Carismi riconosciuti e Chiesa riconoscibile
La teologia dei ministeri ha prodotto fiumi di inchiostro, prima e dopo il Concilio. La cancellazione di sole tre parole dal Codice di Diritto canonico in riferimento ai ministeri istituiti del Lettorato e dell’Accolitato produrrà ulteriore autoconsapevolezza ma non cambia la dottrina anche se aiuta la Chiesa ad autocomprendersi. Resta solo il primo e forse impercettibile passo verso una ministerialità che finalmente riconosca le differenze e le alterità al di là della sola funzionalità dei ministeri istituiti e dell’identità realistico-sacramentale dei ministeri ordinati.
Umberto R. Del Giudice
Una modifica attesa e una modifica
sospesa
Datata 10 gennaio
2021, è stata pubblicata la settima delle modifiche (tematiche), quattro delle
quali ad opera di papa Francesco, al Codice di Diritto Canonico (CIC) del 1983[i].
La modifica è
stata apportata, come consueto, con un motu proprio, dal titolo “Spiritus
Domini”.
Il canone modificato
è il 230 §1 CIC e riguarda la nuova possibilità di accesso anche delle persone
di sesso femminile al ministero istituito del Lettorato e
dell’Accolitato.
Una modifica
attesa da anni[ii], auspicata[iii]
ma che a molti appare quasi un passo irrilevante. Sembra, infatti, che non si
sia fatto altro che riconoscere la realtà dei fatti.
Evidentemente
questa modifica non risolve tutte le attese. Rimane sospesa infatti la questione
circa il diaconato alle donne.
Eppure, si è pur fatto
un passo in avanti, e senza cambiare la “dottrina”.
Ma la vera cifra
della differenza chiede di approfondire le questioni per il ministero
istituito, per il ministero del Diaconato e soprattutto, qui si gioca la vera
questione, per il ruolo che tutti i laici (donne e uomini) hanno o non hanno in
relazione alla potestà di governo.
Accogliere una “differenza
di genere” nell’ambito del ministero istituito deve aprire anche alla
comprensione di come accogliere la “differenza” con cui si può
esercitare l’autorità nella comunità ecclesiale.
Il testo del Motu proprio e le
particolarità della modifica
La lettera con cui
si modifica il codice contiene una teologia abbozzata dei carismi i quali sono
detti ministeri (si spiega) poiché “pubblicamente riconosciuti e istituiti
dalla Chiesa”.
È stato chiarito già
in ambito teologico e biblico che la distinzione tra carismi e ministeri
non è rilevante. Lo è dal punto di vista giuridico poiché i carismi
possono essere anche ministeri “riconosciuti pubblicamente” che
rientrino anche in una certa “struttura gerarchica” attraverso la
Chiesa si vuole determinare (ministeri istituiti). Va aggiunto che i carismi
possono anche essere “funzioni” che, riconosciute o meno dal punto di
vista giuridico, possono presentarsi come dono dello Spirito alla Chiesa.
Il testo del motu
proprio si affretta tuttavia subito a chiarire che nell’Ordine sacro i
ministeri sono correlati al sacramento, mentre gli altri ministeri (istituiti) sono
affidati con “rito liturgico non sacramentale”.
I
ministeri del Lettorato e dell’Accolitato, dunque, di per sé sarebbero aperti
a tutti i laici.
Poiché
erano considerati prevalentemente preparazione alla ricezione del Sacramento
dell’Ordine (come dichiarò Paolo VI nel Ministeria quaedam del 1972)[iv], fu ritenuto necessario
escludere le “fedeli”, ovvero le battezzate di sesso femminile. È inutile qui
ricordare che già dall’antichità il “cursus honorum” da ordine
sequenziale degli uffici pubblici romani passò a caratterizzare sempre più anche
le istituzioni ecclesiali: infatti, «dal V all’XI secolo, ovvero nel periodo
che va dall’impero romano alla cristianità medioevale, si fa spazio il cursus
honorum, vale a dire l’avanzamento progressivo nella carriera
ecclesiastica»[v].
Poiché è
anacronistico e infondato ormai escludere “le battezzate” dai ministeri del
Lettorato e dell’Accolitato, si è dunque pensato di estendere loro la
possibilità di accedere al ministero istituito (e non più solo di fatto) del
Lettorato e dell’Accolitato.
Ecco, dunque, la
sinossi del can. 230 §1 con modifica da cui emerge l’unica sostanziale
differenza!
CIC 1983 |
CIC 1983 con
modifica |
Can. 230 - § 1.
I laici di sesso maschile, che
abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale,
possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai
ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non
attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte
della Chiesa. |
Can. 230 - § 1. I
laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza
Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico
stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento
non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da
parte della Chiesa. |
Poche parole,
tanta differenza.
Dottrina che non cambia ma che (si) promuove
Va però chiarito:
la dottrina non cambia. Il fatto che possano essere investite di un ministero
istituito anche le donne, non ha tolto niente e aggiunto niente alla dottrina. La
modifica al CIC ha ripreso e ribadito la validità della ecclesiologia del
Concilio Vaticano II fondata sul sacerdozio comune e sulla dignità
del battesimo e ha, al contempo, riconosciuto carismi/servizi che le
donne già da anni presentano/offrono alla comunità ecclesiale che, ex can. 230
§2, sono stati definiti e considerati solo “funzioni”.
La felice
modifica riguarda l’assetto giuridico non dottrinale.
Chi accenna a un
cambio di dottrina significa che considera erroneamente le norme ecclesiali come
una sorta di “Legge fondamentale dottrinale”. Le norme canoniche (contenute o
meno del Codice) sono la necessaria forma giuridica con la quale la Chiesa
ordina sé stessa e nella quale vuole riconoscersi: la norma canonica non è dottrina.
Nel Motu proprio
il Papa ricorda come sia stata evidenziata da più parti la “necessità di
approfondire dottrinalmente l’argomento”. Si tratta dunque di un approfondimento
ma non di un cambio. E poiché i teologi l’approfondimento già l’avevano proposto
da moltissimo tempo, la richiesta si è tradotta in un cambio di disposizione
giuridica non dottrinale.
La Sacrosanctum
Concilium non citava l’accolitato (né il suddiaconato); ma riprendeva in
modo del tutto nuovo il concetto di ministero e, in particolare, di ministero
della parola. In questa prospettiva SC 29 sembra “anticipare i tempi” o almeno
prospettare altre soluzioni: «Anche i ministranti, i lettori, i commentatori
e i membri della “schola cantorum” svolgono un vero ministero liturgico».
D’altra parte, la Lumen
gentium non cita mai lettorato e accolitato (si decise di rimandare la
questione dei ministeri al pontefice), ma, in relazione ai ministeri, precisa
che i Pastori:
«sanno di non essere stati istituiti da Cristo
per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa verso
il mondo, ma che il loro eccelso ufficio consiste nel comprendere la loro
missione di pastori nei confronti dei fedeli e nel riconoscere i ministeri e
i carismi propri a questi, in maniera tale che tutti concordemente cooperino,
nella loro misura, al bene comune» (LG, 30).
Questa
precisazione è utile perché chiarisce che vi sono più livelli: il livello giuridico-istituzionale
che, nella specifica competenza gerarchica delle autorità ecclesiali, possono
anche non collimare con il livello di approfondimento teologico e/o di autocomprensione
ecclesiale. D’altra parte, la modifica al Codice non ha avuto alcun bisogno
di mettere mano ai princîpi dottrinali conciliari. Anzi, sono stati i princîpi
dottrinali che hanno proposto la modifica del Codice. In altre parole, le
norme canoniche non vanno confuse con la dottrina. Se cambiano i canoni può
non cambiare la dottrina. Ma nella dottrina vissuta la struttura ecclesiale e quindi anche giuridica può cambiare. Insomma, ius sequitur vitam.
E nonostante il
Codice sia stato definito come l’ultimo documento del Concilio Vaticano II è
chiaro che si tratta anche della necessaria trasposizione giuridica di una dottrina
che non si lascia ingabbiare dalla necessaria “certezza del diritto” (canonico) ma deve recepire la vitalità dei contesti e dei vissuti.
Carismi riconosciuti, contributi istituiti
e remunerazione rimandata
Da anni le donne
(e soprattutto loro) contribuiscono alla vita liturgica e al ministero ecclesiale
con la viva collaborazione anche ai ministeri liturgici. D’altra parte, già dal
1994 una nota del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi aveva chiarito
che i Vescovi avrebbero potuto emanare disposizioni al fine di permettere alle
donne il servizio all’altare (“ad altare munus etiam mulieribus permittatur”)[vi].
È vero anche che,
nella maggior parte dei casi, i pochi (pochissimi) uomini disponibili sono
stati indirizzati non solo ai ministeri istituiti ma anche al diaconato;
ed è vero che alle donne veniva riconosciuto di fatto un “ministero” che però
non aveva un riscontro giuridico e questo per la precomprensione di voler lasciare
i ministeri istituiti nell’ambito del “maschile” e così salvaguardare un
servizio all’altare sempre più legato al ministero ordinato che alla
comunità.
Finalmente, dunque,
i carismi sono stati riconosciuti non solo de facto ma anche de iure,
con un ministero stabile. Il contributo delle battezzate, dunque, è
stato finalmente non solo “riconosciuto” ma anche “istituito”.
La novità
giuridica non dimentica e non deve far dimenticare che sono state le battezzate
in questi lunghi anni a sostenere e a consentire un’azione liturgica che
manifestasse la molteplicità dei ministeri. È paradossale, infatti, che
spesso nelle assemblee liturgiche, colui che presiede l’azione liturgica debba
rivestire tutte le funzioni liturgiche per mancanza di altri ministri (maschi).
Il riconoscimento
del contributo al femminile ai ministeri non è soltanto un riconoscimento
di differenza di genere, ma è principalmente un prendere atto che
l’assemblea liturgica è di per sé composta da persone “differenti”. La cifra
della differenza, pur nella uguale dignità (cfr. can. 208 §1), è essenziale
per la cooperazione comune (cfr. can. 129 §2). La vera novità, dal punto di
vista canonico, sta nel riconoscere in modo “istituzionale e stabile” la cifra
della differenza ministeriale e non soltanto di genere. Che i
ministeri istituiti non siano più legati al ministero ordinato è una novità,
non dottrinale ma giuridica, che aiuta l’intelligenza dottrinale e l’autocomprensione
ecclesiale.
Una nota sulla
remunerazione: che il can. 230 §1 ribadisca che non vi è remunerazione per i ministeri
istituiti non è una nota folkloristica. Essa è un rimando al diritto civile
che, in alcuni casi, può assumere in sé (come in altre parti del mondo già
accade) il necessario sostentamento per coloro che offrono un servizio a tempo
pieno. Non è neanche un rimando peregrino poiché lo stesso Concilio Vaticano II
si era già espresso in tal senso. Nel Decreto Apostolicam actuositatem,
al n. 22, si legge:
«Nella Chiesa sono degni di particolare onore e di
raccomandazione quei laici, celibi o uniti in matrimonio, che si
consacrano in perpetuo o temporaneamente al servizio delle istituzioni e delle
loro opere con la propria competenza professionale. È per essa di grande gioia
veder crescere sempre più il numero dei laici che offrono il proprio servizio
alle associazioni e alle opere di apostolato, sia dentro i limiti della propria
nazione, sia in campo internazionale, sia soprattutto nelle comunità cattoliche
delle missioni e delle Chiese nascenti.
I pastori della Chiesa accolgano volentieri e con animo
grato tali laici, procurino che la loro condizione soddisfi nella misura
migliore possibile alle esigenze della giustizia, dell’equità e della carità,
soprattutto in merito all’onesto sostentamento loro e della famiglia, e
che essi godano della necessaria formazione, di conforto e di stimoli
spirituali».
Dunque, ribadire
che col ministero istituito e stabile non si abbia diritto al sostentamento o
ad una rimunerazione da parte della Chiesa non significa non rimandare alle
autorità civili, li dove i concordati internazionali lo prevedano, misure
adeguate di sostentamento. Tra l’altro il ministero del lettorato non si riduce
alla lettura liturgica della Parola di Dio. In alcune zone del mondo le lettrici/catechiste
sono le vere responsabili delle comunità. E ciò vale anche per alcune ministre
straordinarie dell’eucaristia (che dovrebbero ora accedere all’accolitato).
Va pure
sottolineato che il fatto di non avere diritto non significa che non
possa essere riconosciuto anche da parte della Chiesa un onesto contributo.
Su questo gli Ordinari del luogo e le Conferenze episcopali avranno di che
riflettere.
Conclusione: un ulteriore passo
atteso?
La rielaborazione
di una comprensione di una Chiesa che già è abbozzata nel Concilio Vaticano II
è un impegno che deve investire tutti e a tutti i livelli.
Dico qui in
termini giuridici ciò che è stato detto con linguaggio teorico da Andrea
Grillo[vii] e con linguaggio
ecclesiologico da Serena Noceti[viii], cui rimando.
Cosa rimane,
dunque, di questa «nuova elaborazione della tradizione, esplicitamente e
formalmente»?[ix]
Se la modifica del
can. 230 §1 aiuta a recuperare in modo stabile e istituito il ministero delle
donne è anche vero che rimane molto da fare.
In modo
particolare, i punti cruciali futuri da affrontare riguardano:
1.
la
possibilità di aprire il diaconato alle donne;
2.
la
possibilità di consacrare donne nel sacerdozio (nel grado del presbiterato e in
quello dell’episcopato);
3.
la
possibilità di aprire ai laici tutti (e quindi donne e uomini) ruoli di governo che richiedano la potestas regimini.
Sul diaconato
alle donne
Sul diaconato alle
donne non ci sono problemi di natura dottrinale anche se nella Lumen Gentium al
n. 29 si dichiara che il diaconato può essere conferito a uomini di età
matura (viris maturioris aetatis) anche viventi nel
matrimonio, e così pure a dei giovani idonei (iuvenibus
idoneis). In realtà, a mio parere, questa però non riguarda una clausola strettamente dottrinale
ma più restrizione di natura ecclesiastica che potrà essere rivista anche da un
motu proprio. Il Diaconato, infatti, è istituito per il servizio e non per il sacerdozio.
Sul sacerdozio
alle donne
Questo sembra più
delicato come passaggio poiché si basa su di un aspetto realistico-sacramentale
del ministero ordinato. In altre parole, la logica è questa: poiché Gesù era
maschio anche i sacerdoti devono essere maschi. In realtà, questa visione si
basa su di un “realismo sacramentale” che non trova più molte giustificazioni. E
di questo si deve occupare la teologia sacramentale e la dottrina.
Sulla potestas
regimini
La vera questione credo sia questa: se i laici possono solo “cooperare”
e non possono essere “istituiti” per la potestà di governo (potestas
regimini) allora ogni altra forma di autorità diversa da quella “sacerdotale”
non sarà acquisita dall’ecclesiologia di comunione. E questo credo sia il vero
tema.
È impensabile che in alcune situazioni laici (donne o uomini), ben
formati, competenti, di sana vita cristiana non possano o non debbano essere
investiti dell’autorità di governare un settore, un ente, una realtà solo perché
non sono investiti del sacerdozio ministeriale.
La vera novità e il vero passo avanti credo sarebbe questo: aiutare la
dottrina a formulare una continuità di potestà di governo anche se non ordinati
in sacris.
Alcuni esempi su tutti:
- Con Cor orans le Abbadesse, pur se Superiori maggiori e sebbene a capo di Congregazioni monacali, hanno sempre bisogno di un “assistente religioso” che sia “investito del sacerdozio”. Sembra assurdo che, Abbadesse che ben conoscono la vita delle loro comunità o delle Congregazioni delle loro comunità non possano decidere da sole dovendo rimandare su alcune questioni la decisione finale al parere, a volte vincolante, degli “assistenti religiosi”.
- Ci sono parrocchie nel mondo rette da Diaconi o da laici (uomini e donne): eppure questi hanno sempre bisogno di un sacerdote come “titolare” dell’ente parrocchia…
Sotto questo aspetto,
ce n’è di cammino da fare… anche in dottrina. Bisogna che si approfondisca la “differenza”
con cui i battezzati possono esercitare l’autorità, perché riconosciuti
e investiti; bisogna riconoscere che la potestas regimini anche
senza potestas sacra è fondata sui tria munera anche
nei battezzati sebbene si richieda l’investitura di un ministero istituito (stabile
o meno ma riconosciuto) in riferimento ad un ufficio o a un ruolo ecclesiale
con pienezza di potestà e di autorità.
Solo così la cifra
della differenza di genere e di stato sarà una vera
ricchezza ecclesiale.
Intanto, però
abbiamo iniziato a camminare riconoscendo anche in modo istituzionale le “differenze”.
E su questo paradigma
bisogna continuare a riflettere, scrivere, pensare e vivere per divenire sempre
più una Chiesa riconoscibile.
[i] Cfr. Giovanni Paolo II, Motu proprio: Ad
tuendam fidem, del 18 maggio 1998 (cann. 750 e 1371); Benedetto XVI, Motu proprio: Omnium
in mentem, del 26 ottobre 2009 (cann. 1008-1009 e cann. 1086, 1117, 1124); Francesco, Motu proprio: Mitis Iudex
Dominus Iesus, del 15 agosto 2015, (cann. 1671-1691); Francesco, Motu proprio: De concordia
inter codices, del 31 maggio 2016 (cann. 111, 112, 535, 868, 1108, 1109,
1111, 1112, 1116, 1127); Francesco,
Motu proprio: Magnum principium, del 3 settembre 2017 (can. 838).
[ii] A mo’ di esempio, basta leggere
un testo su tutti del 1971 di Yves Congar: Ministères et Communion
ecclésiale (coll. Théologie sans frontières, 23), Paris, Cerf, 1971.
Ministeria Quædam è del 1972…
[iii] Si veda la dichiarazione
dell’arcivescovo di Vienna, Shonborn: https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-01/motu-proprio-accolitato-lettorato-donne-cardinale-schonborn.html
[iv] «I candidati al Diaconato e al
Sacerdozio debbono ricevere i ministeri del Lettore e dell’Accolito, se non l’hanno
già fatto, ed esercitarli per un conveniente periodo di tempo, affinché meglio
si dispongano ai futuri servizi della Parola e dell’Altare». MQ, XI.
[v] Mi sia permessa la
citazione: Umberto Rosario Del Giudice,
Ministerialità dei laici e culto eucaristico, Napoli 2014, pag. 9
(edizione digitale, 2020).
[vi] Ecco la risposta da cui scaturisce
la riflessione:
«D. Utrum
inter munera liturgica quibus laici, sive viri sive mulieres, iuxta C.I.C. can.
230, § 2 fungi possunt, adnumerari etiam possit servitium ad altare.
R.
Affirmative et iuxta instructiones a Sede Apostolica dandas».
ASS 84/1994 [omissis].
[vii] A. Grillo, Riconoscere un segno dei tempi: l’autorità
femminile in due testi di rilievo: https://www.cittadellaeditrice.com/munera/riconoscere-un-segno-dei-tempi-lautorita-femminile-in-due-testi-di-rilievo/
[viii] S. Noceti, Ministeri istituiti: dall’insuccesso al
successo?: https://www.queriniana.it/blog/ministeri-istituiti-dall-insuccesso-al-successo--476
[ix] Così Andrea Grillo in Riconoscere…
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