Il primo gennaio vestiti di rosso, come all’Ottava…

 

 

 

Il tempo è libertà, se è accolta la novità del “verbo che si fa continuamente carne”.


Il tempo è dono, se è accolta la vita come “carne che si fa continuamente verbo”.

 



Perugino e aiuti, Viaggio di Mosè in Egitto, 1482 circa, affresco, Cappella Sistina, Città del Vaticano

 

Umberto R. Del Giudice

 

Il primo giorno dell’anno è stato sempre salutato con feste e colori ma anche con riti propiziatori. Bisognerebbe saper bene cosa indossare, cosa mangiare, festeggiare con fuochi d’artificio, accendere falò, rompere piatti, buttare il “vecchiume”… per accogliere il “nuovo anno”.

 

Così il “Capodanno” diventa una festa di propiziazione ma si rivela anche un rito di iniziazione reiterata.

È un rituale ciclico che rende tutti “bambini” rispetto al tempo: come se ci fosse sempre da iniziare ma anche come se si sapesse già come affrontare il tempo.

È questa “sapienza adulta” spesso incapace di far memoria, ci rende davvero ostinati e chiusi al tempo che passa.

Ma la sapienza liturgica e cristiana può aiutarci a vivere questo inizio di anno. Così gli auguri di buon anno non possono non essere accompagnati da una riflessione che tento di spiegare ripercorrendo il Capodanno “festeggiato”, “pregato”, “celebrato” nell’Ottava di Natale e il vissuto del tempo che è e che viene.

 

Il Capodanno “festeggiato”

In Italia, già nel pomeriggio del 31 dicembre, scorrono le immagini dei “capodanni” già vissuti ad est, per i diversi fusi orari. Nuova Zelanda, Australia… già hanno dato il benvenuto al 2021.

Ai festeggiamenti civili si aggiungono i contorni sociali: gli astrologi moltiplicano gli oroscopi (e, ahimè, si moltiplicano anche i loro lettori) mentre i pessimisti vedono i giorni futuri quasi come una minaccia e aggiungono scongiuri ai riti propiziatori; i lungimiranti ottimisti si buttano tutto alle spalle sperando nel futuro, mentre i pessimisti stupidi buttano immondizia o cose vecchie dal balcone dimenticando che dal balcone dovrebbero lanciare solo la propria stupida superstizione da “simil agnostici” (“non è vero ma ci credo…”).

 

Il Capodanno “pregato”

Delle varie categorie, in continuità con pessimisti depressi o ottimisti incalliti, seguendo le cromaticità varie, fa parte anche l’esperienza dei credenti che pregano con sentimenti vari: la preghiera prende forma di intercessione, di lode, di esultanza ma anche di penitenza e di richiesta. Mai come quest’anno le preghiere, come i festeggiamenti, saranno più all’insegna del “finalmente è passato il 2020” che caratterizzati dal “benvenuto 2021”: un comune e ateo “atto di penitenza” che si confonde col “Kyrie eleison” (“Signore, pietà”).

Nella speranza futura che il 2020 passi con tutta la sua carica di emergenza sanitaria, ci vogliamo buttare alle spalle quest’anno.

Intanto il tempo passa.

Ma la saggezza della tradizione liturgica ci aiuta a mettere i piedi nel nuovo anno (se con queste categorie temporali e spaziali vogliamo parlare) e lasciarci alle spalle quello che è già stato battezzato come “il maledetto anno del covid”, anno funesto, anno bisesto…

 

La solennità del primo gennaio: Maria, Madre di Dio

Il primo gennaio, com’è noto, la Chiesa cattolica celebra la solennità di Maria SS. Madre di Dio.

Una festa tutta mariana (molto probabilmente la prima) ma che vuole mettere al centro e ribadire la “divinità del figlio”. L’idea centrale del dogma della maternità di Maria, infatti, è tutta a favore della centralità della “divinità del figlio”. In questa solennità, come del resto nel relativo dogma mariano, per arrivare alla “grandezza della madre” bisogna ritornare al figlio: attraverso il figlio la madre è esaltata.

Questa solennità ci aiuta a fare il percorso inverso che invece è di solito garantito in un rito di iniziazione.

Nei riti di passaggio o di iniziazione, infatti, i giovani devono dimostrare di essere entrati a far parte del mondo degli adulti, dei grandi, dei “pronti al matrimonio”, o del “gruppo dei cacciatori”, o “uomini, soldati della fede…”: devono entrare a far parte del gruppo degli iniziati.

Coi riti di iniziazione si entra nel “gruppo” da cui si era esclusi.

La solennità del primo gennaio ci insegna che per “entrare nel tempo” bisogna fare il percorso inverso: non entrarci da “adulti” ma da bambini. Non da persone che desiderano quanto auspicato dal tempo e nel tempo, ma da persone libere che vivono con sorpresa e gratitudine il tempo che verrà.

In questa riflessione mi accompagna un’altra considerazione: il primo gennaio è il giorno ottavo…

Otto giorni dopo il Natale

Fino a pochi secoli fa, il primo gennaio, nella tradizione cristiana, non era altro che l’ottavo giorno da Natale. Bisognerà aspettare il decreto del 1691 di papa Innocenzo XII perché sia esteso a tutti la consuetudine di considerare il primo gennaio come primo giorno dell’anno.

Dunque, il primo gennaio è un “giorno” di compimento: l’ottavo dopo quello di Natale.

Per i Padri della Chiesa il riferimento a otto giorni non era solo “segno-festa” ma “simbolico-sacramentale”: vuol dire che l’Ottavo giorno dopo un avvenimento[i] è considerato come il compimento, la pienezza dell’evento stesso. L’ottavo giorno è il primo dopo l’ultimo della settimana: il compimento di un ciclo, di un tempo, di un senso, e per questo si dice “Ottava” considerando tutti e otto giorni come un unico grande momento, un unico grande giorno. Nella liturgia, tra l’altro, durante l’Ottava si prega con il riferimento all’“Oggi”.

 

Prima dell’Ottava

Ma nell’antichità questo giorno ottavo (dalla nascita di Gesù) era legato alla “circoncisione”.

Solo nel Medioevo a questa festa si aggiunge quella della maternità di Maria forse perché il primo gennaio fu la data in cui venne dedicata una Chiesa a Roma a Maria, Madre di Dio…, successivamente anche festa[ii].

Ciò che fa riflette, al di là delle notizie storiche, è che l’antica tradizione cristiana di festeggiare la circoncisione di Gesù ci aiuterebbe, oggi più che mai, a riflettere sul tempo che passa.

Mi spiego.

Nella circoncisione di Gesù la tradizione vede due evidenze: Gesù realmente uomo (idea accantonata in favore della divinità con la celebrazione della maternità di Maria, Madre di Dio…) e l’anticipo dell’atto di autodonazione di Gesù (atto di sangue). In altre parole, nella tradizione, la circoncisione di Gesù è vista come simbolo sacrificale anzitempo. Come se, quella che è l’iniziazione ebraica (la circoncisione all’ottavo giorno dalla nascita), fosse da intendere un anticipo del sacrificio di sangue con cui il Cristo inaugura la nuova umanità redenta. Non a caso il colore liturgico per la festa liturgica della circoncisione era il rosso, il colore della Passione.

 

È poi singolare che nei “detti segreti del Vangelo di Tommaso”, si riporti questo passaggio apocrifo:

«Gesù disse:

L’uomo vecchio di giorni

non esiterà ad interrogare un bambino

di sette giorni

riguardo al luogo della vita,

e quell’uomo vivrà.

Perché molti dei primi saranno ultimi

[e gli ultimi, primi],

e diventeranno una cosa sola».

(Vangelo secondo Tommaso, detto 4)[iii]

 

Gesù avrebbe così indicato nel bambino non circonciso la giusta coscienza con cui affrontare il tempo come futuro tutto da scoprire, davanti al quale non avere “precomprensioni”. Il bambino non circonciso, non potendo avere alcuna memoria e alcun’aspettativa, sarebbe aperto a qualsiasi percezione del mondo. Con la circoncisione, toccato nel corpo, il bambino diverrebbe già “toccato”, già “segnato”. Ma è il corpo del bambino Gesù ad essere considerato come il luogo eterno dell’alleanza tra “cielo e terra”. E chi non entra in questa novità resterà ai limiti del tempo.

Sembra che il detto apocrifo del Vangelo di Tommaso, sia proprio su questa linea.

D’altra parte, gli stessi Vangeli canonici ricordano che per accogliere la novità evangelica bisogna essere come bambini (Mt 18,1-5; Mc 9,33-37; Lc 9,46-48), pronti alle novità. E le novità da attendere non sono relative a qualcosa che dovrà ancora succedere ma al tempo che si fa dono per noi, poiché nel tempo ci è stato offerto “il” dono.

 

Il tempo come dono

Se anche noi affronteremo questo prossimo anno solo con la tensione di chi vorrà buttarsi alle spalle il peggio, se il futuro diventa una speranza triste o un’opportunità di buttare via il passato, non avremo accolto la possibile novità del tempo.

 

Il tempo è presente.

Il tempo è pienezza.

Il tempo è saggezza.

Il tempo è verità.

Il tempo è libertà, se è accolta la novità del “verbo che si fa continuamente carne”.

Il tempo è dono, se è accolta la vita come “carne che si fa continuamente verbo”.

 

Il tempo è futuro pieno nella misura in cui sappiamo accoglierlo come bimbi incuriositi e non come adulti impauriti.

Il tempo è pieno se è vissuto come sapore dolce di affidabilità piuttosto che come attesa del compimento di progetti di cui le lenticchie sono un inutile rimando superstizioso.

Il tempo è inizio se ci si spoglia delle “certezze da adulto” e delle “attese da grandi”.

Il tempo è aperto nella misura in cui è ricevuto come dono sorprendete e non come luogo in cui riporre le nostre attese impegnate e impegnative.

Il tempo non vuole intenzioni, vuole attenzioni.

Il tempo è il “bacio tenero di un bambino” e non il “cincin ambizioso di un adulto”.

 

Il tempo è dono nella misura in cui è vissuto, nel passato, nel presente e nel futuro, come il momento in cui la pienezza di ogni tempo diventa promessa ora, qui e per sempre: promessa che nel Dio-carne è perdono, totalità e tenerezza.

Il tempo è dono nella misura in cui è accolto con magnanimità, non come attesa di qualcosa di migliore che dovrà succedere ma come custodia di ciò che di meglio non poteva capitare: vivere grazie ad un bambino sorprendente e sorpreso, avvolte in fasce (in sudari…), per noi.

 

Il tempo è e sarà tale nella saggezza di quei primi sette giorni di un bambino che accoglie tutto ciò che verrà come sorpresa, come tensione, come amore filiale e folle.

Il tempo è e sarà compiuto nella promessa, che nessun capodanno, nessun giorno, nessuna altra contingenza, potrà regalarci se aspetteremo altre promesse.

 

Perché il tempo è come l’amore: se non lo vivi, ogni definizione appare vuota.

 

Ma nella festa del primo gennaio i cristiani sanno come accogliere il tempo che va e quello che viene, in memoria di quelli che erano e di quelli che saranno e coi quali rimanere solidali per sempre nel Dio che vive le nostre vite.

 

Questo i cristiani se lo possono e se lo devono augurare nel giorno dell’Ottava, nel grande giorno di Natale, quel Natale che nessun 25 dicembre potrà mai imprigionare e che nessuna Ottava riuscirà a contenere.

 

Auguri.

 

 

 



[i] Pasqua, Natale… in passato anche, tra le ottave maggiori, Pentecoste, Ascensione, Trinità, Corpus Domini, Assunta, Natività di Maria, Santi Pietro e Paolo e ottave minori riferite al ricordo di alcuni Santi presso alcuni ordini o alcune comunità, tanto che si parlò di ottave privilegiate.

[ii] Così Righetti, Storia della liturgia, vol. II, omissis.

[iii] Un altro detto, il 53, del medesimo scritto recita:

«Un discepolo Gli disse:

“La circoncisione è utili o no?”

Lui gli rispose:

“Se fosse utile, il Padre li farebbe nascere

già circoncisi dalla loro madre.

Ma la vera circoncisione è nello Spirito.

Quella si è utile!”»




Commenti

Post popolari in questo blog

Due pesi e due misure? Sul “caso Lintner”

Megafoni e scribi del Magistero ecclesiastico?

Se “theologia gaudia beatorum amplificat”