“Un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”
di Umberto R. Del Giudice
La scena della natività è sempre
avvolta da profonda tenerezza. Un bambino appena nato di per sé possiede già un
potere disarmante che affascina e attrae col suo profondo essere bisognoso di
tutto.
Le fasce che avvolgono il bimbo
sono segno di cura come anche di un’attenzione peculiare da parte di chi ne ha
la responsabilità. Che poi il bimbo venga adagiato in una mangiatoia è l’ulteriore
segno di tenerezza e rispetto. Dobbiamo pensare infatti a Giuseppe e a Maria
che, per il censimento (cfr. Lc 2,1), sono ospitati a casa di parenti (cfr. Lc
2,4). Ma la “casa” non è altro che una grande sala (così la traduzione corretta
anche in Lc 22,11), forse di tre mura addossate, molto probabilmente, ad una
grotta o comunque ad una rientranza. Nella stanza tutti i parenti (“ἐν τῷ εἶναι αὐτοὺς” di Lc 2,6). E mentre erano lì, tra parenti in una situazione
pressoché tranquilla e sicura, il bambino scalcia, vuole nascere! Le donne si
danno da fare: acqua calda, fasce pulite e, per concedere la giusta e
conveniente privacy, fanno accomodare la giovane mamma in fondo, dove avevano
il proprio posto i pochi animali domestici. Troppe persone nella stanza/casa
per questo il racconto chiosa che non c'era posto per loro nella stanza. Nato
il bimbo, immaginiamo pure in quale tensione, per offrirlo alla vista dei
parenti e particolarmente a quella del padre trepidante, le donne pensano bene di
adagiare il bimbo nella mangiatoia, ovvero nell'anfratto basso che delimitava il rifugio degli animali dalla grande sala e consentiva anche il foraggio. Il bambino è "ostentato"... Una scena epifanica. Una scena ricca di
tenerezza, bontà, fascino, che rimanda all'essenza stessa della comunicazione
che il mistero della vita fa di sé.
Ma c’è dell’altro. La scena non
rievoca solo la tenerezza iniziale ma anche l’epilogo pasquale. Le fasce
diventato la rievocazione del sudario (sindone) nel quale è avvolto Gesù morto
e la mangiatoia rimanda alla tomba che lo accoglierà una volta “deposto” dalla
croce e portato al sepolcro (cfr. Lc 23,53).
Va ricordato infatti che il
Natale è una festa molto tardiva e viene fissata non solo per sostituire la
festa pagana del Sol invictus ma soprattutto per sottolineare l’umanità
di Gesù: “Verbum caro factum est”. Ma l’umanità vera non sottolinea solo
la nascita ma anche la passione “humano modo”. Insomma mentre si
instaura la solennità del Natale si guarda all’unica festa centrale del mistero
cristiano: l’evento pasquale. Tale evento, costituito dalla autodonazione,
dalla morte e dalla resurrezione, è l’unico centrale della fede cristiana che è
celebrato ogni settimana (con le celebrazioni della domenica) e, in modo particolare, una volta l’anno con la
Pasqua.
È evidente dunque che la pace,
la bontà, la tenerezza che evochiamo in questo giorno solenne del Santo Natale
non possono essere disgiunti dalla misericordia e dalla salvezza rivelate con l’evento
pasquale di Cristo. D’altronde è in questi termini che i pastori riconoscono l’annuncio
degli angeli (cfr. Lc 2,10): il Cristo è il Salvatore.
Allora se da una parte dobbiamo
e possiamo vivere il Natale come la festa delle feste, dei doni, dell’innocenza,
della gratuità, della gioia, della forza intraprendente della vita, dall'altra
possiamo e dobbiamo essere consapevoli da dove vengono tali doni. Vi sono
dunque due modi legittimi per vivere il Natale: da bambini, ricchi di stupore
per i doni ricevuti, e da adulti, consapevoli quanto quei doni siano frutto
immenso di gratuità assoluta e di fedeltà sofferta fino alla "deposizione"... L'abbassamento di un Dio che si fa uomo è una "deposizione"...
E mentre, dunque, siamo attenti
ai nostri bimbi, ai loro regali, alla creazione di una atmosfera di attesa, di
gioia fatta di addobbi e di sapori, e con loro vivere il Natale da bimbi, non
possiamo non ricordare della matrice non "romantica" del Natale. Quando la solennità
del mistero dell’incarnazione è confinato nei limiti dei colori di Babbo
Natale, sono dietro l’angolo entusiasmi fatati come anche nostalgie, tristezze,
autoritarismi frutti di svariate sindromi, da quella di 'Mary Poppins' a quella 'degli antenati' passando per quella 'degli anniversari'; e se il “santo Natale” è esiliato
fra gli auguri 'da Peter Pan', appare falso e gli auspici beneauguranti quasi
scocciano e disturbano.
Allora rimane difficile
comprendere gli auguri che circolano vertiginosamente sui social o che ti
colpiscono come un messaggio pubblicitario gratuito, quanto indeterminato, di “pace
e serenità”, di “augurio di salute e gioia”.
Accogliere gli auguri è d’obbligo,
e la riconoscenza è dovuta in ogni caso. Ma guai a scambiare il Natale di Santa
Clause col Natale di tenerezza e responsabilità; inutile e dannoso è
confondere le stelline festose col Natale dei bimbi e col Natale degli adulti.
Insomma bisogna saper vivere il Natale dei e con i bimbi, e saper assaporare ed
essere coinvolti dal Natale degli adulti che riconoscono in ogni caso, nell’entusiasmo
e nella limpida percezione della realtà, la novità gratuita e la certa speranza
di un Dio che si fa carne. Solo così non saranno confuse ed equivoche le comuni
immagini del presepe e del piccolo Sam, nato sulle sponde della Libia meno di
una settimana fa e subito imbarcato con sua madre Sami, accolti pochi giorni fa
dalle autorità maltesi: un presepe vivente. Bimbo per il quale a stento ci si è
ricordato di essere “umani” e “natalizi”, anzi “adulti”.
Solo se si è capaci di vivere la
vita senza la nostalgia dei bambini si riesce a cogliere la realtà di una vita
che può condurre alla crudeltà e che può evocare la fedeltà e la saggia
stabilità. Da entrambe queste icone reali di gioiosa fedeltà della vita, che ha
la forza di sorprendere sempre e in ogni luogo, e che evocano piena
responsabilità, il sincero augurio, dunque, di buon Natale.
Commenti
Posta un commento