I sazi e gli affamati
Umberto Rosario Del Giudice
Brutte, bruttissime notizie dall’Afghanistan: bambini muoiono
di fame e le prospettive sono drammatiche. Lo denunciano WFP e Unicef. Altre
famiglie si trovano in uno stato di totale povertà tanto da barattarefigli per saldare debiti di circa 500 dollari.
Notizie; troppe; tristi: narrano il dramma di chi, nel 2021,
muore di fame.
Lontano da noi.
E capita che sei investito da queste terribili notizie e poi
ti lasci andare dal tram tram quotidiano.
Lavoro, famiglia, interessi, dispute: realtà giuste, rilevanti,
importanti e necessarie per la nostra stessa identità.
Ma non finisci di sentirti inadeguato. Vorresti portare aiuto.
Pensi a soluzioni. Mandi una parte dei tuoi guadagni a qualche Associazione che
lavora bene sui territori lontani o a qualche ONG.
Puoi anche sostenere progetti per lo sviluppo mondiale del secondo obiettivo dell’Agenda
2030.
Ma tutto ti sembra poco.
Ogni iniziativa ti appare niente.
Non puoi neanche farti scivolare le notizie di dosso e, una
volta fatto il “tuo dovere” e messo mano alla tasca, ritornare “indifferentemente”
alla tua vita.
Non puoi.
La vita e la tua libertà non te lo concedono.
Puoi però usare i tuoi beni (anche se pochi) senza
arroganza, senza progetti esasperati ed esasperanti.
Puoi (e devi) usare quello che hai per gestire i beni ed
insegnare a gestirli senza capricci.
In una parola: puoi vivere quella povertà evangelica che non è un consiglio (come invece è la “eunuchìa per il regno dei cieli”, Mt 19,10-12) ma che è un invito pressante (sebbene abbia risvolti anche di condivisione di sorte col Cristo, ma questa è un’altra faccia della povertà cristocentrica).
E cosa c’entra il mio “vivere povero qui” con la “povertà reale
lì”?
Moltissimo.
Aiuta a creare una mentalità di condivisione non di
prevaricazione.
Aiuta a gestire quello che hai ora senza voler sempre di
più.
Aiuta i nostri figli a capire che l’essenziale non è avere
tutto ma avere quanto basta: il pane quotidiano. E aiuta a capire che il bello
sta nel poterlo condividere.
Aiuta a creare sistemi sociali e politiche globali in cui “sostenere”
non è uno slogan ma è una reale solidarietà in cui gli altri siamo tutti noi e
nessuno può davvero morire di fame.
Mettere mano alla tasca, ora è utile.
Manifestare contro la fame nel mondo, ora serve.
Gestire i beni con riguardosa misura e profusa solidarietà,
ora è necessario.
Perché solo un giusto uso di ciò che oggi si possiede aiuterà
a creare sistemi in cui nessuno è posseduto da altri.
E la libertà dalle cose renderà ciascuno capace e libero di
condividere tutto ciò che ha. E tutti avranno il giusto secondo le necessità e
le possibilità.
Ma è un lungo cammino; forse addirittura un percorso utopico.
In realtà, la condivisione che cambia i sistemi è “sequela
evangelica”.
La povertà evangelica non si testimonia demandando agli enti
internazionali e morali la soluzione della povertà nel mondo. Chiediamo a
quegli enti di agire mentre noi continuiamo lo shopping sotto casa senza neanche
chiederci quale sia il giusto equilibrio per me tra ciò che voglio, ciò che
spendo, ciò che posso permettermi e ciò che desidero. Altro atteggiamento irrazionale,
segno di una vivida deresponsabilizzazione integralista: mentre ognuno accumula
per sé.
La responsabilità di ciascuno inizia ora, con l’uso di ciò
che si ha e con ciò che si desidera avere e con ciò che si è capaci di
rinunciare.
Non si tratta di un’idea romantica di comunione universale ma di una concreta possibilità di rivoluzionare, qui ed ora, i sistemi comuni, lì e subito.
Non è una idea: è una rivoluzione in atto.
E così non sarà più vero che “tutti sono ladri”, perché ciascuno desidera di meno, spezzando di più il pane che ha. E questo si chiama nuovo umanesimo.
Bisogna mettere insieme iniziative solidali, economia di condivisione e partecipazione attiva: e quest’ultima richiede la gestione dei beni e dei desideri. Solo così creeremo quel sistema sociale e quel consenso politico
che aiuterà ad abbassare (e forse ad eliminare) le attese e i passionali
desideri di coloro che nel mondo decidono molto più di noi e che non si potranno più sentire a proprio agio nelle loro comodità a confronto con la parsimonia di tutti noi. E non avranno neanche più la faccia tosta di chiederci continuamente uso e consumo perché avranno davanti persone che vorranno usare e sapranno consumare, senza eccessi di desideri e senza abusi a spese di altri.
E intanto non ci saremmo almeno fatti scivolare di dosso i
sorrisi spezzati, le lacrime profuse e le gioie crocifisse di chi oggi muore di
fame.
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