Pretendenti ostinati
Considerazioni scritte alquanto
velocemente, quasi a memoria, tra impegni e faccende domestiche, per una
persona cara che ha posto la questione: insomma sarò ordinato quanto posso.
Questo il rebus: se lo Stato ha
competenza.
Umberto (basta solo il nome per
un commento a caldo tra amici)
Qualcuno sostiene[i] (copio e incollo): «legalmente… il Concordato non è un atto di diritto interno e la
controparte dello Stato non sono i Vescovi italiani ma uno Stato sovrano,
il Vaticano. Infatti si insegna agli studenti di legge che in caso di dissenso
sull’interpretazione del Concordato i giudici italiani non sono
competenti a decidere ma trattandosi di trattato internazionale occorre
rivolgersi alla Corte di Giustizia Internazionale. Lo Stato ben può impedire ai
cittadini il tragitto tra casa e chiesa ma su che cosa si da dentro le
chiese – Messe, conferenze, ecc. – a stretto rigore non è competente
(mentre è competente su che cosa si fa dentro i templi valdesi e le sinagoghe,
perché le Intese a differenza del Concordato non sono trattati
internazionali)».
Ragioniamo.
Dunque si sostiene che:
a.
la controparte dello Stato non sono i
vescovi italiani ma uno Stato sovrano = VERO, MA…
b.
c’è di mezzo il diritto internazionale = VERO,
MA…
c.
in caso di dissenso sull’interpretazione
del Concordato i giudici italiani non sono competenti = VERO, MA…
d.
lo Stato su che cosa si fa dentro le
chiese – Messe, conferenze, ecc. – a stretto rigore non è competente = DIPENDE
e.
le Intese a differenza del
Concordato non sono trattati internazionali = VERO, MA
Mettere insieme tutti questi elementi e ricavarne competenze assurde confonde le idee e rende ostinati.
Tra Repubblica italiana e
altre confessioni religiose sono state stipulate Intese = VERO
I rapporti tra lo Stato e le
confessioni religiose non cattoliche (o acattoliche) sono regolati
dall’articolo 8 della Costituzione. Quegli enti religiosi hanno dunque autonomia
organizzativa sulla base di propri Statuti. Queste relazioni, fondate sul
principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose, in realtà è stato possibile rendere attuabili solo dalla metà degli anni ‘80[ii] (ovvero
dopo l’Accordo di Palazzo Madama del 1984[iii] che fa
cadere definitivamente il primo articolo dello Statuto albertino). In questo
caso è ovvio che tutte le competenze civili e penali rispetto alla
libertà religiosa (anche rispetto ai luoghi adibiti al culto) e al
sentimento religioso sono a capo dello Stato italiano.
I valdesi, chiamati in causa dal
nostro interlocutore, oltre che sottostare al diritto vigente in Italia (in quanto
assimilabili agli enti religiosi riconosciuti dal diritto italiano e per questo
aventi personalità giuridica) hanno addirittura rinunciato a qualsiasi forma di
tutela del sentimento religioso ritenendolo sufficientemente protetto dai
diritti di libertà riconosciuti e garantiti dalla Costituzione: l’Italia ne prende
atto[iv].
Non tutte le forme religiose hanno
una Intesa ma sono solo culti ammessi
Bisogna ricordare che oggi ci
sono degli enti con scopi religiosi, per lo più riconosciuti come “associazioni”,
che pur godendo della personalità giuridica non hanno stipulato per vari motivi
una Intesa e sono considerati come culti ammessi con un relativo regolamento di
attuazione. Particolare è il fatto che questi culti hanno un loro precedente
giuridico in una legge del 1929[v]. Al
contrario le Intese sono stipulate a partire dal 1984 avendo come sfondo i
principi della Costituzione italiana (1947)[vi]
purtuttavia attendendo la caduta dello Statuto albertino. In altre parole,
senza una soluzione della questione romana avvenuta nel 1929 coi “Patti” e
senza la revisione del 1984[vii] degli
stessi, il Governo italiano non avrebbe potuto dialogare, anche se per ragioni
diverse, con altre confessioni religiose se non in termini di “culti ammessi”.
In ogni caso e in questo senso il
nostro interlocutore ha ragione: non si possono mettere sullo stesso piano le
Intese (di diritto pubblico) con il Concordato (di diritto internazionale).
È inutile ribadire che anche per
i culti ammessi le competenze civili e penali dei luoghi di culto sono in
capo allo Stato.
Tra Santa Sede e Repubblica
italiana c’è un trattato che evoca il diritto internazionale = VERO
Dobbiamo ammettere un elemento
che forse non è chiaro a tutti.
Per avere i “Patti”[viii] bisognava
che la Santa Sede avesse una personalità giuridica internazionale, ovvero che
vi fosse uno Stato. Ma, per consuetudine internazionale e giurisprudenziale, nessuno
è a capo di uno Stato senza territorio: la sovranità dello Stato si ha col territorio.
Ovviamente se c’è territorio, lo Stato sovrano avrà l’autorità sulle persone
fisiche e giuridiche che si trovino in tale ambito territoriale.
Dunque, lo Stato italiano doveva
riconoscere un territorio su cui il Romano pontefice (non basta dire Santa
Sede) esercitasse l’autorità (in questo caso di monarca); un territorio in cui
il sovrano fosse capace di escludere ogni altra autorità (ius excludendi alios). Il piccolo
territorio fu chiamato “Città”.
Mi permetto una digressione che
però aiuta a capire. Sono illuminanti a riguardo le parole di Pio XI che annotava
come pur di assicurare un’effettiva indipendenza alla Chiesa universale veniva
costituita di una entità statale, “non conoscendosi nel mondo, almeno fino ad
oggi […] altra forma di sovranità vera e propria se non appunto territoriale.
Dunque si volle un vero Stato per quanto ridotto territorialmente in termini
così esigui da apparire quasi simbolico, con tutti gli elementi costitutivi che
per il diritto pubblico sono propri di uno Stato, e cioè: territorio, popolo,
sovranità ed ordinamento giuridico»[ix].
Che le questioni relative alle
restrizioni sono rimandabili all’interpretazione del Concordato = VERO, MA…
Il concetto di sovranità è stato
esteso ad alcuni territori il cui elenco è riportato proprio nei Patti. Ma a
nessun titolo quel concetto può essere esteso ai luoghi di culto che sorgono su
territorio italiano, lì dove vige l’articolo 5.2 della revisione di Palazzo
Madama: «Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà
entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto,
senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica».
Da notare: lo stesso articolo lo troviamo
anche in alcune Intese[x].
È chiaro che le parti (Stato-Chiesa) riconoscono già la divisione delle competenze, quindi il rimando alla sovranità del
pontefice è del tutto fuori luogo.
In più, almeno in questo caso,
non vi è conflitto di interpretazione.
Va ricordato che, poiché in ogni
caso le relazioni tra Santa Sede e Repubblica sono disciplinati dalle regole
internazionali entra in gioco la Convenzione internazionale sui diritti
civili e politici del 1966[xi] che stabilisce
quanto segue all’art. 18, c. 3.: «La libertà di manifestare la propria
religione o il proprio credo può essere sottoposta unicamente alle restrizioni
previste dalla legge e che siano necessarie per la tutela della sicurezza
pubblica, dell’ordine pubblico e della sanità pubblica, della morale pubblica o
degli altri altrui diritti e libertà fondamentali»[xii].
Insomma, sulla libertà religiosa
e di culto e sulle competenze, il cattolicesimo a tutt’oggi è tutelato e
preservato nella sua tradizione secondo quanto stabilisce la normativa
nazionale e internazionale.
Che lo Stato non ha competenza
su ciò che accade nei luoghi di culto = FALSO
Per quanto attiene il punto d., che
lo Stato non abbia competenza su ciò che accade nei luoghi di culto, è
confutato anche dal fatto che nel 1955, dopo la Costituzione, fu revocato lo stato di
rito ammesso al culto pentecostale perché i suoi riti furono ritenuti «nocivi
alla salute fisica e psichica degli adepti»[xiii].
Conclusione
Quindi non va confusa tutta la
questione della libertà di culto con la competenza sui e nei luoghi di culto. Tanto
meno quest’ultima va confusa con la sovranità extraterritoriale.
Non credo sia utile richiamare le questioni relative alle cosiddette res mixtæ poiché
quest’ultime evocano, per propria natura, la competenza sia dell’autorità
civile quanto dell’autorità religiosa (come nel caso della tutela del
patrimonio artistico) e potrebbero far sorgere anche conflitti. Ma lo Stato non
ha mai detto di non celebrare messa: ha vietato gli assembramenti per ragioni di
salute (che comportano la non celebrazione cum populo… - ma questa è un’altra
questione…) e lo fa sul “proprio territorio”. La salute e l’ordine pubblico non
sono competenza mista: è cosa che riguarda solo la pubblica
autorità, è cosa della Repubblica. Invero la tutela pubblica
della sicurezza, la protezione della salute, della morale comune dei diritti e
delle libertà altrui sono diritti che godono di un maggior favor iuris
della stessa libertà di culto e sono tutte appannaggio dello Stato. Altra cosa
sarebbe l’impedire la celebrazione della messa in sé anche se, a mio modesto
avviso, non riguarderebbe più le res mixtæ ma la libertà di culto che è altra cosa.
Il nostro interlocutore ha messo
insieme un po’ di cose e ha fatto un po’ di confusione circa la questione della
competenza nei luoghi di culto su territorio italiano tirando in ballo i Patti,
confondendo la sovranità del Sommo pontefice estesa sulle zone di
extraterritorialità con le competenze regolate dello Stato circa
i luoghi di culto, cattolici e non, per motivi di sicurezza e salute.
Che poi la forza pubblica più che
sospendere la messa, come accaduto in certi casi, avrebbe dovuto allontanare le persone è altra questione: ma
al prete era fatto obbligo di non celebrare a porte aperte per evitare assembramenti, e questo lo sapeva; ma forse anche a lui è apparso dover far parte di quei pretendenti ostinati che confondo idee e
diritto o semplicemente è tale perché ha idee confuse e quindi pretestuose.
[i] Il
riferimento è ad un commento apparso su un profilo privato. Per tale motivo non
cito il nome dell’interlocutore.
[iii] L’Accordo
fu firmato dall’on. Bettino Craxi, all’epoca Presidente del Consiglio dei
ministri della Repubblica Italiana, e, per la Santa Sede, dal Card. Agostino
Casaroli, l’allora Segretario di Stato della Santa Sede. Fu ratificato dallo
Stato italiano con la Lg n. 121, 25 marzo 1985 (alla ratifica venne aggiunto il
Protocollo addizionale).
[viii] In
realtà i Patti lateranensi sono formati da tre distinti documenti: il Trattato,
la Convenzione Finanziaria ed il Concordato. Per un approfondimento giuridico
circa i rapporti tra Repubblica italiana e Santa Sede si consulti G. Dalla Torre, La città sul monte.
Contributo ad una teoria canonistica delle relazioni fra Chiesa e Comunità
politica, Roma 2007, 156-157; per il contesto ed il giudizio storico si
veda G. Martina, Storia della
Chiesa. Da Lutero ai nostri giorni. L’età contemporanea, vol. IV, Brescia
1998, 158-169; si veda anche l’utile R. Ricciotti,
La ferita sanata. I Patti lateranensi e l’accordo di Villa Madama fra
storia, politica e diritto, Rimini 2004.
[x] Cfr. ad
es. Lg 22 novembre 1988, n. 517: Norme per la regolazione dei rapporti tra
lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia, art. 11, c. 2. http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/norme/88L517.html
[xi] Ratifica
in Italia del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e
culturali si ha nel 1977.
[xii] Legge
25 ottobre 1977, n. 881, art. 18, c. 3.
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