritti rivendicati, così, possono diventare la negazione di ogni protezione e di ogni libera creatività. Non si tratta di rimettere in discussione la legge sul divorzio o altre disposizioni (non è proprio mio intento): ma di cogliere nei diritti soggettivi possibilità utili ma non onnicomprensive del vivere e dell'agire umano. Finché si riflette sull'agire sono dal punto di vista del lecito e del possibile giuridico si nasconde agli occhi (e ai vissuti) quella creatività assertiva che apre a orizzonti magnanimi della vita, anche se nella esperienza del divorzio o altre esperienze possibili e lecite giuridicamente. Non è la legge che deve tutelare ma è il "cuore" che si deve allargare, oltre la legge, oltre i diritti, oltre il soggetto che guarda il proprio ombelico.

Se da una parte la logica giuridica inquadra (come è giusto che sia) i diritti come astrazione di una libertà personale invalicabile, è degno ed umano anche ricordare che nessun diritto è bello se non comprende, supporta, stimola, custodisce anche la libertà dell’altro.

I diritti servono per rendere umani non immuni.

Questo il primo versetto.

Commenti

Post popolari in questo blog

Due pesi e due misure? Sul “caso Lintner”

Megafoni e scribi del Magistero ecclesiastico?

Se “theologia gaudia beatorum amplificat”