"Salus animarum", comunità sacerdotale e identità battesimale
Ripresa e aggiornamenti per chiarire alcune questioni su "salus publica" e "salus animarum".
Umberto R. Del Giudice
L’Italia è ormai una zona protetta e il Presidente del
Consiglio dei Ministri ha predisposto misure di contenimento che a partire
dall’11 marzo scorso (cfr. http://www.governo.it/it/articolo/coronavirus-conte-firma-il-dpcm-11-marzo-2020/14299)
hanno trovato forme sempre più cogenti. In questi giorni protetta e corretta dovrebbe
essere anche la comunicazione e l’informazione, soprattutto quella cosiddetta “teologica”.
Potremmo dire che alcune informazioni e affermazioni che
stanno girando sui social fanno parte, appunto, dei “social”; di quelle chiacchiere
che si fanno tra amici: si parla per parlare. Ed anche questo va bene. Insomma,
potremmo dire che è concessa una certa approssimazione da “zona social” dovuta alla
concitazione del caso.
Ma quando a parlare e a scrivere su questioni riguardanti
il cattolicesimo, il suo patrimonio e la sua disciplina, sono chierici, teologi,
giornalisti, la cosa si fa non solo interessante dal punto di vista del “fenomeno
di cattolicesimo contemporaneo” ma anche dal punto di vista dell’attendibilità e
affidabilità delle informazioni e dei pareri.
Sospensione delle azioni liturgiche: i refrattari
Alcune opinioni che circolano e che sono sottoscritte da
informatori vari, giornalisti, chierici, teologi, sono semplici quanto pericolose
considerazioni personali, da una parte, e, dall’altro, addirittura antiecclesiali
e illegittime prese di posizioni (poiché contro un invito formale della
Conferenza episcopale e contro il decreto del Governo).
Circolano varie considerazioni riguardano la sospensione
in tutto il territorio italiano delle azioni liturgiche e spesso contrarie alla
decisione dei vescovi italiani.
In ogni caso va detto che far girare notizie o anche “semplici
voci da corridoio” secondo le quali “anche i vescovi” invitano alla “disobbedienza
civile rispetto alla sospensione delle azioni liturgiche”, è falso e fuorviante.
In realtà nella regione ecclesiastica della Conferenza
Episcopale Italiana tutti i vescovi si sono assunti la enorme responsabilità della
decisione di sospendere le celebrazioni liturgiche con assembramenti (https://www.chiesacattolica.it/un-tempo-di-enorme-responsabilita/).
Qui vorrei subito annotare che la decisione non è dolorosa
solo per loro ma per tutti: in realtà è dolorosa per tutti coloro che (non ordinati
nel ministero) non possono neanche decidere per una “missa sine populo”
(grave la dicitura “messa privata”!). Fin qui, solo per far chiarezza rispetto alle
disposizioni episcopali cui tutti ci dobbiamo attenere.
Contrari alla sospensione del culto: questioni di diritto
internazionale?
Qualcuno si è anche arrampicato sugli specchi del “diritto
internazionale” per invocare una fantomatica sospensione dell’art. 2, n. 1 dell’Accordo
Italia-Santa sede che recita:
«La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica
la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa,
di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa
la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto…».
In realtà questi “accademici” dimenticano che l’Accordo
bilaterale (quello del 1984, per intenderci), tiene presente «da parte della Repubblica
italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede,
le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e
i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica» e che quindi, stando alla Costituzione
italiana, vi è piena libertà per ciascuno di muoversi «salvo le limitazioni che
la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza». In altre
parole, questo principio sancito dall’art. 16 della Costituzione italiana è la base
per la giusta interpretazione di un altro principio che permea la stesura dell’Accordo
stesso: il principio di “competenza”. In quest’ottica è chiaro che l’autorità civile
può stabilire limitazioni per ragioni di sanità e sicurezza nazionale anche agli
assembramenti per motivi di culto.
C’è anche però chi ricorda, giustamente, come fa il prof.
Pierluigi Consorti, che «il Patto internazionale sui diritti civili e politici,
vigente in Italia in forza della legge 25 ottobre 1977, n. 881, stabilisce che la
legge può limitare tale libertà per ragioni di sanità pubblica: ed è questo il caso»
(vedi qui).
Per non entrare troppo in tecnicismi (anche se forse l‘ho
già fatto…), in ogni caso, i principi di “collaborazione” e di autorità separata
per ambiti di “competenze”, sono i veri presupposti ermeneutici per ogni interpretazione
che riguarda l’Accordo Italia e Santa sede, ratificato e recepito dalla
Repubblica.
Al di là delle questioni giuridiche
Al di là dell’aspetto disciplinare e normativo, è quello
teologico che preoccupa.
Alcune posizioni preoccupano di più. Sarebbero quelle di
chierici e di teologi che respingono come anti-cristiano, non cattolico, e, addirittura,
demoniaco, la sospensione delle celebrazioni domenicali.
Quella di preti che non sospendono la celebrazione sarebbero
poche e accidentali “disattenzioni” (non sapevano…). Qualcun altro stigmatizza come
“sciocche e senza fede” le tensioni che si stanno vivendo in questi giorni e la
sospensione delle celebrazioni.
Non è certo questo il luogo né il caso di richiamare
circa la pericolosità del virus (vedi qui).
La moltiplicazione del contagio mette in ginocchio il sistema respiratorio e le
strutture sanitarie: e lo stiamo sperimentando.
Qualsiasi chierico o teologo dovrebbe star attento a ciò
che dice e scrive poiché le parole potrebbero ingenerare dubbi e perplessità che,
al contrario, la comunità scientifica mondiale non ha (cfr. https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/advice-for-public).
Non è questione di “paure” o di mancanza di “spirito
eroico”.
Gli eroi ce li abbiamo anche noi e sono tanti: tra questi
tutto il personale medico e paramedico che in queste ore tiene su, dimenticando
i turni contrattuali, il sistema sanitario nazionale. Ma anche tutte le forse
dell’ordine. Una cara amica mi dice che il marito carabiniere rientrando a casa
non saluta più le figlie da vicino e si tiene sempre a debita distanza: piccoli
e grandi sacrifici di uomini e donne in divisa.
Questi gli eroi: non abbiamo bisogno di richiamare a
stili eroici d’altri tempi come fa qualcuno.
La Chiesa si lascia vincere?
La Chiesa, secondo qualcuno, non dovrebbe permettere la
sospensione delle celebrazioni liturgiche e “confidare in Dio”.
Ma queste posizioni derivano da un’educazione che mette
insieme concetti come quelli di “grazia”, “sacramenti”, “messa”, “sacerdozio” secondo
una teologia che non tiene conto che questi termini vanno interpretati bene e vanno
compresi meglio, pena la impossibilità di cogliere l’obbedienza sociale come un
atto di responsabilità civile e, molto più, cristiana.
E se proprio i nostri cari pensatori non riescono a cogliere
l’obbedienza attuale come forma di “benedetta astinenza collettiva”, forse potrebbe
bastare spiegare loro che oggi parlare contro gli atti amministrativi dei nostri
vescovi che sospendono le celebrazioni, è un atto irresponsabile e pericoloso che
mette a repentaglio il rispetto verso tutto il Popolo di Dio, non solo Pastori,
ed ha l’effetto di essere palesemente contro ogni (attuale) utilità comune (dunque,
ancor più colpevole).
Concludendo
Non si può mettere in dubbio che la circostanza sia
particolare. Il senso di smarrimento è normale in una situazione imprevista che
ha determinato decisioni drastiche. Tuttavia, questa circostanza è anche una vera
opportunità, sociale ed ecclesiale.
Ma non si può condividere chi considera la sospensione
delle celebrazioni liturgiche una “vittoria dell’ateismo”, a cui anche la “Chiesa
darebbe il fianco” solo perché i vescovi hanno accettato di sospendere le funzioni
religiose.
La paura che alcuni soggetti manifestano deriva da false
immagini di Dio che elargirebbe “grazia come fosse un contabile”, da false concezioni
quasi magiche di quella che una teologia ha chiamato e chiama “grazia sacramentale”
e da una tendenza pressocché millenaristica degli spiriti smarriti. Argomentazioni
che non riescono a proporre l’eucaristia nel suo grande valore mistico, sacramentale,
ecclesiale, sacrificale e direi anche nel suo essere radicata nell’identità
battesimale. Ora non si può parlare per slogan magari citando padre Pio e affermare
che «è più facile che la terra si regga senza sole che senza Messa». Sicuramente
l’eucaristia è il centro della vita della Chiesa poiché essa è la vita stessa di
Cristo donata alla sua Chiesa.
E potremmo dire: “sine Dominico non possumus”. Ma questa
espressione dei martiri di Abitene non deve essere usata come uno slogan apologetico
e mitologico: l’editto persecutorio a quel tempo prendeva di mira non solo il rito
ma i luoghi di culto e soprattutto i libri sacri e questo per scardinare una cultura
cristiana che per Diocleziano non era funzionale all’unità dell’Impero.
In realtà oggi ai cattolici non viene richiesto di sopprimere
un’identità cultuale ma di manifestare la propria identità cristiana che nasce dalla
fede, dalla carità e dalla speranza: doni che sono tutti affidati dal “dono dei
doni”, ovvero, dal “karisma” come lo chiamava Clemente Alessandrino: il battesimo.
Riscoprirsi figli nel Figlio in un momento in cui
dobbiamo affrontare il digiuno eucaristico come necessità solidale, ci aiuterà sicuramente
a valorizzare l’eucaristia, come apice della celebrazione e dell’essere figli e
non come azione causale immediata tra “grazia attuale e grazia sacramentale” o,
peggio ancora, come forma magica.
Quella della “teologia della grazia” poi è un bellissimo
capitolo a sé che meriterebbe una ben più lunga articolazione: dalla concezione
agostiniana (e contropelagiana: cfr. De spiritu et littera e De natura
et gratia) alla elaborazione di Tommaso (che non risparmia anche complesse elucubrazioni:
cfr. Summa Theologiae, III, q. 64, a. 4); dalla formulazione controriformistica
della concezione sacramentale dell’ex opere operato (formulando così una
categoria sacramentale contro “il moto del libero arbitrio” luterano) a quella battesimale
del Concilio Vaticano II (e qui bisognerebbe leggere almeno Lumen gentium).
Quello concetto di “grazia” è una categoria interessante ma che si avvale di sovrapposizioni
incredibili e appassionanti, ben delineate nel loro sviluppo storico. Purtroppo
la stessa categoria (declinata anche come “grazia sacramentale”) è richiamata da
tanti che in questi giorni manifestano la propria preparazione catechistica più
che teologica per incutere, consciamente o inconsapevolmente non saprei, il timore
e la riverenza di un Dio che “non sarebbe più vicino al suo popolo” senza celebrazioni
liturgiche. Così facendo però si dimentica la fonte della “grazia”, ovvero la carità
di Cristo che ci ha riconciliato in e con Dio quando ancora eravamo “nemici” (cfr.
Rm 5,15), ovvero, quando della “celebrazione”, del “rito”, nessuno se ne curava.
L’evento pasquale è la vera fonte di ogni “benedizione dal cielo”: evento davanti
al quale noi siamo riammessi nella celebrazione e che non scompare senza celebrazione
sospesa per causa di forza maggiore.
A tal proposito ricordo che la celebrazione quotidiana
della celebrazione eucaristica è caldamente raccomandata ai presbiteri ma non è
obbligatoria (can. 276, §2 n. 2): e sarebbe bello che i presbiteri si affiancassero,
almeno durante i giorni feriali, al cammino di tutti, nella carità, nella fede,
nella speranza e, per ora, nel digiuno eucaristico.
Non va fatta confusione tra “comunità sacerdotale” –
che LG11 usa per definire la Chiesa nella sua identità complessiva di corpo di
Cristo – e “comunità dei chierici” (per questo vedi l’intervento di Andrea Grillo
qui). Dal punto di vista ecclesiologico è abbastanza pericoloso fare queste
confusioni. Ma ancora più pericoloso sarebbe un egoismo rituale che spinga fino
alla disobbedienza liturgica per custodire un Dio fatto a propria immagine e somiglianza
senza voler accettare, in obbedienza coi propri Pastori, un digiuno eucaristico
che, nella responsabilità e nel dolore condiviso, sia testimonianza di carità verso
tutti, attesa della presenza in presenza pur celebrando ogni giorno le lodi del
Dio che salva e si comunica nella sua Parola, donando la vita e tutti i suoi doni,
nella presenza dei figli nel Figlio per mezzo dello Spirito.
Credo che oggi più che mai i teologi debbano scrivere
e far sentire la “buona ragione” per aiutare a comprendere, per aiutare a capirsi,
per aiutare a celebrare. La teologia del mediterraneo oggi passa per quei
“piccoli e smarriti” che attraversano la solitudine della casa e l’inquietudine
della salute, pur in un Triduo che si avvicina.
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