Lo sfogo apocalittico (e non molto comprensibile) di Gennaro Matino
Breve reazione (U.R. Del Giudice)
Non
possono non reagire alla provocazione di mons. Gennaro Matino, noto teologo
partenopeo, circa il suo "sfogo" quasi "apocalittico" che
trovate qui.
A parte il dato di fatto
che a Napoli ci sono più chiese che in tutt’Italia (il che vuol dire in tutto
il mondo) e che nonostante ciò rimane una città tra le più superstiziose, non
sono d'accordo sul fatto che "abbiamo perso qualcosa"; almeno, non "abbiamo" perso né perderemo tutto in termini di bene e di fede. Almeno non vorrei che chi legge lo sfogo di Matino si contorcesse tra flemma nostalgia e facile depressione. Mi sembra, e tanto vorrei sbagliare, che le parole di Matino siano per lo più preoccupate ma non del tutto lucide ed equilibrate.
Non sono d'accordo
soprattutto su tre punti: sulla regola d'oro del cristiano, sul primo annuncio,
sulla relazione tra annuncio e Concilio Vaticano II.
Il bene della regola d’oro…
La regola d’oro da
imparare da parte dei “cristiani” non è "non fare agli altri quello che non vuoi sia
fatto a te" (Talmud babilonese, Shabbath, 31a) ma il suo positivo: “come volete che gli uomini facciano a
voi, così anche voi fate a loro” (cfr. Lc 6,31). Semmai la prima è più “veterotestamentaria”.
Ma qui casca l’asino: che alcuni non facciano agli altri il bene che auspicherebbero fosse fatto nei loro confronti, non significa che bene non ce n’è.
Io vedo molta gente che accoglie, che è indignata per le prese di posizione
anche dell'attuale governo su alcune questioni sociali e sull'immigrazione. Saranno forse non moltissimi ma ci sono. Ed uscendo dal politico conosco molta gente che pur dicendosi atea o agnostica non riesce a stare in pace se vede qualcuno in difficoltà, e non lo aiuta. Anzi: sembra che alcuni credenti si rintanino nella "coscienza a posto" il che significa "onore, famiglia e rispetto" (vedi l'ultima processione interrotta per la presenza di un boss che voleva portare la 'Madonna' in spalla), mentre molti "non credenti" si farebbero in quattro per ideali come onestà, solidarietà, reciprocità, inclusione. Questi valori esistono e sono vissuti, solo che Matino li vorrebbe vedere nel cristianesimo "ufficiale" ma rimane spesso deluso. Che questo
bene non venga fatto da chi ha il “timbro” di “cattolico” poco male: l’importante
che il bene ci sia! E questo non è da poco, come cercherò di spiegare di seguito.
Il Vangelo funziona
anche senza di noi “cattolici”. Ma qui sta il bello e il nuovo per la Chiesa: sono le nostre categorie a dover
cambiare. Rahner già prima del Concilio Vaticano II ci suggeriva che ogni
anelito (seppur minimo) dell'uomo è già presenza e opera dello Spirito. Insomma
dovremmo ricordare sì che “tutto l'uomo, tutti gli uomini, nessuno escluso” ma
anche che niente dell’uomo è escluso da Dio. Non la Chiesa deve essere lì dove
ci sono “responsabilità e decisioni importanti”, ma dove ci sono “decisioni importanti
e responsabili”, la Chiesa deve riconoscere che lì c’è l’opera di Dio. È un
semplice cambio di ottica che farebbe bene a tutta la Chiesa.
Né si può
“scientificamente polverizzare la ricerca” di Dio: per fortuna nessuno ha
questo potere tra gli uomini e neanche la Chiesa lo ha. È vero il contrario:
che la Chiesa non sembra in grado di individuare i luoghi di ricerca di
speranza, di amore, di fedeltà… Ecco perché quello di Gennaro Matino mi sembra
uno sfogo, giustamente aggressivo e senza peli sulla lingua, ma apocalittico! Le gioie, le speranze, i dolori, le sofferenze non sono tali solo perché sono vissuti da "cattolici". Finché ci sono queste esperienze (e ci sono...) possiamo dire che "il cristianesimo non morirà"...
Non indago poi su quale
sarebbe la “minoranza di uomini e donne che ancora sanno distinguere tra Dio e
mammona” (spero non si riferisca a preti e consacrati…). Io conosco molta gente che stenta a campare e che ha l'animo in pace.
Ancora più enigmatica è
la seguente espressione: “il cristianesimo non è di casa in Italia e quello che
c'è di sicuro non rassomiglia a quello che aveva pensato dovesse essere il
Maestro”… Mah... Cosa voleva il Maestro? Questa affermazione è vera se ci si
mette nell’ottica di sapere come dovrebbe andare il mondo e come lo Spirito
agisce in esso. Insomma: mi sembra l’ottica di chi mette la Chiesa di fronte al
mondo e non la Chiesa accanto al mondo… E comunque, se Matino si riferisce ai politici, le idee di pochi che oggi attraggono molti (e non tutti) lasciano il tempo che trovano; e poi "chi semina vento raccoglie tempesta", come sta già avvenendo...
Sul primo annuncio
Un'affermazione che mi
lascia perplesso è che ci sono “i preti che pensano” e i “laici impegnati”… Non
credo sia una corretta sintesi del Concilio Vaticano II: come sfogo “di un
prete che cerca di essere tra quelli che pensano”, lo posso comprendere. Ma non
lo posso accettare come uno che vive nello stato di “laico impegnato”. Scusate
ma forse non ho capito niente della responsabilità missionaria dei christifideles
(che non sono né ordinati né laici). Finché poi si useranno queste categorie l'incomprensione e l'arresto dell'efficacia missionaria e apostolica è dietro l'angolo. Ma anche qui posso comprendere lo "sfogo" del Matino "prete". Per fortuna ciò che è la costituzione ecclesiale ci aiuta oggi a vivere e a pensare con altre categorie. Bisogna solo riconoscerle e attuarle.
Un’altra breve
osservazione: la categoria di “primo annuncio” non esiste in nessuna delle
quattro costituzioni conciliari (nessuno troverà questa espressione nelle
costituzioni ma neanche nella dichiarazione Nostra aetate o nel decreto Ad
gentes…). Il concetto di “primo annuncio”, dopo la teologia kerigmatica, è
stato fatto proprio dalla teologia pastorale. A me sembra che questa categoria sia ancora troppo legata ad un metodo biblico che può cedere il passo, in un nonnulla, ai tecnicismi teologici ed esegetici se non addirittura a quelli didattici e pedagogici. Le competenze didattiche, esegetiche, teologiche servono; ci vuole tutto questo ma non mi sembra una radicale soluzione. In realtà un annuncio che non intercetti l'esperienza delle persone rischia di essere un primo annuncio detto, l'ultimo ascoltato e l'ennesimo non seguito.
Rinnovamento della fede nel Concilio
A me colpisce che il
Concilio Vaticano II quando parla di “rinnovamento” della fede rivolge i suoi sforzi alla
liturgia, basta ricordare il proemio di Sacrosanctum concilium: “Il sacro
Concilio si propone di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i
fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni
che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che può contribuire all'unione
di tutti i credenti in Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti
nel seno della Chiesa. Ritiene quindi di doversi occupare in modo speciale
anche della riforma e della promozione della liturgia”.
Forse non è il “primo
annuncio” la categoria migliore se è considerato (come spesso è) quale trasmissione
intellettuale di contenuti. Sembra che dobbiamo essere più convincenti nel
primo annuncio e non ci accorgiamo che così facendo incontreremo sempre più
resistenze all’ascolto.
L’uomo tardo moderno non vuole più sentire parole ma è
immancabilmente attratto da esempi, da testimonianze; soprattutto è sensibile
all’esperienza (la sua prima di tutto), ed è molto sensibile ad una esperienza religiosa che lo aiuti a vivere quello che prova. È molto sensibile al rispetto, alla gioia, all'educazione, alla speranza, alla magnanimità: ne è irrimediabilmente attratto. Queste "virtù", la Chiesa (non solo i preti né solo i laici), le deve recuperare non solo attraverso parole (parole,
parole, parole…) ma immergendo (direi "battezzando") le persone in un’esperienza sempre
più reale senza dimenticare le dinamiche dell'accoglienza fraterna e della speranza gioiosa: allora i "missionari del vangelo", dovranno con gioia riconoscere il bene che sta guidando l'esperienza altrui.
Ben venga poi l'attenzione verso la pietà popolare, le processioni, i riti (contro cui spesso –ed incomprensibilmente– molti si scagliano). Certo che non dobbiamo fomentare la religiosità superstiziosa e “volgare”, ma dobbiamo sostenere le esperienze che possono unire cuore e mente, affetto e ragione, emotività e razionalità.
Ben venga poi l'attenzione verso la pietà popolare, le processioni, i riti (contro cui spesso –ed incomprensibilmente– molti si scagliano). Certo che non dobbiamo fomentare la religiosità superstiziosa e “volgare”, ma dobbiamo sostenere le esperienze che possono unire cuore e mente, affetto e ragione, emotività e razionalità.
La liturgia, scriveva Festugière, «contiene la parte di gran lunga più importante
del deposito della fede. Si trovano in essa tutte le verità dogmatiche e un
certo numero di proposizioni, o vicine alla fede, o teologicamente
probabili…[la liturgia è inoltre] lo strumento più nobile del magistero
ordinario della Chiesa».
La ragione non si forma senza esperienza: ecco perché l'homo simbolicus di oggi cerca rispetto, accoglienza e riconoscimento anche, e direi soprattutto, nell'atto cultuale.
L'esperienza dell'uomo contemporaneo non è certo solo rituale. Qui ci dobbiamo dar da fare tutti: non ad attrarre con belle parole o a creare momenti di fraternità, ma a riconoscere i luoghi dell’esperienze della gente quali luoghi dove lo Spirito li fa incontrare col Padre di Gesù. La Chiesa deve riconoscere questi luoghi che spesso demonizza come “non cattolici”.
Il "primo annuncio" c’è: ci
insegnano i Padri, il Verbo incarnandosi annoda in sé tutta la storia della
salvezza, l’umanità e l’intera creazione: “Egli, da re eterno, tutto ricapitola
in sé” (Ireneo, Adversus haereses III, 21,9): alla Chiesa tocca avere i
giusti occhiali per riconoscere questa umanità in cui lo Spirito grida “Abba,
Padre”… Certo non è facile ma con pazienza e coraggio il bene –ovvero l’azione
dello Spirito che ci configura a Cristo– si trova sempre… E poiché –ne sono convinto– mons. Gennaro
Matino lo sa molto bene, non posso che giustificare e leggere le sue parole come uno
sfogo rivestito di stile apocalittico solo perché vogliono essere un ulteriore
scrollata di coscienze: ma niente fine dell'era italo-cristiana. I cristiani ci sono, magari
anonimi (come li chiamava Rahner) ma ci sono. Il bene c’è, la Chiesa lo deve
riscoprire e riconoscere…
Se non avremo nuovi
occhi, saremo noi a stare fuori dal “primo annuncio” che lo Spirito opera e
che, grazie alla Chiesa, ogni uomo può riconoscere sempre più profondamente.
Papa Francesco ha gli
occhiali giusti e chiede che tutta la Chiesa li indossi! Forse potremmo chiamarli gli "occhiali del discernimento delle biografie dei singoli".
Impariamo a costruire
una Chiesa mistica poiché, come diceva Panikkar, il cristianesimo del futuro o
sarà mistico o non sarà. Ma se il cristianesimo non sarà mistico non significa
che non ci saranno mistici, che non ci saranno biografie ricche di Spirito.
Insomma, il bene e la
fede vanno prima riconosciuti e poi sostenuti, mai esclusivamente "insegnati", o, peggio "imposti".
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